Fin dai tempi più antichi, in ogni paese e in ogni popolo, si sono sviluppate e consolidate tradizioni ed usanze che in molti luoghi perdurano da secoli. Molti usi antichi si sono ormai persi nel tempo, altri resistono e molti altri ancora, seppur seppelliti, ritornano spesso a riaffiorare dal passato con rinnovato piacere e gusto di tradizione. Io li ho divisi in due categorie: cose di poco conto e cose importanti. Le cose di poco conto fanno spesso riferimento più a superstizione antica o rinnovata nel cosiddetto - non si sa mai! - E, nell'incertezza e nella paura, è meglio fare... o non fare determinate cose. Le cose importanti, le abbino, invece alla "fede paesana". I santi hanno sempre affascinato un po' tutti e, nell'alone di mistero e forza che li avvolge, meglio non scherzarci su! Nasce così quella che io chiamo "la tradizione della fede", spesso folkloristica e tendente al pagano. Cercando nei miei ricordi, anche nel nostro paese ci sono da sempre usanze, tradizioni e superstizioni (come ovunque). Le usanze direi che sono le cose più importanti perché riguardano un po' tutti in un ambiente e coinvolgono. Le superstizioni sono, invece, più personali e c'è chi ci crede, chi non ci fa caso, chi ne sorride, chi se ne fa una malattia tutto preso dalle sue manie...
Le tradizioni più importanti, dicevo, riguardano la fede, la religione. Al primo posto metterei sicuramente "i vuti" che si fanno al santo più caro o di turno nel calendario liturgico. Più propriamente detti, gli "ex-Voto", esistono ovunque ed ogni santuario degno di nota, ha ormai la sua bella e varia collezione. Figure di arti, di organi sanati in vari materiali, vestiti usati in varie ricorrenze (battesimi, matrimoni), o gioielli cari, vengono donati con vera gratitudine al proprio santo... ma solo se ha fatto la grazia. Ci sono poi i pellegrinaggi (di solito a piedi, se il luogo è vicino) e i fioretti, cioè la promessa di fare o meno determinate cose in cambio di... Sembra s'instauri una specie di contratto di favore, di scambio... ma è sempre emozionante vedere sciogliere un voto quando vedi la gioia che trapela da un volto per una grazia ricevuta, o più grande, un miracolo di vita.
Tra le tante tradizioni del nostro paese, c'era una volta, molto diffusa (ora non so), l'usanza di spogliare i neonati durante la processione al passaggio del santo, sotto casa (soprattutto San Rocco). Era emozionante sostare tutti a curiosare mentre intorno si faceva silenzio. La banda smetteva di suonare e le signore, prese da un'improvvisa tensione, ammutolivano recitando preghiere mentalmente. I genitori presi da un'improvvisa frenesia, spogliavano velocemente il bambino, e, mentre la mamma lo avvolgeva in un caldo asciugamano per rincuorarlo dello spavento dell'attimo un po' agitato, il papà o la nonna raccoglieva i vestitini in un foulard che veniva poi appeso alle mani della statua del santo che continuava il suo giro raccogliendo fagotti colorati. In chiesa, poi, ognuno riprendeva il suo... Non so di preciso il vero significato di questo gesto. Potrei definirlo come una specie di consacrazione al santo. Spogliandosi di tutto ciò che è materiale, ci si dà completamente per invocare benedizione e soprattutto protezione per la vita a venire. Un altro modo di onorare un voto era quello di vestire i piccoli come il santo (in Sicilia anche i grandi). Famoso è l'abitino di S. Antonio. Questo, di solito, veniva prima benedetto dal sacerdote e poi indossato per tutta la giornata della sua ricorrenza.
Da noi, un'altra bella usanza era la distribuzione di panini fatti dalle nostre mamme e nonne. Soprattutto per S. Giuseppe (col mais) e per S. Antonio. Appena sfornati, i caldi panini venivano sistemati in belle ceste di canne e subito donati a vicini e parenti in segno di devozione. Noi bambini non vedevamo l'ora di adempiere a questo compito e ricordo che mia madre ci raccomandava di "regalarli" anche a chi, per un motivo o per un altro, non ci salutava, magari da un po'... Spesso quel semplice gesto veniva considerato simbolo di pace e allora si ritornava ancora amici, lasciando da parte le futili incomprensioni.
