In attesa della partita di pallone tipo australiano allo Stadio M C G (Melbourne Cricket Ground).
Palloni a gas che volano spesso sopra la città di Melbourne. Questa mattina mentre camminavo con altri amici all'alba, il gas nei palloni era già acceso e pronti per prender volo.
Siamo umani?
Quel giorno, con l'inquietudine che cominciava ad aleggiare, ci dissero di chiuderci in casa e non uscire.
Ci chiesero di andare piano, rallentare la corsa,
respirare lentamente…
fare tutto senza fretta.
Ci chiesero di nasconderci dietro finestre chiuse, lontano da altri occhi.
Ci vietarono i gesti amichevoli di baci ed abbracci… pure una semplice stretta di mano.
Lontani da tutti.
Ci chiesero di uscire solo per necessità primarie, null'altro.
Ci consigliarono guanti e mascherine sulla bocca.
Diventammo nuove maschere in un mondo di fantasmi.
Diventammo umani?
Diventammo cuochi provetti; attenti lettori e scribacchini.
Diventammo giardinieri e contadini di terrazzi e balconi; baby-sitter a tutte le ore.
E diventammo idraulici ed imbianchini; navigatori incalliti della rete, scopritori di mondi nascosti ai piú.
Diventammo umani?
Notizie/ tormentone si accalcavano nelle nostre menti, e termini mai uditi prima, rimbombavano in ogni dove.
Edotti scienziati e dottori stilavano bollettini, ed annunciavano nuove scoperte.
Noi, distratti, disorientati, increduli, impauriti e… pure noncuranti, insofferenti, indifferenti e strafottenti… continuavamo a vivere… pur lentamente.
Un po' piú stretti, piú reclusi, piú solitari, piú riposati, piú annoiati, piú arrabbiati da limitate libertá e mancati svaghi…
Eppure,
diventammo umani?
Aldilà di vetrate nascoste, tirate su in un battibaleno, una moltitudine sofferente anelava aria da respirare. Sognava di rivedere il cielo e i propri cari.
Sognava la vita.
E noi, diventammo umani?
Uomini e donne di ogni etá, con armi strane e tute quasi spaziali, armeggiavano inquieti, vessati da burocrazia e lacune; disguidi e pericoli… lottavano senza orario e senza sosta per salvare piú vite...
e morivano anche loro.
In campo, in battaglia… senza scudi nè spade da sguainare.
Morivano in silenzio, al di là del vetro, al di là del mondo che chiedeva conto…
Ed in silenzio, piangevano famiglie intere, orfani increduli, catapultati in un gioco crudele.
Noi diventammo umani?
Le bare uscivano di soppiatto, dai sotterranei deserti, senza cortei e piagnistei di prefiche né requiem di preti stanchi.
Andavano lenti, i carri militari, senza fronzoli, bande, messe e vistose corone di fiori colorati… senza lacrime.
Altrove, piangevano i parenti e chiusi nei templi, pregavano i preti.
Lontani.
E diventammo umani?
Anche il Papa invocò l'Altissimo di avere pietà del suo popolo ingrato.
Lo invocò solo, in una piazza vuota, sferzata dalla pioggia.
Piangeva il cielo sul nostro deserto e noi stavamo rintanati come animali impauriti in attesa di un segno.
Diventammo umani?
I preti pregavano a porte chiuse, e in streaming mandavano benedizioni ed elevavano acclarate suppliche a tutti i Santi possibili.
Nessuno si sposava, nessuno veniva battezzato, nè comunicato.
Nessuno riceveva l'estrema unzione.
Era cambiata la vita e pure la morte.
Ma diventammo umani?
Restii alle regole, stanchi, depressi ed annoiati, urlavamo dai balconi ed imprecavamo alle restrizioni.
Invocavamo la nostra libertà!
Intanto, un minuscolo, invisibile essere, moltiplicato a dismisura, ci teneva in pugno e ci attanagliava con le sue spire…
Ci rubava l'aria e ci soffocava.
Ma noi, diventammo umani?
Dalle nostre case comode, coi nostri messaggi e video, pensavamo anche ai miseri, ai disoccupati, ai derelitti…
Eravamo tutti novelli missionari in una terra piangente.
Eravamo forse umani?
Non lo so.
Non ho ancora trovato la risposta.
So solamente che l'uomo, abituato a tutto, pretende tutto.
L'uomo impaurito s'aggrappa a tutto e, come può, cerca di lavarsi la coscienza.
Ossessionato dalla morte, invoca un Dio spesso dimenticato, e quasi pretende l'aiuto dei Santi protettori.
Crede d'essere invincibile e di sapere tutto e non si rende conto di quanto sia minuscolo.
La Natura, l'Universo sono immensi e noi siamo particelle d'infinito a spasso nel tempo.
Granelli di polvere lanciati nel vento della vita.
Sballottati dalle intemperie e dalle avversitá, siamo come fragili bolle fluttuanti nel nulla.
