Così scriveva lo scrittore Corrado Alvaro nel 1930 all'apertura di una conferenza al Lyceum di Firenze: "Mi fu sempre difficile spiegare che cos'è la mia regione. La parola Calabria dice alla maggioranza cose assai vaghe, paese e gente difficile". Le parole dello scrittore calabrese coglievano una caratteristica della Calabria, una terra che ha avuto, ed ha, una seria difficoltà ad essere raccontata, conosciuta ed apprezzata.
A diffondere certe idee sugli abitanti della terra di Calabria si iniziò davvero molto presto. Si cominciò sin dal tempo della dominazione romana quando i Bruzi, gli antichi abitanti della Calabria, erano alleati di Annibale e per difendere la propria autonomia combatterono contro Roma. Per questo i Romani li chiamarono "fures, latrones, homines mali", vale a dire furfanti, uomini malvagi.
Il calabrese nel corso del tempo è stato raffigurato come montanaro taciturno, chiuso, rozzo, selvaggio, uomo fiero, tenace, sempre pronto agli scoppi d'ira ed alle ribellioni.
Questa immagine si rafforzò ancora di più ad inizio Ottocento quando i francesi invasero la Calabria e furono combattuti, frenati nello slancio militare e costretti alla difensiva. Loro, soldati ed ufficiali dell'invincibile Napoleone, presero così a definirci briganti ed a invitare gli europei a non andare oltre Napoli. Uno di loro scrisse infatti:" L'Europa finisce a Napoli. La Calabria, la Sicilia e tutto il resto appartiene all'Africa".
I viaggiatori che avessero avuto intenzione di raggiungere la Sicilia erano consigliati di raggiungere l'isola per via mare, sfidando i pirati tunisini ritenuti più mansueti ed accomodanti dei famigerati banditi calabresi. Sarà stata forse una singolare coincidenza ma quando un secolo dopo si pose mano per la costruzione dell'Autostrada del Sole il primo tratto realizzato si fermò a Salerno. E solo dopo parecchi anni si portò a compimento (?) l'ultimo tratto che da Salerno conduceva a Reggio Calabria. E' sempre, dunque, stato - è lo è ancora - difficile per noi calabresi descrivere e raccontare a chi calabrese non è, alcuni dei nostri avvenimenti, delle nostre cose positive.
Concludo riportando una breve citazione di un altro scrittore, Cesare Pavese, che negli anni trenta confinato dal regime fascista visse in Calabria e così si esprimeva a proposito dei calabresi:" la gente di questi paesi è di un tatto ed una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui, una volta, la civiltà era greca".
A partire dalla fine degli anni '50, si innescò in Italia una fase di rapida trasformazione delle strutture economiche e sociali. Fu un processo che in dieci anni trasformò la penisola da paese in prevalenza agricolo - sostanzialmente sottosviluppato - in un moderno paese industrializzato.
Questa grande espansione economica fu determinata da una serie di fattori simultanei. In primo luogo, fu dovuta allo sfruttamento delle opportunità che venivano dalla congiuntura internazionale dovuta soprattutto all'attuazione del Piano per la ripresa europea (European recovery program), il cosiddetto "Piano Marshall" fu uno dei piani di aiuti economico-finanziari statunitensi per la ricostruzione dell'Europa dopo la Seconda guerra mondiale.
Stato | 1948/49 | 1949/50 | 1950/51 | Totale |
---|---|---|---|---|
Belgio e Lussemburgo | 195 | 222 | 360 | 777 |
Francia | 1,085 | 691 | 520 | 2,296 |
Germania | 510 | 438 | 500 | 1,448 |
Italia | 594 | 405 | 205 | 1,204 |
Svizzera | — | — | 250 | 250 |
* Tutti gli importi sono in milioni di dollari.
La disponibilità di nuove fonti di energia (la scoperta del metano e degli idrocarburi in Val Padana) e la trasformazione dell'industria dell'acciaio furono gli altri fattori decisivi. Il sistema produttivo italiano ne risultò quindi fortemente rivitalizzato ed ammodernato.
Il maggior impulso a questa espansione venne proprio da quei settori che avevano raggiunto un livello di sviluppo tecnologico e una diversificazione produttiva tali da consentire loro di reggere l'ingresso dell'Italia nel Mercato Comune (l'embrione dell' Unione Europea). Il settore industriale, nel solo triennio 1957-1960, registrò un incremento medio della produzione del 31,4%. Assai rilevante fu l'aumento produttivo nei settori in cui prevalevano i grandi gruppi (Fiat, Innocenti, Alfa Romeo, Pirelli, Montedison, Eni): autovetture 89%; meccanica di precisione 83%; fibre tessili artificiali 66,8% .
Ma, va osservato che il «miracolo economico» non avrebbe avuto luogo senza il basso costo del lavoro. Gli alti livelli di disoccupazione negli anni '50 furono la condizione perché la domanda di lavoro eccedesse abbondantemente l'offerta, con le prevedibili conseguenze in termini di andamento dei salari. A partire dalla fine degli anni '50, infatti, la situazione occupazionale mutò drasticamente: la crescita divenne notevole soprattutto nei settori dell'industria e del terziario. Il tutto avvenne, però, a scapito del settore agricolo.
Il risultato di questo processo di espansione economica fu l'imponente movimento migratorio iniziato nella metà degli anni '50 e proseguito negli anni '60 e '70. È stato calcolato che nel periodo tra il 1955 e il 1971, quasi 9.150.000 unità siano state coinvolte in migrazioni interregionali; nel quadriennio 1960-1963, il flusso migratorio dal Sud al Nord raggiunse il totale di ottocentomila unità all'anno. Gli anni '60 furono, dunque, teatro di un rimescolamento formidabile della popolazione italiana. I motivi strutturali che indussero prevalentemente la popolazione rurale ad abbandonare il loro luogo d'origine furono molteplici e tutti avevano a che fare con l'assetto fondiario del Sud, con la scarsa fertilità delle terre e con la polverizzazione della proprietà fondiaria, causata dalla riforma agraria del dopo guerra che aveva espropriato i latifondisti e che aveva suddiviso la proprietà terriera in lotti troppo piccoli. Ai fattori strutturali si accompagnarono quei fattori tipici di attrazione che derivano dai modelli di vita dell'ambiente urbano, con la conseguenza che a decidere di emigrare furono prevalentemente i giovani meridionali della terza generazione del secolo ‘900. Il flusso migratorio fu intercettato soprattutto dal Nord del paese, in quanto, per la prima volta in quegli anni del miracolo economico, la domanda di lavoro superò l'offerta nelle Regioni del triangolo industriale.
L'apice di questo fenomeno, si verificava negli anni '55-'63; le mete furono le città del Centro-Nord Italia, soprattutto Milano e Torino. La popolazione di Torino tra il 1951 e il 1961 raddoppiò, aumentando di una percentuale del 46%, mentre quella di Milano sempre dal 1951 al 1961 aumentò del 24,1%. Ma è tutto il territorio nazionale a mutare fisionomia, da un paese essenzialmente rurale ed agricolo l'Italia si trasforma in una estensione di grandi sobborghi urbani ed industriali dove il cemento è il nuovo comune denominatore.
Altre mete di destinazione furono le città del Centro-Nord Europa; infatti, dopo la crescita industriale che coinvolse anche il resto degli Stati europei, Svizzera, Belgio, Germania e Francia divennero meta di molti nostri connazionali.
Questo flusso di gente divenne così imponente che lo Stato, viste le ingenti e urgenti necessità, stabilì la creazione di un' apposita linea ferroviaria, chiamata il "Treno del sole", che attraversava l'Italia da Nord a Sud, in modo tale da favorire e permettere nel migliore dei modi il dispiegarsi di questi spostamenti.