Il pellegrinaggio é un'altra forma di tradizione ancora molto diffusa. Col "viaggio" fino ai piedi dell'altare prescelto, si scioglie il "voto" fatto in precedenza per ringraziare. Da Acquaro, a piedi, i più comuni erano verso Dinami (Maria SS Della Catena), verso Monsoreto (S. Francesco), verso Fabrizia (S. Antonio), Dasà (Immacolata). Con mezzi si andava più lontano, soprattutto a Riace per S. Cosma e Damiano e in Aspromonte per M. SS. Della Montagna di Polsi. Ricordo con piacere le volte in cui sono andata a Dinami. Nell'afa notturna di luglio, noi bambini non riuscivamo a prendere sonno, perché eccitati dalla bella e lunga passeggiata che ci aspettava l'indomani. Ci univamo a gruppi coi vicini ed insieme ci incamminavamo verso il paese vicino sul far del giorno. Mi sembra ancora di ricordare il profumo dell'alba. Il fresco prima della calura che cominciava a coglierci verso Limpidi e Melicuccà... ma non era stancante. Per noi era un gioco, un diversivo. Era bello ascoltare gli adulti "passeggiando" con loro, facendoci portare in spalla se eravamo stanchi, pregare insieme ed ascoltare le canzoni in dialetto che ancora sono impresse nella memoria... Poi il viaggio finiva e, stanchi, ma felici, di una felicità strana, diversa dal solito, varcavamo le porte della chiesa già piena di altri pellegrini provenienti da tutto il circondario. Nei miei ricordi di bambina, mi sembra rivedere il sorriso della bella statua che aspettava in mezzo alla chiesa... aspettava noi... i suoi pellegrini venuti da lontano... E anche Gesù Bambino, con quella bimba legata ad una dolce catena perché la teneva Maria, sembravano felici di vedere quel popolo in preghiera... Tante volte mia nonna mi aveva raccontato la storia di quella bimba, ma non so se è vera, se è quella...
In paese, poi, ogni festività aveva le sue usanze. Molto bella la Settimana Santa. Il giovedì santo, all'ora della funzione, vedevi sbucare di qua e là donne con ceste sulla testa che portavano il "pane della cena". Ciambelle preparate apposta, adornate di foglie d'arancio, per allestire la mensa del Signore. Giuda ne prendeva sempre due e spariva. Dopo la funzione, quel pane veniva affettato e tutto il paese o quasi, ne riceveva un po'. Mia nonna mi diceva che in passato lo usavano al capezzale, ma la cosa più bella ed innocente era che aveva un potere speciale nel sedare le tempeste che spesso mettevano paura. Ogni famiglia "doveva" possedere un po' di pane della cena in casa. Diventava secco e non ammuffiva mai. Quando infuriava qualche temporale, i vecchi usavano buttarne un pezzetto sui tetti o fuori recitando qualche preghiera... spesso il tempo migliorava... Verità, fantasia, coincidenza? Non so.
Da sempre l'uomo ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa perché riconosce la sua fragilità... il resto non ha risposta. L'unica certezza che ho, è che se si ha FEDE, si può ottenere tutto, il mezzo per farlo è solo strumento per appagare la fantasia ed incentivare le leggende... I Santi, sappiamo tutti, non hanno bisogno dei nostri doni, delle nostre rinunce, di atti strani da compiere... vogliono fede come ne hanno avuta. Questo sarebbe il miglior dono ed essi stessi diventano strumento d'intercessione presso Dio. Hanno più potenza per interagire con l'Onnipotente che tutto può. Da sempre l'uomo offre sacrifici a Dio. Gli agnelli e le colombe hanno ceduto il posto ad altro e parlare con Lui direttamente... non si riesce a volte, e si preferisce usare come intermediari i santi che hanno avuto una vita terrena... umana, più vicina a noi.
L'ascensione, non era particolarmente vissuta, ma ricordo che anni fa c'era l'usanza di andare in campagna a cercare una pianta detta "erba d'ascinziuani". Mia madre con altre vicine di casa, s'alzavano presto al mattino e salivano verso Malamotta a cercare questa particolare pianta. Mi sembra fosse una piantina grassa, carnosa, che veniva raccolta quel mattino e poi veniva appesa al capezzale perché pare portasse prosperità e fortuna in famiglia.