Siamo foglie che nel nostro autunno ci staccheremo inesorabilmente dai rami stanchi.
Siamo tutto e nulla e forse, non siamo nemmeno tanto umani.
Semplici esseri viventi in cerca del nostro equilibrio, convinti di poter stravolgere quello degli altri esseri che ci circondano.
(Anna M. Chiapparo)
Tutti i diritti riservati
Era da poco entrato il nuovo anno, esattamente il duemilaventi, ed accadde quasi improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno…
Pian piano, tutti i bambini sparirono dalle strade.
Come per magia, non s'udirono più strilli di bambini capricciosi che tormentavano madri stressate all'uscita dei supermercati e d'incanto scomparvero i palloni rimbalzanti in campetti improvvisati e le risate argentine delle piccole comitive che bivaccavano qua e là ad ogni ora.
Finirono le scampanellate notturne di qualche monello, memore di stralci di racconti genitoriali e d'improvviso sparirono le scorribande e le impennate ardite di ciclomotori rombanti.
In realtà non sparirono solo i bambini, ma tutti…
giovani, anziani e piccini.
Da tempo, aleggiavano nell'aria notizie sconfortanti che serpeggiando varcavano i confini e solcavano i mari.
Il web era un tam tam di novelli giornalisti e grafici alla riscossa, intenti a creare il link più "acchiappalike" e tanti poveri ebeti "faceboocchiani", aggiungendo e togliendo a loro piacimento, pensavano a diffondere in lungo e in largo, "fake news"
(all'americana, fa più fico… dire bufala, da noi, fa subito pensare alla mozzarella).
Dopo i festeggiamenti del nuovo capodanno, tra botti (peraltro, spesso vietati) e tricche e ballacche vari, i problemi italiani vertevano su alluvioni e siccità; Pil e Spread, ed ognuno pendeva dalle labbra del proprio pupillo al governo che non disdegnava qualche rissa qua e là o in esclusivi salotti alla moda, in tutte le TV nazionali e non…
Arrivò il fatidico febbraio bisestile e tutti fecero a gara a spararla più grossa in fatto di guai e proverbiali calamità che ci avrebbero colpiti.
Non l'avessero mai fatto!
Pochi e distrattamente, ascoltavamo i vari TG.
Che c'importava se in Cina era scoppiata un'epidemia? Era così lontana.
Pseudo bollettini di guerra tartassavano le nostre orecchie e cifre su cifre andavano aumentando insieme alle fake news nostrane che cominciarono a dare la caccia ai novelli untori, di manzoniana memoria.
Ah, poveri cinesi malcapitati nei nostri rioni e quartieri alla moda!
Quei cinesini così carini, piccini, riservati, che avevano iniziato con bugigattoli zeppi di vestitini, dalle caratteristiche lanterne rosse sulle insegne, e poi avevano osato ingrandirsi, convertendo capannoni abbandonati, riempiendoli all'inverosimile di cianfrusaglie…
E noi, non senza puzza sotto il naso, andavamo a curiosare, ad osservare, a cercare… ad acquistare.
Fino a Febbraio 2020…
Quel disgraziato mese bisestile che, dispettoso, fu capace di cancellare molti carnevali, lasciando pieni di coriandoli, gli scaffali "dei cinesi".
E non solo!
Quelli poverini, impauriti ed amareggiati, si rinchiusero dietro le loro saracinesche serrate. Sparirono dalle vie, come i nostri bambini.
Fu uno strano inverno quello.
Piovve solo il tempo di far danni e poi lentamente, Signora Primavera, arrabbiata come non mai, prese il sopravvento.
I mandorli sbocciarono con molto anticipo e le giornate s'allungarono improvvisamente. I fiumi cominciarono a seccarsi e tra una notizia di siccità improvvisa e una inusuale nevicata, i TG, timidamente, inserivano qua e là funeste notizie di mortalità.
Un virus, scappato da chissà quale pianeta, aveva invaso la terra e stava colonizzando tutto entrando nei nostri corpi, a cominciare dalla Cina che contava i morti e costruiva ospedali in un batter d'occhio…
Noi ascoltavamo increduli e meravigliati della loro efficienza.
Tanto noi eravamo lontani…
Poi accadde.
Cadde anche qui, quel fumine a ciel sereno… e fu tremendo.
Eravamo impreparati, inermi, increduli…
Forse per la prima volta, udimmo tutti la parola "pandemia".
Su Facebook, l'ironia, la presunzione, l'ignoranza e la strafottenza, impazzavano come mai prima e un po' tutti eravamo diventati come per magia: giornalisti, dottori, scienziati, tutor… ma ancora peggio, eravamo diventati degli insulsi inquisitori. Accusatori pronti a puntare il dito, investigatori pronti a pubblicare tutto in diretta, abbietti speculatori pronti a guadagnare sulle disgrazie…
E se in giro c'era ancora chi non credeva ai morti ed ai contagi in aumento, c'era chi si meravigliava della chiusura delle chiese.