Gli uomini trovarono lavoro come operai nelle numerose fabbriche che nascevano in gran numero in quegli anni, oppure nei cantieri edili; le donne al contrario erano occupate in lavori a domicilio, nel campo della maglieria, del filato e della sartoria, oppure anch'esse nelle fabbriche. Molti di questi manovali e operai acquisirono in quegli anni un'esperienza tale da permetter loro di diventare in seguito imprenditori nei vari settori in cui avevano fatto esperienza lavorativa.
Il cospicuo movimento migratorio non poteva non creare ampi e diversi sconvolgimenti a livello sociale. Infatti molti problemi si crearono per gran parte della gente immigrata dal Sud. Innanzitutto una situazione di disagio causato dalle diverse condizioni climatiche, dai problemi riguardanti la lingua, perché erano abituati a parlare solamente il dialetto, e dalla difficoltà a trovare un'abitazione. Questo ha causato inefficienze non solo sul luogo di lavoro di operai o manovali, ma anche per i figli di queste famiglie che dovettero affrontare la situazione quando iniziarono la nuova scuola al fianco dei bambini del luogo. Inoltre per loro era anche difficile adattarsi alla vita di città, estremamente diversa da quella a cui erano abituati. Tutte queste difficoltà spesso ebbero delle ripercussioni negative sul loro inasprimento nel posto di lavoro e determinarono una certa insofferenza in questa gente nei confronti della società, che veniva additata come la causa dei loro problemi.
Nel Mezzogiorno, sono tornate di moda le valige di cartone? A dirla con i numeri dei principali centri di statistica italiana e sulla base del rapporto Svimez 2006, sull'economia meridionale nel 2005, sembrerebbe proprio di si.
Tant'è che – se è vero e non c'è alcuna ragione per dubitarne vista l'autorevolezza delle fonti e la possibilità di verificarlo anche "de visu" – ciò che rilevano i principali protagonisti della ricerca del nostro Paese, nel corso degli ultimi 9 anni (1997-2004) sono stati oltre 630mila (addirittura quasi 100mila, quelli che hanno staccato il biglietto di viaggio nel solo 2005, mentre stando alle prime stime sarebbero stati ben 130mila quelli che lo hanno fatto nel corso dei primi nove mesi del 2006) i giovani meridionali che hanno lasciato la propria terra nel tentativo di trovare un "posto al sole" nell'Italia più ricca e più "fertile" di lavoro: quella centro-nord. Vanno nelle regioni del nord-ovest (32,1 per cento), nel nord-est (27,4 per cento) e nel centro (26,5 per cento). Mentre soltanto il 14 per cento di quanti emigrano, lo fanno rimanendo comunque fermi all'interno del perimetro dell'Italia meridionale. Del resto, non potrebbe essere che così, visto che - per quanto non uniforme in termini di sviluppo - il Mezzogiorno, in ogni caso, presenta dappertutto, anche se con maggiore o minore intensità, gli stessi problemi. Numeri che, senza ombra di dubbio alcuno, fanno pensare ad una vera e propria emigrazione di massa che ricorda, dal punto di vista quantitativo, quella degli anni '50 e '60, quando l'unica e sola opportunità di occupazione per i ragazzi del Sud era quella di trasferirsi al Nord. A muoversi, oggi come negli anni '50, i giovani tra i 20 ed i 35 anni, delusi dalla lunga ed inutile attesa di un posto di lavoro, ma soprattutto dal cattivo funzionamento del mercato del lavoro nel Sud, sempre più condizionato ed ingessato dagli errori nelle scelte delle politiche regionali, in materia di occupazione e preoccupati di dover prima o poi, per sopravvivere, rifugiarsi nel "sommerso", con tutti i rischi, i limiti e le inadeguatezze che contraddistinguono il mondo del lavoro "nero".
Se ne ricava, quindi, che il nuovo fenomeno dell'emigrazione va letto ed analizzato sulla base di una duplice chiave interpretativa.
La prima rappresentata dal fatto che, i "fujenti", vogliono assicurarsi uno stipendio, senza dover dipendere eternamente dai genitori e la seconda dal loro "no" convinto ad una classe dirigente che non stimano, ritenendola, da un lato, vittima e, dall'altro, essa stessa portatrice e mallevadrice di interessi "confliggenti", spesso con quelli generali. Sicché, se ne vanno alla ricerca di una società meno politicizzata e più aperta, dove i meriti siano garantiti e difesi dall'attacco spietato del clientelismo; più trasparente negli obiettivi e meno corrotta nelle scelte; più sicura e meno violenta; dove il riconoscimento di un proprio diritto, sia evento di ordinaria quotidianità e non una "gentile concessione" del "principe" di turno.
Ciò che, però, differenzia l'emigrazione "anni duemila" da quella dell'immediato dopoguerra è la qualità di quanti intraprendono quello che una volta era definito come "il cammino della speranza".
A muoversi, infatti, non sono più i derelitti, i "senza arte né parte", i manovali o quelli privi di qualsiasi specializzazione e, proprio per questo, senza prospettive, ma sono i lavoratori qualificati, i diplomati ed i laureati. Giovani, quindi, che hanno acquisito una specificità, hanno studiato e, pertanto, possono mettere in gioco professionalità e preparazione. Per conseguenza, sarebbero potenzialmente in grado di aspirare alla conquista di un ruolo di prestigio nel contesto della società contemporanea. Un'aspirazione decisamente difficile da soddisfare nell'Italia del tacco, dove certe prospettive - almeno per il momento - sono praticamente nulle. Tutto questo, se, da un lato, rappresenta un grosso vantaggio per il Sud che vede, così, ridursi in misura consistente il proprio tasso disoccupazionale; dall'altro, nasconde due rischi enormi e, a ben vedere, decisamente più preoccupanti del vantaggio che ne deriva.
Il primo rappresentato dal fatto che interagendo con la notevole diminuzione della natalità (appena un terzo di quella degli anni '90) sta producendo una grossa contrazione del numero dei residenti nel Mezzogiorno, al punto che l'incidenza dei residenti nel Sud sul totale della popolazione italiana che nel '90 toccava il 36,2 per cento, oggi si è ridimensionata al 35,5.
Il secondo, ancor più pesante se letto in prospettiva futura, è che continua - anzi, si accentua - la fuga dei cervelli dal Mezzogiorno verso l'Italia settentrionale. Cosa che, nel mentre arricchisce quest'ultima, impoverisce ulteriormente il Sud di potenzialità e professionalità, che potrebbero, se ben utilizzate, dare un contributo notevole allo sviluppo del meridione. Ed il peggio è che siamo di fronte ad una situazione che, in verità, non dà segni di volersi arrestare. Tant'è che, secondo i dati del progetto Sud-Nord-Sud, gestito dall'agenzia tecnica per le politiche attive di Italia Lavoro, altre diverse migliaia di giovani meridionali si stanno preparando a seguire lo stesso percorso.
Il bilancio demografico di Acquaro: nel 2007 la popolazione è diminuita di 60 unità che si sono spostate nel Nord Italia. Il bilancio Nascite-Morti è in "perdita": Acquaro tende a scomparire.
Nella città di Vibo è interessante evidenziare la concentrazione di flussi provenienti dalle zone interne al territorio provinciale che decidono di ubicare la propria dimora nel Comune di Ionadi.
Vi è un nuovo fenomeno di migrazione ormai ben consolidato ed identificato con il cosiddetto "viaggio della speranza". Sempre più persone, indistintamente uomini e donne, residenti nel Sud della Penisola, ricorrono alle prestazioni sanitarie di regioni del Centro e Nord Italia (46% per trapianto di fegato, 30% problemi cardio-vascolari, etc.). Per quanto riguarda la nostra Regione i numeri affermano che circa 67mila calabresi assicurano la propria salute fuori dei confini regionali.
Le mete più ricercate sono Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Veneto e Toscana. E' qui, non a caso , che si trovano i centri d'eccellenza sanitaria più riconosciuti: il San Raffaele e l'Istituto Europeo di Oncologia (Milano), Il Bambin Gesù (Roma), il Rizzoli (Bologna), etc.