Nota a parte meritano le aste fatte per portare i santi. Da noi c'è ancora l'usanza di portare le statue a spalla e quindi, ogni stanga di legno su cui poggia la statua, viene data al miglior offerente che s'aggiudica il privilegio di portare il santo amato durante la processione.
Per quanto concerne il Venerdì Santo, la questione spazia, trattandosi di precetti della nostra religione (non mangiare carne o addirittura il digiuno), ma, mia nonna mi raccontava che ai suoi tempi, gli uomini s'astenevano da alcuni lavori e non si radevano la barba in segno di lutto per Gesù. Le donne, invece, che a quei tempi portavano quasi tutte i capelli lunghi a crocchia, non si pettinavano e vestivano abiti scuri.
Fin qui credo di aver spaziato un po' nelle cosiddette "cose importanti" più complesse e diffuse nel popolo, il resto, riguarda sicuramente usanze paesane e superstizione. Ricordo, per esempio, che dicevano che dopo il vespro (ultima Ave Maria del giorno segnata dalle campane) non si doveva assolutamente spazzare la casa o scuotere le molliche dalla tovaglia fuori, affacciandosi, magari, al balcone. A ciò era data molta importanza, quasi quanto la rottura di uno specchio o l'udire il verso di qualche cornacchia... simboli negativi. Lo stesso se si rovesciava olio o sale... forieri di disgrazie... La cosa più brutta in assoluto era però, trovare del sale davanti alla porta. Mentre il rovesciarlo era del tutto casuale, questo significava, invece, che nel vicinato c'erano persone malevole che davano contro in ogni modo. A tavola si teneva conto del numero 13 e si cercava di evitarlo in tutti modi (da qui il detto "Tridici: fuacu e filici"). Fuoco simbolo di guaio ("Chi fuacu chi mi vinna!") e lo stesso per le felci che secche sono pungenti e facilmente infiammabili. Rappresentano quindi molto bene, nel nostro dialetto, "le cose spinose", gli imbrogli e le matasse da sciogliere... Le posate, poi, non si dovevano assolutamente incrociare. La croce è il simbolo della nostra religione, ma fatta involontariamente... porta sfortuna... Una carrellata delle nostre "piccolezze" un po' strane, ma se ci pensiamo, un po' comuni ovunque... Molto da conto erano tenuti i defunti. Per loro si chiedevano messe in suffragio e si accendevano "le lampe" (lampade ad olio) davanti alle rare foto. Non di rado, s'offrivano doni a persone indigenti, proprio a nome delle anime del Purgatorio. Si sceglieva una famiglia più bisognosa e, magari durante le feste più sentite, si regalava olio, pane, vino, sapone... frutti della terra che espletavano dei gran compiti. Da un lato ci si metteva un po' l'animo a posto come a chiedere delle indulgenze per i propri peccati, usando l'intercessione dei propri cari, dall'altro si aiutava in modo usuale una famiglia senza offendere nessuno. Quando poi c'era un lutto, partecipava tutto il paese e i parenti più stretti o i vicini, usavano preparare pasti per la famiglia. Dopo qualche giorno ci si recava a far visita portando "u ricunzulu". Doni come caffè, zucchero, marsala... Per le nascite e gli ammalati i doni erano diversi: pastina, latte, biscotti e molto gradito era "u picciuniaju i palumba" (pulcino di colombi, allevati da alcuni per queste occasioni) col quale si faceva un buon brodo ricostituente. Agli sposi si usava e si usa tuttora, regalare dei soldi in busta proprio durante la festa in segno di buona fortuna e prosperità. La mamma della sposa aveva il compito di preparare il rosolio in casa ed il pranzo per la festa. Sembra rivedere le belle tavolate di una volta... le candide tovaglie tenute care, i piatti del servizio buono... le salsicce ed il vino fatti apposta per l'occasione, le tagliatelle e i "maccarruna" fatti in casa col sugo di capra o di maiale, spesso grande ricchezza delle famiglie... l'olio dorato sul pane fresco con le olive salate nella giara... Sapori e profumi d'altri tempi. Tempi andati che sembrano affascinare, ma sappiamo tutti che chi li ha vissuti non li augura a nessuno... Usanze, tradizioni, dicerie, ricordi... ricordi del passato che hanno costruito un popolo, un paese come tanti... ACQUARO.