Quando mai, in passato si erano celebrate le messe a porte chiuse?
Peste, tifo, colera, spagnola…
Ora un virus circolava liberamente e nessuno aveva scampo.
Tutti eravamo in pericolo.
Anche i sacerdoti!
Che esagerazione!
Ma sti cinesi non avevano nulla da fare?
Ed arrivò quel giorno indimenticabile, in cui ci segregarono nelle nostre case.
"Rimanete a casa!"
Echeggiava da ogni dove ed inventarono l'hashtag
#iorestoacasa.
Possibile che la situazione fosse così grave? Mai nessuno era arrivato a farci rinchiudere in casa… forse neanche la guerra.
Le strade si svuotarono senza fretta.
I soliti increduli e menefreghisti, gironzolavano incuranti del pericolo, sentendosi immuni da tutto, eppure, col passare dei giorni cambiò qualcosa.
Cominciò a serpeggiare la paura.
Una paura inquieta, indescrivibile, s'impossessò pian piano di tutti.
Chiusi nelle nostre case, attendevamo notizie dai TG e tutti ascoltavamo con attenzione confrontandoci sui social. Si usciva solo per necessità e i balconi divennero i nostri pulpiti e i nostri palcoscenici…
Da lassù si gridava ai trasgressori delle regole e ad orari convenuti, "ci s'incontrava" cantando insieme per qualche minuto d'allegria.
Tutti avevamo capito che i nostri angeli custodi avevano i volti di medici ed infermieri dall'aria preoccupata. Uomini in divisa che sorvegliavano la nostra sicurezza… commesse impaurite, alle casse dei supermercati... farmacisti attenti e pazienti, operatori ecologici e tanti altri che lavoravano in silenzio e che mai avevamo preso in considerazione perché tutto "ci era dovuto", quando le cose andavano bene.
E che fine avevano fatto i bambini che non scorrazzavano più per le strade?
Segregati in casa, tra una corsa nei corridoi e un salto sul letto, i piccoli pasticciavano con mamme inquiete, costrette a mascherare la preoccupazione.
Studiavano, cantavano, ballavano, giocavano e disegnavano arcobaleni di speranza da appendere ai balconi…
Un arcobaleno colorerà il cielo è sarà tutto nuovo, pulito… dicevano.
Sì, andrà tutto bene ed un giorno ci sveglieremo e scopriremo di essere stati catapultati in una novella fiaba della "Bella addormentata".
-Un virus cattivo aveva rubato il fuso avvelenato e per un bel po' aveva seminato morte e distruzione, divertendosi con la nostra paura.
Unico piccolo scudo, un rettangolino di tessuto non tessuto, a proteggere la bocca…
Quella bocca che parla e sparla a dismisura da sempre…
Signore eleganti, arroganti ed altezzose, ma anche le più semplici ed umili, non cercavano più la nuance perfetta di rossetto, ma la mascherina più efficace a proteggere il prezioso corpo.-
Passarono giorni e giorni…
aggrappati alle finestre ed ai balconi.
Stanchi, stremati e scoraggiati, stavamo attaccati alla TV ed alla rete, in attesa di notizie confortanti…
finché un bel giorno ci svegliammo all'unisono, confusi ed intontiti in un mondo tutto nuovo, dove l'edera, aggrovigliandosi su ogni cosa, ci aveva bloccati nei nostri rifugi ed aveva sconfitto il virus che annoiato, era sparito per sempre.
Nel cielo azzurro, le rondini volteggiavano allegre in rondò senza fine annunciando una nuova Primavera.
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Siamo pronti a svegliarci da questo tormentato sonno.
Domani rinasceremo più forti di prima e riassaporeremo allegri, il soave canto di Signora Primavera.
(©Anna M. Chiapparo)
Giovedì, 20 settembre 2018 ne ho avuto il grande piacere d'incontrare Pasquale Giofrè e la sua neo moglie, Elisa. Pasquale e Elisa si trovano a Melbourne in Luna di Miele.
Siccome il tempo è poco e loro sono molto impegnati ho arrangiato con Mary e Pino Olivieri quando mi sarebbe possibile incontrarli. Mary mi ha indicato il giorno e l'orario e io sono stato d'accordo. Mary e Pino sono parenti con la famiglia Giofrè e durante il loro soggiorno a Melbourne Pasquale e Elisa stanno a casa loro.
Io ho saputo che i due sposi venivano a Melbourne perché il mio caro amico Domenico Giofrè che è fratello di Pasquale mi ha mandato un libro. Il libro è intitolato: "Cosi Parlavano i nostri Avi", scritto dal Professore Ferdinando Ierardo.
Sono stato veramente molto felice incontrare questa magnifica, giovane coppia. È stata una magnifica e unica occasione di poterle incontrare. Mi ha fatto anche piacere che sembra anche loro sembrava erano contenti.
Abbiamo parlato un bel poco, maggiormente di cose a riguardo il nostro piccolo paese, il dialetto e i tempi moderni che molte cose del passato non esistono più. Di sicuro ci sono stati tanti cambiamenti con il passare degli anni.