Se nel 2003 si sono registrati circa un milione di ricoveri in mobilità (in maggioranza dal Sud), c'è la riprova che la situazione della sanità meridionale è allo sbando, in un lento ed inesorabile calvario.
A tre anni dalla laurea la disoccupazione. E se il lavoro c'è, è atipico e per pochi: privilegiati, benestanti e raccomandati. In questi casi si resta, negli altri si va. Da Sud a Nord: altra città, altra casa, altra vita. Si diventa emigranti, con una laurea in valigia e la speranza di farne buon uso.
Per i neolaureati meridionali mancano alternative; le partenze negli ultimi anni sono triplicate; mentre chi resta si affida a conoscenze e raccomandazioni per cercare lavoro.
Le cause? Diverse e complesse, ma in primo piano ci sono la scarsa mobilità sociale, la mancata ripresa economica e il sistema scolastico.
È quanto sostiene una ricerca della Svimez, (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), che prende in esame la mobilità territoriale, la condizione professionale e occupazionale dei laureati meridionali a tre anni dalla laurea. Nel lavoro pubblicato sul quaderno "I laureati del Mezzogiorno: una risorsa sottoutilizzata o dispersa" e condotto su dati Istat dai professori Mariano D'Antonio e Margherita Scarlato dell'Università di Roma Tre, si legge infatti che la forbice sociale tra giovani dei ceti alti e bassi nel Mezzogiorno è frutto di un "sistema di istruzione che contribuisce soprattutto ad amplificare la distanza tra aree ricche ed aree povere". Mentre "dovrebbe compensare gli svantaggi di partenza portando allo stesso livello figli di famiglie di diverso reddito e grado di istruzione".
Emigrazioni in crescita. Nel 2004, a tre anni dalla laurea, il 46,4 per cento dei laureati meridionali che hanno studiato al Sud e si sono laureati in corso è disoccupato. Disoccupato anche il 43,3 per cento dei laureati con il massimo dei voti a fronte del 30,8 per cento del Centro-Nord, dove oltre l'80 per cento dei laureati fuori corso da più di tre anni ha comunque trovato un'occupazione.
Si spiegano così gli altri dati che indicano un progressivo incremento delle emigrazioni: nel 1992 i giovani meridionali che emigravano al Nord dopo la laurea erano il 6 per cento; nel 2001 sono diventati il 22 per cento. In valori assoluti, da 1.732 a 9.899 laureati e tra questi più ingegneri ed economisti. Ma la crescita ha riguardato anche i giovani che hanno scelto il Centro-Nord per frequentare l'Università: in percentuale, erano un terzo (pari a 6.618 studenti) nel 1992, sono saliti al 60 per cento (10.539 unità) nove anni dopo. Rimane invece molto bassa la quota di studenti che dal Centro-Nord si sposta al Sud per studiare: nel 2001 sono stati soltanto 779.
"Nel Mezzogiorno il mercato del lavoro è opaco, molto più di quanto lo sia a livello nazionale - nota Margherita Scarlato, docente di Economia dello sviluppo all'Università di Roma Tre - l'accesso non meritocratico al lavoro è più forte. E non è solo un problema di stagnazione economica. Laddove è carente la qualità dell'istruzione scolastica infatti è molto più determinante il ruolo della famiglia. Perciò l'origine sociale e territoriale continua a determinare fortemente l'accesso all'istruzione, il rendimento, e la collocazione nel mondo del lavoro".
La forbice sociale. I dati analizzati mostrano la differenza delle opportunità: fra i laureati meridionali sono soprattutto i figli di dirigenti (22,7 per cento) e di liberi professionisti (23,6 per cento) a laurearsi in corso. Inoltre sono soprattutto i 'figli dì a laurearsi nel Centro-Nord (20,9 per cento) o a trasferirsi dopo aver studiato al Sud (24,2 per cento), favorendo così le migliori possibilità di crescita professionale. "Servono interventi rigorosi di inclusione sociale per evitare che i giovani restino ai margini - ribadisce la professoressa - altrimenti non ci saranno davvero limiti alle emigrazioni. Chi emigra lo fa per necessità, per avere una possibilità di crescita e di lavoro, e nella maggior parte dei casi non è una scelta privata".
Il discorso vale per la Campania, regione con la più forte migrazione di neolaureati: un valore nel 2001 pari al 21,3 per cento del totale dei laureati (erano il 15,2 nel 1998); vale per la Calabria (18,3) e per Puglia e Sicilia (pari entrambe a 17,4 per cento). Minore invece la propensione al trasferimento per i molisani (12,9) e gli abruzzesi (13,2).
E per chi sceglie di restare? Lavoro atipico, spesso frutto della rete di conoscenze. Secondo l'indagine, se si è figli di dirigenti e imprenditori ci si affida ad amici, conoscenti e parenti per la ricerca dell'impiego (tra il 37 e il 41 per cento dei casi), più di quanto facciano altri lavoratori autonomi (22-25 per cento). Ma in questi casi la distanza tra Nord e Sud si accorcia: anche al Nord i figli di dirigenti e imprenditori si rivolgono a canali informali. E anche là i contratti li fanno a progetto.
Nota: Questo testo è stato scritto in occasione della Festa degli Emigrati del 2008.
Quante persone hanno dovuto dire addio alla propria famiglia, agli amici, alla propria casa al proprio paese, alle sue strade, ai suoi panorami, ai suoi colori, ai suoi sapori. Partire per un paese straniero, senza conoscere la lingua e con pochi soldi. Una storia che si ripete nei secoli, coinvolgendo le diverse generazioni. Una storia spesso a lieto fine, ma non bella. Una storia, comunque, vera. Storia da raccontare, affinché le nuove generazioni conoscano i sacrifici dei padri, nella speranza che un giorno le cose cambino ed esse, questi sacrifici non li debbano fronteggiare. È la storia dell'emigrazione nel nostro paese, una storia infinita che, a tutt'oggi, sembra non voler ancora scrivere il suo ultimo capitolo.
Come tutte le Regioni dell'Italia meridionale, la Calabria ha dato, e dà tutt'ora, all'emigrazione il suo grande tributo. Nel computo di tale tributo, ovviamente, vanno inclusi tanti acquaresi i quali, ad iniziare probabilmente dalla fine dell'800, hanno dovuto lasciare il loro paese per prendere la via dell'emigrazione.
È difficile descrivere con precisione l'andamento dell'emigrazione di un piccolo paese come Acquaro, perché i dati che si hanno a disposizione sono per lo più dati generali che, come minimo, riguardano l'intera regione. Ciononostante, in base ai racconti ed anche a delle semplici supposizioni logiche, abbiamo tentato di realizzare questo lavoro che non vuole essere né scientifico né esaustivo, ma mira alla ricostruzione per grandi linee del fenomeno dell'emigrazione acquarese, inserita nel più vasto contesto dell'emigrazione provinciale, regionale, del sud e dell'intera nazione.
La storia dell'emigrazione calabrese inizia dall'unità d'Italia. Prima dell'unità, per volontà piemontese, il Regno delle 2 Sicilie era tra i più vasti e potenti Stati d'Italia, con una florida agricoltura che alimentava commerci in espansione, ed un buon livello di sviluppo industriale. C'erano stabilimenti siderurgici, cantieri navali, fonderie (Ferdinandea, ad esempio) fabbriche d'armi (Mongiana è sorta intorno alla sua ferriera), stabilimenti tessili ed altro che davano lustro all'economia del regno.
Inoltre, l'Unità portò con sé anche un nuovo sistema di tassazioni che raccoglieva introiti da tutte le regioni, ma non li divideva poi equamente (succedeva un po' quello che lamenta oggi, al contrario, Bossi). Si veniva a delineare così, quella che è a tutti nota come QESTIONE MERDIONALE con cui si indica, appunto, l'emergente divario tra le due Italie.
A ciò si aggiunse l'espansione demografica che, a partire dal 1860, ebbe luogo in tutta Italia, e contribuì a mettere in condizioni sempre più critiche la già incerta economia del Sud, dove l'offerta di lavoro superava la domanda.