È stata veramente una magnifica occasione che per conto mio vale un mondo di soddisfazione. Anni fa ho incontrato anche l'altro fratello di Domenico e di Pasquale, Gianluca. Gianluca è stato a Melbourne per circa sei mesi e l'ho incontrato parecchie volte. Siamo stati a pranzo almeno un paio di volte. Sfortunatamente non ne ho avuto ancora la possibilità di conoscere Domenico di presenza ma sembra che a Domenico l'ho sempre conosciuto, siamo in contatto da forse 10 anni. Grazie Domenico per la tua amicizia. Grazie per il tuo buon cuore.
Pietro
Recentemente ne ho ricevuto una copia del libro "Così Parlavano i Nostri Avi" scritto e preparato dal Professore Ferdinando Ierardo. Sarà l'unica copia che è arrivata a Melbourne fino al momento. Per questo voglio tanto ringraziare al mio caro amico, Domenico Giofrè e poi suo fratello, Pasquale che si trova ancora a Melbourne in Luna di Miele assieme alla bellissima moglie, Elisa. Attraverso questa bella coppia ne ho avuta la fortuna d'incontrarli e abbiamo chiacchierato per qualche oretta. Ambedue molto simpatici e sembra erano abbastanza interessati di quello che io dicevo a riguardo al nostro paese del passato e l'uso del dialetto che sembra sta a venire di poco uso. Certo delle parole che usavano una volta non si usano più. Con i tempi moderni le cose sono assai cambiate.
Ancora non l'ho letto tanto ma di sicuro lo trovo molto interessante. Cercherò di leggerlo attentamente e con tanto entusiasmo.
Grazie Domenico, Grazie Pasquale e Elisa e Grazie Professore Ierardo.
Pietro Carnovale
Camminavo senza fretta, infagottata nel mio lungo cappotto. Faceva freddo quella sera, ma avevo voglia di sentirmi sferzare il viso dalle folate gelide. Avevo bisogno di respirare il freddo fin dentro l'anima ed inebriarmi di aria. C'era una piccola fiera notturna nel quartiere, di quelle paesane e l'aria natalizia, anche se il Natale era ancora lontano, cominciava a farsi sentire. La gente desiderava uscire, stare in compagnia, voleva ridere, amava l'allegria...io no. Non amavo tutto questo. Non ero asociale, ma la confusione mi stordiva e l'allegria mi rattristava. Preferivo starmene per i fatti miei ed uscire solo se necessario. Ero giunta da poco nella bella città di Siracusa per una supplenza scolastica che sarebbe durata fino a fine giugno e dovevo ancora ambientarmi, ma soprattutto cercare una casa o una stanza in affitto. Da qualche giorno vivevo in una pensione vicina al centro storico e vicino alla scuola dove insegnavo storia dell'arte. Con mio marito, professore di matematica e i nostri due figli, Luna di dieci anni e Matteo di quindici, avevamo deciso di accettare quel lavoro. Ero precaria da molto tempo e qualche soldo in più, nonostante le spese, faceva sempre comodo. Il mio sogno era naturalmente quello di uscire dal precariato e non potevo rifiutare nulla. Vivevamo a Roma da sempre, fortunatamente vicini a mia suocera che avrebbe dato una mano coi ragazzi. Stranamente quella sera, seppur stanca, una vaga inquietudine mi spingeva fuori, nella fredda aria dicembrina.
Attraversai lentamente il ponte Umbertino e mi soffermai a guardare le barche ormeggiate che dondolavano dolcemente come cullate da un'invisibile melodia. L'acqua sembrava immobile nell'oscurità, ma qua e là s'udiva un flebile sciabordio lungo le chiglie fluttuanti. In quella zona c'era poca confusione mentre dal mercatino arrivavano voci, risate, profumi, pianti e grida gioiose di bimbi che giocavano sul piccolo trenino delle giostrine. Il buon profumo di mele caramellate si mischiava con quello acre delle caldarroste che fumavano in un calderone ben visibile da dove mi trovavo. I commercianti invitavano ai loro banchi colmi di mercanzia. Ortigia, già addobbata a festa con le luminarie natalizie, in vista della festa della patrona Santa Lucia, sembrava magica. Avevo visitato ancora poco della città e data l'ora non volevo allontanarmi dalla pensione. Mi ero già riproposta di uscire la domenica seguente. Decisi svogliatamente di fare un giro veloce tra le bancarelle e poi rientrare al calduccio della camera dove alloggiavo. Alle otto avevo appuntamento con la mia famiglia via webcam. Non era la prima volta che mi allontanavo per lavoro, ma ogni volta la lontananza era sempre più dura. Tutte le sere davo la buonanotte ai miei figli e a mio marito virtualmente, e ringraziavo il cielo per questi nuovi strumenti che abbreviavano in qualche modo le distanze. Da tempo non giravo in un mercato ma nessuna emozione, nessun ricordo piacevole, mi sovvenne. Le cineserie avevano invaso la nostra quotidianità. Tutto sembrava identico. Solo i banchi di dolciumi, tronfi di leccornie, si distinguevano. Erano i più illuminati e colorati. Caramelle di tutti i tipi e aromi vari si mescolavano tra loro in un tripudio festoso che ammaliava grandi e piccini.
-Posali se non hai i soldi!- Un vocione arrabbiato destò la mia attenzione. "T'ajju dittu i posallu! Capisti?"- (T'ho detto di posarlo, hai capito?) Lo vidi là, vicino ad un banco di frutta secca, con in mano un fascio di rose rosse e in un'altra una vaschetta di datteri. Un ragazzetto dalla carnagione scura, i capelli corti, ricci ricci e due occhi d'ebano vivaci. L'espressione di chi era indeciso se correre via col bottino in mano o posarlo mestamente. M'avvicinai e senza pensarci, rivolta al commerciante, chiesi: -Quant'è?- -Due euro, signorina!- Pagai e consegnai la vaschetta al ragazzo che aveva osservato tutto e faceva cenno di no con la testa. -Prendili. Sono per te.- Con un gran sorriso chinò il capo e li prese felice. Sì, sembrava proprio felice di quel piccolo dono. Ricambiai il sorriso e me ne andai, mentre udivo il commerciante borbottare qualcosa nel suo dialetto catanese. Fatti pochi passi, una mano mi toccò il braccio. -Signo-rrina! Per te.- Il ragazzo mi stava porgendo una delle sue rose. -No, non devi. Devi venderle- Gli dissi. -Per te, per te!- continuava a ripetermi col più bel sorriso che avessi mai visto. L'accettai e lo ringraziai. Lui continuava a sorridere e a guardarmi. Avrà avuto si e no sedici-diciassette anni. -Io Ayaan! Mio nome!- -Io Elisa- Risposi. Aprì la confezione di datteri e me la offrì. -Tu prima!- -No, grazie. Sono tuoi. Li ho presi per te- -Capito io, ma io dividere con te- Ne presi uno col sottile bastoncino e lo ringraziai. Poi fu il suo turno. Non dimenticherò mai la sua espressione quando l'assaggiò. Chiuse gli occhi e cominciò a parlare nel suo italiano stentato. -Vedere mio paese, io. Desider-rato tanto questo!- -Di dove sei?- Chiesi -Alger-ria- Mi rispose con la sua erre un po' moscia e cominciò a raccontarmi del suo viaggio insieme ad altri conoscenti del villaggio. -Tutto bene, viaggio. Buono tempo e io arrivato bene qui, ma tanto freddo, tanta sete. Mangiar-re pane, ma no acqua. Brutta sete!- Raccontava e ricordava tristemente quel viaggio della speranza verso le nostre coste. Gli occhi si velarono di malinconia. "Dono del Signore" Significava il suo nome, o almeno, così capii dalle sue spiegazioni. I suoi, già avanti con l'età non aspettavano più un figlio e per loro, lui era un vero miracolo. Un dono da custodire e da far crescere il meglio possibile. Per questo avevano deciso di mandarlo oltre mare a cercare di costruire un futuro migliore. Già...un futuro migliore per Ayaan e tanti altri come lui. Per tanti giovani che non hanno speranza e non credono più in nulla... Mi parlò a lungo di se ed io l'ascoltai con attenzione. Il suo accento strano mi faceva un po' ridere. Era di una simpatia unica. La malinconia passò subito ed apparve vispo ed allegro. Viveva in una casa famiglia per minorenni extracomunitari e di sera, quando poteva, cercava di vendere qualcosa per mandare pochi spicci ai suoi in Algeria. Sprizzava gioia, parlando. In una mezz'oretta mi raccontò quasi tutto di se. All'arrivo a Pozzallo aveva cercato di scappare insieme ad altri due giovani, ma dopo una breve fuga, li avevano trovati zuppi d'acqua e stremati dal freddo. Lui aveva la febbre alta e ci volle un po' perché si riprendesse ed essendo minorenne non lo mandarono ai centri di accoglienza strapieni, ma prima a Catania e da qualche mese si trovava a Siracusa. Era in Italia da quasi due anni. Il destino sembrava benevolo e si trovava bene nella casa che lo ospitava. Si fidavano di lui e poteva uscire libero. Non erano prigionieri in fondo, ma solamente disperati in cerca di rifugio. Continueranno le guerre, gli attentati, le pandemie, "i viaggi della speranza" di milioni di profughi che cercano una vita migliore...la vita scorrerà col suo solito tran tran stressante... Forse vivremo nel buio di questa vita che va dal grigio al nero troppo in fretta e ci catapulta in baratri senza luce, ma poi... Mai perdere la speranza in un futuro migliore e il sole sorge ogni mattina proprio per ricordarcelo e così come l'alba si veste a festa per accogliere il nuovo giorno, così dovremmo far noi.