Venivano create le premesse perché la mano d'opera del Sud divenisse esercito di manovra per servire il grande disegno capitalistico italiano e mondiale.
Era quasi regola che altri compaesani seguissero la corrente migratoria aperta da quanti, più innovatori e avventurosi, avevano già varcato l'oceano, magari richiamati da essi o, comunque, invogliati dalle lettere che indirizzavano a casa, testimoniando successi raggiunti all'estero ed influenzando il flusso emigratorio. Inoltre, l'Italia, che non è mai stata in grado di prevedere valide politiche di crescita delle aree depresse, incoraggiò tali richieste e, dunque, l'emigrazione, la quale risolveva anche il problema dell'eccedenza di manodopera interna ed era una valvola di sfogo contro le tensioni sociali.
Ciascun flusso deve essere considerato come quello prevalente in quel periodo. Comunque non è detto che altri non sceglievano altre mete. Così come, il passaggio tra un flusso ed un altro, si determina attraverso delle sfumature per cui, il flusso verso una destinazione si conclude gradatamente e gradatamente inizia quello verso un'atra destinazione.
L'emigrazione, anche quella oltre oceano, è sempre stata comunque vissuta come provvisoria. Almeno da coloro che partivano da soli, senza portarsi dietro la famiglia.
Il sogno di diventare ricchi e importanti, per poi tornare al paese natio e riscattarsi da anni di privazioni e umiliazioni, era inseguito dalla maggior parte di coloro che emigravano. Molti ci riuscivano. Altrettanti no, e mettevano su famiglia nella nuova patria, richiamando la moglie rimasta ad Acquaro o sposando una donna del luogo o, accadeva spesso, anch'essa emigrata chissà da dove.
Nel primo periodo, compreso tra la fine dell'800 ed il periodo antecedente la seconda guerra mondiale, le destinazioni privilegiate erano quelle oltreoceano, in particolare LA MERICA, termine con cui s'indicava sia l'AMERICA LATINA (ARGENTINA, BRASILE, VENEZUELA), che quella del nord, CANADA E USA.
L'Argentina, ad esempio, ha accolto molti nostri compaesani soprattutto della frazione Limpidi, stabilitisi a Buenos Aires. Qui, con alcuni provvedimenti presi dal governo, si assegnavano gratuitamente terreni a giovani coppie di agricoltori, a condizione che vi costruissero una casa, vi risiedessero e li coltivassero. Queste condizioni erano più che accettabili per i braccianti agricoli che erano allora in cerca di lavoro, e ciò spinse molti a muoversi per tentare la fortuna in Argentina.
È da dire che, aldilà di nozioni generali, le informazioni che siamo riusciti a raccogliere nel nostro paese sulle destinazioni americane sono poche o nulle. Ed il motivo è semplice. Essendo questa un'emigrazione dei primi del '900, i compaesani che sono emigrati verso tali paesi e che, dopo aver fatto fortuna, hanno deciso di tornare ad Acquaro, non ci sono più, sono morti.
Comunque, per ciò che riguarda gli Usa, qualcosa d'interessante siamo riusciti a recuperarla. Il porto di partenza per questa destinazione era NAPOLI, da dove la nave salpava, attraversando il MEDITERRANEO e toccando i porti di ALGERI (nel NORD AFRICA) e ALMERÌA (nella SPAGNA ANDALUSA), per poi imboccare, da GIBILTERRA, l'OCEANO ATLANTICO, procedendo dritto verso NEW YORK, città d'approdo.
Le navi si chiamavano:
"CITTA' DI NAPOLI": la più vecchia, come anno di costruzione (1871), su cui abbiamo rintracciato degli acquaresi (Pietro De Lorenzo, Domenico Pitisano). Fu costruito dal cantiere HARLAND & WOLFF DI BELFAST per conto della White Star Line che, alla fine del 1902, lo rivendette alla Compagnia La Veloce che lo riadattò per il trasporto di 1.424 passeggeri di terza classe.
"NORD AMERICA": costruito nel 1882, fu dapprima usato per il trasporto del tè dalla Cina e divenne famoso per la velocità delle sue traversate. Nel 1883 la Compagnia di Navigazione La Veloce lo acquistò allestendolo per ospitare 90 passeggeri in prima classe, 100 in seconda e 1.223 in terza. Nel dicembre 1908 fu utilizzato per curare ed ospitare i sopravvissuti del terremoto di Messina. Nel 1909 fu trasformato in nave da carico. È quello su cui abbiamo rintracciato più acquaresi, ben 21: Rottura Felice, Malvaso Giuseppe, Galati Domenico, Montirosso Pasquale, Rottura Gerolamo, Acquaro Vincenzo, Salatino Giuseppe, Iaconis Gabriele,D'Antona Pasquale,Cirillo Pietro, Malvaso Domenico, Scarmozzino Nicola, Scarmozzino Bruno, Rottura Pietro, Luzza Matteo, Iaconis Nicola, Fermo Filippo, Cosentini Vincenzo, Malvaso Francesco, Talomo Giovanni, Zappone Antonio.
PRINCIPE DI SICILIA": costruito nel 1889 per conto di Mala Real Portugueza, bandiera portoghese, venne nominato Mocambique e nel 1898 Alvarez Cabriel. Venduto alla Principe Line nel 1902, fu ribattezzato il Principe di Sicilia. Nel 1909 fu ceduto alla Trasports Line, bandiera britannica, che lo utilizzò sulla rotta Rotterdam-New York. Su esso misero piede: Barilaro Giuseppe, Scarmozzino Pasquale, Talomo Natale, Lamanna Domenico, Malvaso Vincenzo, Malvaso Raffaele, Scarmozzino Domenico, Crupi Francesco.
"GIULIA": costruito nel 1904 da Russell & Co., in Scozia per conto della austro-americana Line, bandiera austriaca. Nel 1919 fu acquistato dalla Unione di navigazione SA di Trieste e nel 1920 dalla Cosulich, societa' di navigazione triestina. Successivamente venne convertito in una nave cargo. Distrutto da una mina nel 1918. Acquaresi a bordo: Malvaso Vincenzo, Malvaso Raffaele, Scaramozzino Domenico Antonio, Tedesco Antonio, Crupi Francesco, Scaramozzino Giuseppe, Lamanna Domenico, Talomo Natale, Scaramozzino Pasquale.
"EUROPA": costruito nel 1906 dai Cantieri Navali Siciliani di Palermo per conto della Compagnia La Veloce di Genova. Nel 1922 passò alla Navigazione Generale Italiana che lo utilizzò sulle rotte per il Sud America. Acquaresi a bordo: Gagliardi Vincenzo, Cosentini Giuseppe, Tascone Giuseppe, Tascone Pasquale, Schiavello Domenico, Giofré Diego.
"VENEZIA": costruito nel 1907 in Inghilterra per la FABRE LINE, compagnia di navigazione francese, poteva trasportare 1880 passeggeri, 1800 dei quali in terza classe. Su esso giunse a New York Giuseppe Crupi.
"AMERICA": costruito nel 1908 dai Cantieri NAVALI RIUNITI DEL MUGGIANO, LA SPEZIA, per conto della COMPAGNIA DI NAVIGAZIONE LA VELOCE DI GENOVA, Nel 1912 fu venduto alla società NAVIGAZIONE GENERALE ITALIANA iniziando nello stesso anno i viaggi sulla linea Genova - Napoli - New York – Filadelfia. Nel '23, il biglietto per la terza classe aveva avuto un incremento di 50 lire rispetto al '21, passando a 1650 più 8 dollari allo sbarco.
"OCEANIA": vapore della "LA VELOCE LINE", costruito nel 1909 e rinominato, nel '12, "STAMPALIA", Trasportava 2500 passeggeri, 2400 in terza classe. Su di esso viaggiò Francesco Crupi.
"PRESIDENTE WILSON": costruito nel 1911 dal Cantiere Navale Triestino di Monfalcone per conto dell'Austro American ine di Trieste. Il 13 giugno 1914, al ritorno dal viaggio Trieste - New York, rimase in disarmo nel porto di Trieste per tutta la durata della prima guerra mondiale. Nel 1919, con la cessione di Trieste all'Italia, l'Unione Austriaca venne ricostituita e registrata come compagnia italiana con il nome di Cosulich Line e le sue navi batterono bandiera italiana. Nel 1919 fece il primo viaggio post-bellico sulla tratta Genova-Marsiglia-New York trasportando prevalentemente truppe americane di ritorno in patria. Alla fine del 1925 i motori furono convertiti da carbone a gasolio. Questo piroscafo è stato il più grande, in assoluto, della Marina austro-ungarica e, fino all'entrata in servizio del Conte Rosso (19 febbraio 1922) anche della Marina mercantile italiana. Nel '21 il biglietto di III classe aveva il costo di 1600 lire più 8 dollari allo sbarco. Acquaresi a bordo: Giofrè Domenico, Ierardo Pasquale.
"SATURNIA": costruito nel 1924 dal Cantiere Navale Triestino di Monfalcone per conto della Società di Navigazione COSULICH LINE, poi confluita con le sue navi nella nuova Italia Società di Navigazione - Flotte Riunite. Fece il suo ultimo viaggio il 7 marzo 1965. Su di esso viaggiò Crupi Giuseppe.
Giunti nel continente nuovo, gli emigrati sbarcavano nel porto di New York, dove, i passeggeri con passaporto americano oppure gli stranieri con biglietti di prima e seconda classe, pochi, controllati superficialmente a bordo della nave, potevano sbarcare tranquillamente (la superficialità dei controlli induceva taluni emigrati, che temevano di non essere ammessi in America, a fare uno sforzo in più e comprare il più costoso biglietto di seconda classe).
Il resto dei passeggeri, la stragrande maggioranza della terza classe, veniva prelevato con un'imbarcazione e trasportato in un altro luogo, dove veniva messo in quarantena.
Quel luogo, ubicato nella baia di New York di fronte alla statua della libertà, si chiamava, a si chiama tutt'ora, ELLIS ISLAND, un isolotto alla foce del fiume Hudson, il quale, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stato la frontiera d'ingresso per gli immigranti che sbarcavano negli Stati Uniti, il luogo dove milioni di emigranti furono ispezionati prima di entrare in America. Tra loro, tantissimi acquaresi.
Come detto, i passeggeri di terza classe venivano prelevati dal porto di New York con dei traghetti, malconci e sovraffollati, sui quali venivano tenuti per diverse ore, in attesa che la coda al centro di smistamento si smaltisse.
E' facile immaginare le condizioni fisiche e morali di questa fiumana di persone che arrivava dopo un viaggio faticoso e doloroso.
Ad ELLIS ISLAND ciascun emigrante subiva un primo controllo medico in seguito al quale, chi aveva deformità tali da richiedere un ulteriore esame, veniva marcato con un gesso dietro la schiena (C significava congiuntivite, PG donna incinta, K per ernia, S per età avanzata, X problemi mentali), escluso dal flusso principale ed inviato in un'altra stanza per un esame più approfondito. In questi casi spesso venivano a separarsi dei nuclei familiari, senza che, non conoscendo la lingua, sapessero il motivo di tale separazione.
Ognuno, poi, dopo un'attesa che poteva durare anche giorni, otteneva la cosiddetta INSPECTION CARD con un numero identificativo col quale gli emigrati venivano avviati al Registry Room (Sala di Registrazione) per il controllo individuale vero e proprio, il momento più temuto in quanto la paura di essere rifiutati era grande.
Per i più sfortunati infatti, ritenuti non idonei, c'era il ritorno sulla stessa nave con cui erano arrivati (nave che aveva l'obbligo di riportarli indietro al porto d'imbarco). Percentualmente gli esclusi erano circa il 2% (che potrebbero sembrare pochi ma, in anni di picco immigratorio, questo numero poteva significare migliaia di individui al mese rimandati a casa).
Molti di questi disgraziati, che avevano affrontato chissà quali sacrifici per acquistare il biglietto, non accettavano questo verdetto e, piuttosto che tornare a casa e palesare il loro fallimento ancor prima di aver iniziato l'avventura nel nuovo paese, si tuffavano cercano di raggiungere a nuoto Manhattan. I tanti che non ci riuscivano arrivavano anche al suicidio.
Passate le visite mediche si passava al colloquio. Nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, professione, precedenti penali. La domanda più insidiosa era l'ultima: Hai un lavoro? Occorreva dimostrare di essere in condizioni di lavorare e di mantenersi.
Questo, per cercare di prevenire ciò che sta accadendo oggi anche in Italia, cioè, cercare di proteggere i salari americani dalla concorrenza di manodopera a basso costo proveniente dall'estero.
Dopo l'ispezione, gli immigranti scendevano dalla Sala di Registrazione per le “Scale della Separazione” (cosiddette, appunto, perché segnavano il punto di divisione per molte famiglie e amici che andavano verso diverse destinazioni).
Ricevevano alla fine il permesso allo sbarco e venivano indirizzati verso il molo del traghetto per New York. Lasciata l'isola, gli immigrati raggiungevano, infine, le stazioni da dove sarebbero partiti per i vari stati americani, da un capo all'altro degli Stati Uniti.
Nel '54, Ellis Island chiuse i battenti. Gli edifici, abbandonati fino alla metà degli anni Ottanta, hanno custodito i microfilm delle liste passeggeri e gli archivi dei servizi dell'immigrazione, vennero ristrutturati nel 1990 ed adibiti a Museo dell'Immigrazione. Un museo che ricrea l'atmosfera del luogo da dove passarono milioni di italiani e tanti nostri compaesani. Oggi, oltre cento milioni (40 per cento della popolazione) di americani possono far risalire la loro origine negli Stati Uniti a un uomo, una donna o un bambino che passarono per la grande Sala di registrazione a Ellis Island. Chissà quanti acquaresi.
C'è un interessantissimo sito web (heritage.statueofliberty.org) dove, chiunque abbia un parente emigrato negli States, che sia passato da Ellis Island, e ne conosca la data di partenza, può visualizzare la scheda compilata contenente tutti i dati della persona interessata.
Questo, era ciò che dovevano affrontare i nostri compaesani che si recavano in America inseguendo il sogno di una vita con meno stenti, rincorrendo la scia della speranza di un domani migliore per loro ed i loro figli.
Nota: Questo testo è stato scritto in occasione della Festa degli Emigrati del 2008.
Tra il 1917 e il 1924 la porta d'oro americana cominciò a diventare più stretta. Nel 1917 fu approvato il Literary Test, una legge restrittiva e selettiva insieme, che chiudeva le porte del continente americano agli immigrati che non sapevano né leggere né scrivere. Nel 1924 una nuova legge, il Quota Act, stabiliva una quota massima annuale d'immigrati che potevano essere accettati da ogni altra singola nazione del mondo, preferendo gli stati del Nord a quelli del Sud d'Europa. Uno dei Paesi maggiormente colpiti da queste limitazioni fu l'Italia.
Contemporaneamente, i paesi dell'America Latina, in particolare l'Argentina, iniziarono ad essere attraversate da sempre più frequenti crisi economiche.
A ciò si aggiunga la politica fascista volta all'incremento demografico e, dunque, restrittiva dell'emigrazione. Secondo il regime, infatti, l'emigrazione rappresentava una perdita di energie utili che portava all'indebolimento della nazione, e per questoandava combattuta puntando sull'incremento delle nascite.
Infine, l'avvento della seconda guerra mondiale.