Aveva un sogno Ayaan e me lo raccontò. Desiderava tanto portare in Italia i suoi vecchi genitori, ma non su un barcone della speranza, no...il suo desiderio era un giorno quello di andare a prenderli personalmente su un aereo di linea e farli viaggiare come signori verso una vita se non migliore, almeno più tranquilla, più serena. Sembrava un fiume in piena. Parlava e parlava. Gli occhi ora s'illuminavano, ora diventavano tristi, ma sorrideva tanto e non stava fermo. Pensai anche che avesse freddo e glielo chiesi, ma mi disse che stava bene. Non aveva più avuto freddo da quando era arrivato. Ricordai del collegamento con la mia famiglia e lo salutai anche se a malincuore. Mi piaceva ascoltarlo. Chissà, magari lo avrei rivisto in giro per la città; a vendere le sue rose. Gli augurai di realizzare il suo sogno e mi ringraziò; con un inchino e un sorriso. Restai a guardarlo sgusciare tra la folla che stava aumentando e m'incamminai con la mia rosa in mano. Decisi che non l'avrei buttata una volta appassita. L'avrei chiusa tra le pagine di un libro e un giorno, ritrovandola, avrei raccontato di quell'incontro ai miei figli. Avrei raccontato loro che seppur costretti alla lontananza per lavoro, eravamo molto fortunati mentre intorno a noi, spesso senza nemmeno rendercene conto, milioni di persone soffrono per motivi ben più grandi dei nostri. Viviamo mondi paralleli con esseri umani che come noi soffrono, amano, aspettano, sperano...eppure, troppo chiusi nei nostri recinti di burocrazia, di lavoro, di stress, di pregiudizi, preferiamo spesso per comodità, o per pigrizia, anche per paura, stare di qua dal recinto. È più sicuro. Oltre vi è l'ignoto e non siamo più capaci di esplorare. Preferiamo i nostri caldi rifugi, ma spero che un giorno tutto cambierà ed abbatteremo senza reticenze quei recinti ingombranti che ci dividono. Ed io voglio crederci ancora per il sorriso di Ayaan e per quello dei miei figli. Mai perdere la speranza in un futuro migliore. Il sole sorge ogni mattina proprio per ricordarcelo e così come l'alba si veste a festa per accogliere il nuovo giorno, così dovremmo far noi squarciando tutti i recinti della nostra coscienza e i silenzi che molto spesso ci opprimono.
Anna Maria Chiapparo - tutti i diritti riservati a norma di legge
Racconto breve premiato con menzione d'onore e pubblicazione nel concorso letterario "Le città invisibili".
NB: la foto è puramente indicativa ed è presa dal web
Ogni tanto il vento portava il rintocco della campana dell'orologio che scandiva ogni quarto.
Era ormai tardo pomeriggio quando cominciò ad udire qualche belato e già imbruniva.
Salendo, il freddo era più intenso e cadeva qualche fiocco di neve che per fortuna si scioglieva subito. Il nonno, nelle lunghe sere invernali gli aveva insegnato tante cose e sapeva che con una bella nevicata, l'aria si sarebbe addolcita, ma non era ancora tempo, a quanto pareva...
Finalmente arrivò al suo piccolo podere dove le caprette erano rinchiuse in una piccola catapecchia dal tetto di lamiera che aveva costruito suo padre.
Dai belati sembravano inquiete e leste sgattoiolarono fuori, appena aprì la porticina di legno.
Intorno alla casupola, c'era un grande recinto chiuso da reti e pali di legno e gli animali, cominciarono a scorrazzare qua e là, finalmente liberi.
Le caprette femmine avevano le mammelle gonfie di latte e si muovevano buffe ed impacciate.
Rocco fu contento di trovarle bene e s'accinse a prendere del fieno ammassato e a spargerlo intorno per le affamate.
Accese poi un bel fuoco e solo dopo cominciò a mungerle una ad una portandosele vicino al caldo dei ceppi scoppiettanti.
Non fu facile, perché scappavano di continuo, ma un po' di latte a tutte le femmine, riuscì a toglierlo.
Era ormai buio quando finì, anche se il suo orologio segnava solo le sei del pomeriggio.
Si accorse di essere sudato per lo sforzo che aveva fatto e si sentì stremato dalla stanchezza.
Accanto al fuoco sgranocchiò un po' di pane e formaggio e dopo una bella bevuta d'acqua fresca della sorgente là vicino, restò a pensare. Le caprette sazie erano più calme e le lasciò tranquille ancora nel recinto. Aveva tutto il tempo per farle rientrare al coperto dato che doveva passare là, la notte.
Intorno sentiva molti rumori sconosciuti e qualche brivido di paura lo aveva, anche se cercava d'incoraggiarsi.
Ogni tanto parlava col mulo legato al castagno, ogni tanto canticchiava.
Quando si sentì riposato, corse intorno per far entrare le capre nell'ovile. Là sarebbero state più protette dal freddo della notte.