Queste ed altre congiunture fecero sì che il flusso verso le Americhe, poco a poco andasse scemando. Non fu così per i problemi della Calabria e del nostro Acquaro. Questi perduravano e continuarono ad alimentare l'emigrazione. Così, dal secondo dopoguerra, con particolare ed impressionante intensità a partire dagli anni '50, una nuova meta cominciò ad affacciarsi all'orizzonte dei nostri compaesani, attraendo flussi sempre maggiori di gente che percorrevano la strada di un sogno, costellata d'ostacoli, nella speranza di una sorte migliore. Gli acquaresi, qualche centinaio di anni dopo il capitano James Cook, scoprirono anch'essi l'Australia, il continente nuovissimo che dava grandi opportunità stimolando un nuovo immenso flusso migratorio. Per l'Australia, i nostri compaesani, partivano prevalentemente da due porti, Messina e, più raramente, vista probabilmente la maggior distanza, Napoli.
Dalle notizie che abbiamo raccolto, le compagnie di navigazione che facevano la spola tra il vecchio continente e quello nuovissimo, erano prevalentemente 2: Il Lloyd Triestino (ex Lloyd austriaco), la compagnia di navigazione più antica d'Italia, e la flotta Lauro. Ognuna delle compagnie, nel periodo del pieno flusso verso tale meta, aveva un'agenzia che organizzava il viaggio: per il Lloyd il viaggio veniva prenotato presso il signor Nicola Crupi, mentre, per la flotta Lauro i biglietti erano venduti da Fortunato D'Agostino.
Tante le navi su cui gli acquaresi misero piede. I loro nomi susciteranno in molti di voi tanti ricordi, più o meno piacevoli.
Alcune di queste si chiamavano:
"UGOLINO VIVALDI", che, a quanto ci è stato riferito, fece un unico viaggio per l'Australia nel '46, per essere poi dismessa da questa rotta perché troppo piccola ed inadeguata ad affrontare un simile tragitto.
"AUSTRALIA" costruita nel 1951 (gemella della nave "OCEANIA" e della "NEPTUNIA"). Aveva 13.140 tonnellate di stazza, presentava una lunghezza di 161,1 metri ed una larghezza di 21,1 metri, poteva sviluppare 18 nodi marittimi di velocità e ospitava 672 passeggeri.
"NEPTUNIA" (Lloyd Triestino), costruita nel 1932 con una stazza di oltre 11 mila tonnellate a vuoto per una capienza di circa 1000 passeggeri. Una sua caratteristica erano le cabine intercambiabili. Questo permetteva di variare i posti, a seconda delle richieste. Era una delle navi più vecchie durante il boom dell'emigrazione degli anni '50, assieme alla gemella "OCEANIA", anch'essa del Lloyd, erano, al momento del varo, i due più veloci mototransatlantici al mondo con una velocità di 22,56 nodi.
"SYDNEY" (Flotta Lauro), il transatlantico detto anche "la nave delle spose" perché portava in Australia decine di ragazze maritatesi per procura, matrimoni che venivano spesso fatti con la frode, e a volte i mariti, conosciuti solo per foto, non corrispondevano poi realmente all'immagine riprodotta e ci è stato detto, per tale ragione, le spose, a volte, addirittura si rifiutavano di scendere dalla nave. Dalle informazioni che abbiamo raccolto, la Sidney era una delle due sole navi della flotta Lauro, con la "ROMA", a fare la rotta per l'Australia.
Poi, ancora, "GALILEO GALILEI" e la gemella "GUGLIELMO MARCONI". Costruite agli inizi degli anni '60, erano le più moderne e le più grandi navi passeggeri mai possedute dal Lloyd Triestino ed anche le più grandi mai impiegate sulle rotte fra il Mediterraneo e l'Australia. Costruite con accorgimenti all'avanguardia per i tempi, tanto da meritarsi un premio, erano lunghe più di 200 metri ed avevano una capienza di circa 1600/1700 passeggeri, qualche centinaio più di mille dei quali in terza classe. Il 30 novembre 1966 la Guglielmo Marconi investì ed affondò a Messina il rimorchiatore Pioniere che l'assisteva nelle operazioni di partenza. Il 30 dicembre 1975 giunse a Genova dall'ultimo viaggio in Australia. Il 12 gennaio 1975 la Galileo Galilei urtò contro un oggetto sommerso lungo l'Africa Occidentale mentre era diretta in Australia e fu costretta a poggiare su Dakar, per un'ispezione allo scafo. A causa dei danni riportati dovette rientrare a Genova per sei settimane di lavori.
I pionieri, primi ad imbarcarsi nell'avventura verso il continente nuovissimo, aprendo la strada verso quella che sarà la seconda tappa privilegiata, dopo le Americhe, come nuova patria furono due acquaresi, il signor Domenico Antonio Lanciana ed il signor Pasquale Macrì che, nel 1921, in compagnia di altri undici persone di Limpidi, tra cui i signori Gaetano Figliuzzi, Ferdinando Giofrè, Pietro Muratore, e di tanti altri calabresi, siciliani e lucani, sfidarono la dea bendata e, allora da Napoli, presero i mari sul piroscafo San Russore, della cui esistenza non siamo riusciti però a trovare riscontro, impiegando, pensate, per arrivare a destinazione, ben 74 GIORNI.
All'inizio, non trattandosi di manodopera specializzata, gli acquaresi che si recavano in Australia, continuavano a svolgere l'occupazione che svolgevano ad Acquaro, lavorando nei campi. Un lavoro duro, cui però erano abituati. Ci è stato raccontato che alcuni acquaresi, impegnati durante le torride estati, a tagliar felci, probabilmente per preparare il campo alla semina, arsi dalla sete, non avendo acqua, mettevano in bocca un pugno di terra. Dava loro un senso di freschezza al palato.
La vera e propria ondata migratoria verso la nuova meta, quella di cui, ovviamente, siamo riusciti a raccogliere la maggior parte delle informazioni, prese l'avvio a partire dal secondo dopoguerra, in particolare, fine degli anni '40 inizio '50. Da allora, fino almeno agli inizi degli anni '70, un flusso continuo, immenso ed ininterrotto di giovani del nostro paese iniziò a varcare i mari alla ricerca di un lavoro per un futuro più dignitoso.
Il viaggio era una vera e propria odissea della durata, circa, di un mese. La nave, salpata da Messina o da Napoli, faceva il primo scalo, dopo 3 GIORNI di navigazione, a PORT SAID, città all'imbocco del CANALE DI SUEZ. Qui, non si sa bene perché, forse per lasciar spazio a personale più esperto nell'attraversamento in uno spazio così ristretto, l'equipaggio italiano scendeva, lasciando la nave a quello egiziano, che riscendeva all'arrivo nel MAR ROSSO, facendo risalire quello italiano.
A volte capitava che il canale venisse chiuso per sciopero o qualcos'altro (la CRISI DI SUEZ del '56, ad esempio, il conflitto che vide opposti Gran Bretagna, Francia e Israele all'Egitto a causa della nazionalizzazione della Compagnia (anglo-francese) del canale, da parte del presidente egiziano Nasser. Tale crisi portò alla chiusura del canale per circa un anno). In questi casi le cose si complicavano, perché si doveva attraversare lo STRETTO DI GIBILTERRA e circumnavigare l'AFRICA, facendo scalo al CAPO DI BUONA SPERANZA, e da qui direttamente a FREMANTLE, in Australia, accrescendo di parecchi giorni la durata del viaggio.
Per fortuna questo accadeva raramente e, la rotta normale era quella attraverso il CANALE DI SUEZ, oltrepassato il quale, la nave giungeva nel MAR ROSSO, fermandosi ad ADEN, città dello YEMEN all'altro sbocco del CANALE, che era un porto franco dove il combustibile era a buon mercato. Fatto rifornimento, la nave della speranza ripartiva alla volta dell'OCEANO INDIANO e, dopo altri 10 giorni di mare, toccava le coste di una nuova tappa del viaggio, COLOMBO, nello SRI LANKA, a sud dell'INDIA. Poche ore di sosta e si ripartiva alla volta di FREMANTLE, il primo porto dell'Australia, dove si giungeva dopo altri 10 giorni di OCEANO. Un giorno ed una notte di sosta e, via di nuovo verso Melbourne, altri cinque giorni di viaggio e si arrivava finalmente a destinazione.
Raccontato così, il viaggio non stupisce per altro se non per la sua durata. Ma, come si svolgeva questo viaggio? Com'era la vita sulla nave.
Siamo riusciti a recuperare la descrizione di un viaggio dalla motonave "Neptunia", una delle più vecchie navi a fare questa tratta negli anni ‘50/'60.
Come detto, il "Neptunia" ospitava circa 1000 passeggeri. La piccola minoranza (poche centinaia) che viaggiava in prima classe era ospitata in uno spazio che occupava i 2/3 della nave (verso prua, cioè nella parte anteriore della nave). Il resto dei passeggeri (750/800 emigrati) erano alloggiati nel rimanente terzo (verso poppa, sulle eliche, dove il movimento della nave sulle onde si faceva più sentire), la cosiddetta Classe Turistica, la quale, a sentire questo racconto, di turistico aveva poco. Tali turisti dormivano in cameroni, divisi tra uomini e donne, con una cinquantina di posti in letti a castello. Tali locali erano solo adattati a dormitorio. In realtà non erano altro che stive di carico della nave. Infatti, nel viaggio di ritorno i letti venivano smontati e le stive riempite di balle di lana grezza, allora principale merce di esportazione australiana.
La nave, come detto, partiva da Messina. Una volta ci fu un singolare esperimento fatto da un ministro calabrese della Marina Mercantile, il quale pensò che i poveri corregionali emigranti non dovessero recarsi sino a Messina per imbarcarsi per l'Australia, e fece fare scalo al Neptunia anche a Reggio Calabria. L'esperimento e le buone intenzioni, sicuramente elettorali, del ministro calabrese, non ebbero però vita lunga. Il porto di Reggio, infatti, era estremamente piccolo e, già al primo tentativo, per un miracolo la Neptunia, 11 mila tonnellate di stazza, non si sfracellò sugli scogli. Gli emigrati si dovettero rassegnare e continuare ad attraversare lo stretto.
Da tale racconto, fatto da un Commissario di Bordo, le donne provenienti da realtà caste come la Sicilia o la Calabria, dove la donna doveva mantenere un certo decoro, arrivavano sulla nave bardate in modo tale che non si vedesse nemmeno un Cm. di pelle, e, così vestite, affrontavano tutta la traversata, incalzate anche dal cappellano di bordo il quale, senza sosta, le metteva in guardia sui pericoli che le attendevano in un Paese straniero e - forse - senza Dio. Immaginate cosa passavano queste povere donne quando, soprattutto nell'attraversamento del Mar Rosso, nei locali interni e nei cameroni, privi di aria condizionata, la temperatura saliva a circa 40-45 gradi centigradi.
Altro tormento, per tutti, era il monsone, il forte vento che soffia, da maggio a settembre, in INDIA e nell'OCEANO INDIANO. Le navi del Lloyd Triestino che andavano in Australia erano piuttosto corte e alte e con il monsone di traverso ballavano e sbandavano, per la gioia degli stomaci dei viaggiatori. In tali condizioni, il ponte della nave era letteralmente ricoperto da corpi distesi ed inanimati, che si lamentavano di stare morendo e rifiutavano ogni cibo e bevanda.
Un viaggio, dunque, che era una vera e propria peripezia che stremava anche il più robusto dei passeggeri. Un sacrificio enorme per un lungo viaggio verso un mondo assolutamente “ignoto”, che si affrontava perché la speranza di un futuro migliore, faceva passare in secondo piano qualsiasi altra considerazione.
Nota: Questo testo è stato scritto in occasione della Festa degli Emigrati del 2008.
Sebbene tutte quante le Regioni d'Italia abbiano avuto nel passato ingenti flussi migratori, ad oggi, le quattro comunità regionali all'estero più numerose sono costituite da cittadini siciliani, pugliesi, campani e calabresi a seguito della cosiddetta "diaspora italiana". Acquaro ed i suoi abitanti furono chiaramente coinvolti in tale fenomeno.
La portata dell'emigrazione, distribuendosi su un periodo lungo oltre un secolo, non è riconducibile a un dato certo ed attendibile degli emigrati all'estero e dei loro discendenti. Esaminare l'andamento dell'emigrazione acquarese si rivela dunque un processo abbastanza complicato.
Innanzi tutto è necessario tracciare un'opportuna distinzione dei flussi in base al tipo e all'obiettivo dell'emigrazione, alla durata della stessa e secondo alcune delle principali caratteristiche demografiche e socio-economiche. In effetti, quello acquarese, come del resto quello italiano, si caratterizza come un fenomeno migratorio complesso e multiforme, imponente non solo per la quantità di persone coinvolte, ma anche per la sua estensione geografica e le sue implicazioni. Un esodo, in sintesi, che è la somma di tanti esodi individuali, è dunque di una straordinaria complessità, poiché cambiano i paesi di destinazione degli emigranti, e perché diverso è il loro grado di cultura: l'analfabetismo del proletariato contadino di fine secolo non è più tale nel secondo dopoguerra; vi sono pure varianti nella configurazione sociale dei migranti, benché nella stragrande maggioranza questa continui ad essere composta da contadini e da lavoratori. Come in generale per l'Italia, per la Calabria l'esplosione del fenomeno migratorio fu prevalentemente la risposta alla grave crisi agraria della fine del secolo XIX. Fu la classe agricola ad essere colpita in larghissima misura, interessando solo marginalmente altre fasce della classe lavoratrice, tipo l'artigianato minore. Acquaro insieme alla Calabria tutta, la cui sopravvivenza economica era basata fondamentalmente sull'agricoltura, pagò un alto tributo del grande esodo di fine ottocento - primo ventennio del novecento.
Inoltre è importante distinguere tra nuove e vecchie migrazioni, così come tra nuovi migranti e discendenti di varie generazioni che compongono l'universo degli acquaresi all'estero.
Nel periodo, compreso tra la fine del XIX secolo ed il decennio successivo al secondo dopoguerra, le destinazioni privilegiate erano quelle oltreoceano favorite dalle tante "colonie paesane" costituitesi e rimasero stabili fino alle restrizioni americane e a quelle imposte dal fascismo. America ed Australia hanno rappresentato mete in cui rendere concrete le speranze di migliorare la propria vita fino ad allora fondata su stenti e sofferenze.
Tali speranze erano più forti della paura di dovere affrontare un lungo viaggio verso un mondo assolutamente "ignoto" e della conseguente nostalgia per i cari più intimi, rimasti a casa, e per le strade del paese insieme ai suoi rumori e le sue genti.
Partirono in prevalenza gli agricoltori, in genere piccoli e piccolissimi proprietari, piccoli fittuari e coloni cui né la poca terra né le temporanee prestazioni di tipo bracciantile avevano concesso margini di speranza; in misura minore, ma pur sempre rilevante, specie tra i due secoli, erano espatriati i braccianti e gli artigiani. Una quota modesta interessava le categorie delle domestiche, delle nutrici e dei muratori.
Nel periodo, racchiudibile negli ultimi cinquanta anni, il flusso migratorio acquarese si è spostato verso il Nord Italia in seguito all'esplosione economica ed industriale avvenuta in contrasto con quanto accaduto qui al Sud dove invece c'è stato un proliferare di organizzazioni criminali che ne hanno abortito lo sviluppo. Ed ancora verso il Nord Europa con in testa Svizzera e Germania.
L'Europa è il continente che ospita il maggior numero di cittadini acquaresi residenti all'estero. La comunità più grande si trova in Germania, seguita da quella in Svizzera ed in Francia.
L'emigrazione verso la Germania negli anni Cinquanta ha avuto un carattere temporaneo e rotatorio. La quantità di acquaresi residenti stabilmente in Germania, fin dai primi anni sessanta, risultava bassa rispetto al volume degli espatri, mentre si registravano costanti e rilevanti flussi di ritorni in paese.