Chiuse la porta e s'adoperò ad accendere un altro fuoco nello spiazzo al di là del recinto per paura dei lupi. Legna ve n'era in abbondanza e pregò che non piovesse o nevicasse, spegnendolo.
Accanto alla porticina aveva ammassato del fieno e vi s'accucciò. Il calore del fuoco poco distante, il fieno e la pelle di lana, lo accarezzavano dolcemente e le fiammelle lo rischiaravano.
Il cielo, nell'oscurità s'intravvedeva cupo, ma tra una nuvola e l'altra facevano capolino miriadi di stelle come non aveva mai viste.
I belati nella casupola lo rincuoravano ed ogni tanto s'assopiva vinto dal sonno.
Quando era sveglio canticchiava, pregava, suonava la piccola armonica che portava sempre in tasca. Sobbalzava ad ogni rumore o fruscio, ma rimase ben vigile per tutto il tempo, attizzando spesso i due fuochi.
L'alba lo sorprese meravigliosamente. Nonostante il freddo gelido che aveva gelato tutto, una coltre rossastra, ora sbiadita, ora vivida, lo incantò dolcemente e rimase in uno stato di torpore per ore, incapace di riaddormentarsi.
In quella notte aveva pensato a tante cose e tanti ricordi lo avevano cullato. Pensò a suo padre e pregò che guarisse. Ricordò i Natali passati, i giochi davanti al caminetto, alle noci e nocciole sgusciate con le pietre...
Le scorribande nei vicoli coi suoi amichetti che intanto dormivano al calduccio.
Pensò tantissimo ed immaginò di essere giá grande ed aiutare suo padre.
A giorno fatto aprì nuovamente la porticina e il piccolo gregge si riversò lesto fuori. Non erano tante le sue caprette. Una quindicina, ma davano da fare, dato che per lo più erano femmine da mungere. Bevve un po' di latte tiepido arrangiandosi col secchio e dopo cominciò una nuova mungitura. Aveva deciso di portar giù il gregge anche se col nonno non ne avevano parlato e più leggere, avrebbero affrontato meglio la discesa.
Dietro casa dei nonni c'era un bell'orto con una catapecchia che fungeva da legnaia e ripostiglio e dato che in inverno non coltivavano nulla, aveva pensato che sarebbe stato ideale. Sul posto poteva aiutarlo il nonno e se necessario, lui le avrebbe portate anche a pascolare nei campi.
Spense per bene i fuochi con secchi d'acqua gelata e assicuratosi d'aver legato bene i contenitori del latte al carretto, si mise in cammino.
Sapeva che la discesa sarebbe stata più veloce, ma doveva stare attento alle caprette. Non doveva "stramandarle" (disperderle).
Pian piano riuscì a scendere. La neve aveva cominciato a cadere copiosa e i fiocchi lasciavano già dei piccoli ricami sulle piante lungo i cigli. In certi punti la strada era scivolosa, ma rincuorando il povero mulo, passo a passo, seguì il sentiero. Il gregge festoso lo seguiva come ubbidiente ad un comando invisibile e bastava un fischio per riportarne qualcuna in carreggiata. Quando suo padre sarebbe tornato, gli avrebbe detto di prendere un cane. I cani per i greggi, sono ottimi aiutanti, aveva sentito...
Intravedeva le luci del paese e si sentì felice. Si, proprio felice e sperava anche di rivedere suo padre a casa ad aspettarlo.
In lontananza si udiva una musica come di ciaramelle e man mano che scendeva si faceva più chiara.
Si ricordò che era la vigilia di Natale ed erano arrivati gli zampognari a girare per il paese.
Non sentiva più freddo, Rocco.
Dopo una notte in montagna era contento di tornare a casa e i belati per le vie facevano affacciare le donne curiose che si sporgevano a guardare, a vedere di chi fosse il gregge. Molte non riconobbero il figlio di Bruno "u disgraziatu", in quel piccolo pastorello imbacuccato e si ritirarono infreddolite.
I nonni invece erano sull'uscio speranzosi.
Quando avevano sentito i belati e le ruote del carretto, erano corsi fuori increduli.
Mai si sarebbero aspettati che il nipote tornasse con le capre giù in paese ed invece era proprio lui, il loro ometto coraggioso.
Rocco spiegò al nonno il suo piano e lui sorridendo contento corse ad aprire la porta dell'orto.
-Ah giuvaniajiu mio! U Signuri u ti benedicìa!-
Andava replicando la nonna col rosario in mano.
-Quantu pregai nommu ti succeda nenta e u tùarni pa casa-
Aiutò il nonno a sistemare il gregge ed entrarono in casa.
Con le caprette al sicuro, Rocco si sentì felice, ma sentì addosso anche tanta stanchezza e tristezza al contempo perché non vedeva i suoi genitori.
La nonna però lo aveva tranquillizzato.
Sua madre aveva finalmente chiamato per dire che suo padre si andava riprendendo.