Gli acquaresi in Germania sono in progressiva, anche se marginale, diminuzione.
La distribuzione territoriale vede la comunità acquarese stabilita in prevalenza nella parte settentrionale del paese.
Il secondo paese europeo ad ospitare il maggior numero di acquaresi è la Svizzera. I paesani ivi sistematisi sono stati coinvolti nella seconda ondata di espatri verso questo Paese avvenuta negli anni successivi al 1970 ed anche con il loro contributo, nel giro di pochi anni, la comunità italiana e soprattutto calabrese è divenuta la comunità di immigrati più numerosa presente in questo territorio.
Altre mete storiche dell'emigrazione acquarese sono rappresentate dagli Stati Uniti, dall'Australia e dall'Argentina.
Fra il 1880 e il 1915, prese l'avvio l'esodo migratorio susseguente agli squilibri creatisi dopo l'unità d'Italia, verso gli Stati Uniti per lo più attraverso il porto-simbolo di Ellis Island. La popolazione acquarese unitamente a tutto il Meridione, devastata dal terremoto del 1908 e dalla guerra non ebbe altra alternativa che migrare in massa. Gli Stati Uniti presentavano per gli emigrati maggiori opportunità occupazionali; ma, ben presto, dato l'enorme e sempre più crescente flusso migratorio verso questo Paese, intervennero politiche particolarmente restrittive per limitare l'ingresso di nuovi migranti. E in effetti, sia per le restrizioni americane che di quelle imposte dall'emergente regime fascista, tra il 1920 e il 1945 il fenomeno migratorio subisce una "battuta d'arresto". Già all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale, riprese l'esodo. Ma l'emigrazione si concentrò soprattutto verso Australia fino agli anni Settanta.
L'Argentina ha accolto molti nostri compaesani soprattutto della frazione Limpidi. Qui, nella Provincia di Buenos Aires, a partire dal 1870 un provvedimento assegnava gratuitamente terreni a giovani coppie di agricoltori, a condizione che vi costruissero una casa e che li coltivassero. Ma fu la legge varata nel 1876 dal Governo argentino sulla colonizzazione e l'immigrazione che spinse molti a muoversi per tentare la fortuna in Argentina. La legge prevedeva che i territori nazionali venissero divisi in lotti di quarantamila ettari per insediamenti urbani e suburbani, offrendo sia la possibilità di assegnazioni di terreno gratuite, sia pagabili ratealmente a prezzi molto contenuti. Per gli acquirenti gli unici obblighi erano quelli della residenza e della coltivazione delle terre. Queste condizioni erano più che accettabili per i braccianti agricoli che erano allora in cerca di lavoro. Negli ultimi anni, conseguentemente alla grave situazione economica del Paese sudamericano, c'è stata un'inversione di rotta. Infatti, seppure in modeste quantità, c'è stato il rientro in Italia da parte di alcuni.
Gli emigrati non riuscirono che eccezionalmente a integrarsi nel nuovo contesto. Così molti si chiusero in una sorta di subcultura e vissero secondo criteri conseguenti: ne risentirono i loro giudizi e il loro modo di vita ne soffriva. Il paese dove approdavano non era la loro patria e quello che avevano lasciato cessava di esserlo, fuorché nel ricordo. La loro visione si sdoppiava. Erano combattuti tra la vita di prima e quella di dopo: la rottura e la nostalgia.
Si mostrava sempre un velo di tristezza, sia per la nostalgia del paese che per il mancato inserimento culturale nel paese d'arrivo, soprattutto dal punto di vista linguistico. Infatti pochi emigrati impararono, nella prima generazione, la lingua del paese che li ha ospitati, e non comunicavano che con un gruppo più o meno ristretto di loro compaesani e compatrioti "condannati" al medesimo destino. Gli emigrati, cioè, non riuscivano a farsi capire né nella lingua italiana, né tanto meno nella lingua del paese ospitante, in quanto erano in grado di parlare soltanto il proprio dialetto, che a volte era molto stretto, e sapevano scrivere poco o niente, mostrando un forte rifiuto psicologico per il paese d'accoglienza, anche perché l'emigrazione soprattutto quella europea era intesa in modo più temporaneo.
Il numero di acquaresi che lasciano il paese per cercare maggiori opportunità di lavoro all'estero si è con gli anni ridotto. L'emigrazione ha visto ridurre i flussi di espatrio sia per la politiche restrittive poste in essere dai paesi di immigrazione nei confronti dei nuovi ingressi, sia perché il divario economico che separava l'Italia dalle altre nazioni si è andato colmando; a questo si deve aggiungere un mutato atteggiamento dei lavoratori italiani riguardo all'esperienza migratoria. La disoccupazione, che ha fatto espatriare milioni di italiani, esiste ancora, ma oggi spinge ad espatriare molto meno che nel passato, partecipando a nuovi processi che differenziano in modo sostanziale il fenomeno migratorio attuale da quello storico.
Dalla metà degli anni '70 fino alla metà dei '90 l'idea diffusa circa i fenomeni migratori dal mezzogiorno è stata quella del rallentamento delle partenze: numerosi giovani, spesso anche quelli disoccupati, hanno preferito rimanere, godendo della solidarietà familiare, che è stata e continua ad essere una vera e propria fonte di beni affettivi e materiali. Comunque le partenze sono continuate ininterrottamente fino a divenire, dopo la metà degli anni '80, consistenti. In questo periodo si assiste ad un particolare incrocio di flussi: generazioni "adulte" tendono a rientrare, altre più giovani invece partono. Le differenze tra le prime e le seconde sono numerose. Chi parte sul finire degli anni '80 è cresciuto ed ha vissuto in pieno la "grande trasformazione" delle regioni meridionali, ha un grado d'istruzione elevato e spesso non trova, nel luogo d'origine, sbocchi coerenti al titolo di studio e/o alla qualificazione professionale di cui è in possesso. Il fenomeno è indicativo dei risultati paradossali delle politiche di sviluppo degli anni '60 e '70. Si credeva nella convergenza tra modernizzazione "economica" e "culturale", invece le due si sono sempre più distanziate e, piuttosto che al "decollo", la forza lavoro locale qualificata ha contribuito ad aumentare i tassi di disoccupazione. I saldi migratori tornano in positivo, gli acquaresi ed i calabresi che rientrano sono più numerosi di quelli che partono. Quest'inversione di tendenza è generata dalla richiesta sempre minore di operai da parte della grande industria settentrionale, in preda ad una riorganizzazione informatica e tecnologica e dall'aumento dei redditi e dei consumi delle famiglie, che permettono di "mantenere" un familiare disoccupato attraverso vere e proprie strategie solidali.
Ciò non toglie che le partenze continuano per tutto il decennio successivo ed iniziano a riguardare giovani istruiti, anche laureati, che non trovano nel territorio acquarese e calabrese possibilità di lavoro adeguate alla loro preparazione e qualificazione. Le Università calabresi, nate nei primi anni '70 con l'intenzione di stabilire un'alleanza tra sapere ed industria per lo sviluppo della regione, sono alla base del crescente fenomeno di emigrazione colta della Calabria degli anni '90. Si sosteneva, in altri termini, che l'università sarebbe stata una potente "forza urbanizzatrice", istituita per creare in loco forza lavoro qualificata a sostenere i ritmi della nuova fase d'industrializzazione che si preparava. E' noto come sono andate le cose: i livelli d'istruzione delle giovani generazioni calabresi sono notevolmente cresciuti, mentre non si è innescato alcun processo d'industrializzazione durevole. Oggi, la sproporzione tra il numero di laureati e la richiesta di competenze specialistiche è diventata enorme; già nel corso degli studi, ai molti è chiaro che la realizzazione professionale può avvenire soltanto fuori dalla Calabria e, a causa della recente crisi economica, non solo. Tale convinzione è insita anche nelle menti dei giovani acquaresi. Questa, insieme alla percezione di un crescente vuoto culturale e sociale sta inducendo tanti a lasciare questo paese.