Ci voleva ancora tanto tempo, ma l'operazione era andata bene.
La piccola Nella abbracciò il fratellino e si sciolse in un pianto liberatorio.
-E pecchì giangi? Su ccà mo. Basta va, no hfare a scema-
Il nonno mise a bollire il latte. La notte era ancora lunga e decise che avrebbe preparato la ricotta.
Proprio mentre stavano per sedersi a tavola, con Rocco affamato, passarono nella via, gli zampognari.
Il nonno prese la bottiglia di vino ed uscì ad offrirne loro, un bicchiere per riscaldarli.
Nevicava, ma l'aria si era addolcita.
Era la notte di Natale.
(Anna M. Chiapparo)
Ironicamente, ma neanche troppo...
C'era na vota, 'nta nu focularu,
nu tripodiajiu nigru e arruggiatu
ca na matina si rivijjiau tutt'arraggiatu.
"Non cià hfazzu cchiù
Na suppùartu sta cundanna!
Prima m'arrustanu, puà mi rifriscano
cu nu catu d'acqua 'njelata,
pùa mi jettanu a na ripata.
Si mi va bbona mi dassano
'nta cinnari cunzumata.
Ma u sapiti chi vi dicu?
Tri gambi 'l'ajiu e minda vajiu!"
A hfiancu c'era nu pignatiajiu
chi gujjiìa chianu chianu
e mìanzu addormentato,
'nci domandau:
"E duva tinda vai,
puru ca i gambi l'hai?"
"No sacciu e no tu dicu!
Pemmò su trùappu arraggiatu.
Ti pare giustu,
c'hajiu u suppùartu a chistu?
Ijiu sta assettatu cùamu
nu baruni 'mpistunatu
ed io su tuttu 'mbunnatu!"
"Chi vorrissi dira?"
Rispundiu u puzzunìattu,
quasi 'nto gujjire.
"Puru io su nigru e ammaccatu.
Mi votanu, mi giranu
e mi mettanu i latu."
"Ma chi vai dicìandu?
A vui vi pijjianu, vi votanu,
vi giranu, vi lavanu puliti puliti
e vi posanu sistemati.
Ammìa mi jettanu
cùamu mi trùavu trùavu
ammìanzu a surici e hfolijini
hfilati e sapiti chi vi dicu?
Vùajjiu cchiù rispìattu!
Sugnu io chi ti tìagnu, puzzunìattu!"
"Ohhh...e chi ti vinna?
Stamatina cummìa ta pijjiasti?
Cerca u stai ccittu e mutu,
ca si sulu nu tripùadi arruggiatu,
mancu u m'ìari nu rrè 'ncurunatu!"
U tripodiajiu si ccittìu
quietu e penzerusu...
"Quasi, quasi, 'nci hfazzu
nu partusu e u divacu, accussì
c'abbascìanu l'ali a stu 'mbriacu."
Tutti si ccittiru muti muti e
mentre a hfiamma s'arrìdia
zzumpìandu, u pignatiajiu
jìa penzandu...
"E chi mi vinna a mmia cu sti dui!
Vorrìa u dùarmu e no pùazzu hfare,
vorrìa u gridu e no pùazzu parrare.
Sti dui scìami su cumbinti, ca sulu iji
hannu i chi hfare.
Avìanu raggiuni a ggìanti antichi:
i guai da pignata, i sapa
a cucchiara chi manijia.
Sulu ijia, cummara mia,
u sapa cùamu mi sìantu.
M'inchìanu sempa
di ciciari e suriaca
e rujjiu pe tutta a jornata!"
Si rivijjiau u zzuccu
mianzu cunzumatu e nu gridu minau
pe tuttu u vicinatu:
"O povaru io a chi mani capitai!
Su tuttu vruscìatu!"
Anna M. Chiapparo
(Tutti i diritti riservati)
Un altro anno sta già tramontando e io vorrei augurare a tutti i lettori di questo blog e ai partecipanti a questo sito che siamo maggiormente paesani e amici un felice anno nuovo. Voglio farlo perché mi è sembrato che l'anno 2016 è stato un'anno disastroso, un anno che ogni volta che leggevo il giornale oppure guardavo i comunicati in televisione ogni sera c'era sempre dei disastri accaduti, a Melbourne, in altri posti dell'Australia e in numerose altre parti del mondo.
Il mondo è assai cambiato come tutti sappiamo, in certi casi per il bene ma in tanti altri casi per il male. Son tempi moderni, almeno qui in Australia tempi che i valori di una famiglia sono assai diminuiti, la fede per il cristianesimo è quasi scomparsa, di rispetto verso il prossimo sembra non esiste mentre la gente di oggi va in cerca delle cose materiali. Questo è il nostro mondo e gente come me cerca di ambientarsi con i cambiamenti e le cose moderne ma certi cambiamenti son sono facili e nel caso mio, di certe cose non sono neanche interessato.
Auguro a tutti un Felicissimo Anno Nuovo
Amico di tutti, Pietro Carnovale
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