Come in molti paesi, la settimana Santa, anche da noi, era molto ricca di funzioni che ci facevano accorrere in chiesa numerosi. Le funzioni iniziavano il giovedì Santo col rito della lavanda dei piedi durante il ricordo dell'ultima cena di Gesù. Lunedì, martedì e mercoledì Santo, non "accadeva nulla", ma già nell'aria s'assaporava quell'aria mistica e un po' surreale che ci portava a riflettere più che in qualsiasi altro periodo dell'anno, sui fondamenti della nostra religione e sul grande disegno d'amore del nostro Dio. Tutto sembrava fermarsi in quei pomeriggi e quasi tutto il paese partecipava raccolto alle varie funzioni, tanto che le signore spesso correvano tralasciando il da fare o pronte per tempo, per avere un posto da sedute assicurato. Ricordo da bambina, ma non vorrei sbagliarmi, che gli apostoli venivano rappresentati dai "fratelli" della confraternita, col loro abito caratteristico, mentre in seguito, vennero sostituiti da ragazzi vestiti con tuniche cucite apposta, tipiche dei paesi Palestinesi. La bella tradizione della "cena" vedeva donne sbucare da varie parti del paese reggenti una cesta sulla testa piena di grosse ciambelle di pane fresco ("curuji") avvolte nelle più belle tovaglie bianche del corredo. Le ceste erano adornate di verdi foglie d'arancio o asparagi, le stesse che il prete avrebbe poi usato per lavare simbolicamente, i piedi agli apostoli. L'altare era addobbato come una mensa e là venivano disposte le ciambelle che certi anni erano davvero tante. Frutti di "voti" fatti durante l'anno e che venivano onorati in quella ricorrenza con tanta devozione. La chiesa affollata e silenziosa seguiva compita tutta la funzione, ma aveva un moto di stizza e si girava a guardare con curiosità, più che con antipatia, Giuda che s'alzava, prendeva due ciambelle e scappava fuori fermandosi a metà della navata per guardare "con disprezzo" verso l'altare... La messa si concludeva con la processione del Santissimo che veniva deposto sull'altarino di lato già parato e adorno di ("lavuriaji") germogli di grano appena sbocciati preparati in casa proprio per quel giorno e che rappresentano da sempre il simbolo della vittoria della vita sulla morte e il suo riscatto. Prima però, il sacerdote impartiva la benedizione arrivando fin fuori alla porta in segno di grazie ed abbondanza ed incensava come segno di purificazione. Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto. Con la Resurrezione, Gesù ci ha dato un grande segno del suo amore, ma con la morte, ancor di più. Finita la messa, il pane veniva tagliato a fettine e dato un po' a tutti, tanto che era raro che qualche famiglia non lo avesse in casa, magari appeso sopra il letto come simbolo di protezione e a volte usato durante le paurose tempeste come già spiegato nelle credenze popolari (ndr). Era quella la sera della veglia di passione. Gesù prega nell'orto degli ulivi oppresso da quello che sta per succedergli. I discepoli lo abbandonano di già cedendo al sonno... il popolo prega come può e sa insieme a Lui. Le due chiese parate a lutto, abbracciavano Maria addolorata che vegliava il figlio morto. Noi, a farle compagnia con le nostre preghiere e vecchie litanie fino all'alba quando Gesù veniva trasportato al Calvario in silenzio e quasi di nascosto e noi andavamo a visitare "I sepolcri", cioè le chiese rimaste aperte tutta la notte. Verso le otto un "frugulu", piccolo sparo usato perché le campane erano "legate", cioè a lutto, ci chiamava a partecipare alla via crucis fino al calvario. Era già venerdì Santo. Giorno triste e silenzioso, di digiuni e preghiere per le nostre colpe, di confessioni per purificare l'animo, di "riconciliazione mentale" e buoni propositi, di visite a Cristo deposto in una bara di vetro, per poterlo adorare... All'epoca della Confraternita, "i fratelli" intrecciavano corone di spine e le indossavano per tutta la durata della Via Crucis. Sul Calvario, ogni anno "un predicatore" ci ricordava e ci faceva meditare su quella giornata simbolo di sconfitta. Il pomeriggio era l'ora del ricordo dell'"agonia".Tre ore piene di emozioni, di antichi canti forse gregoriani, di meditazioni sui nostri peccati che erano capaci di distruggere tutto... Dal pulpito, il predicatore ricordava le ultime frasi di Gesù e le faceva entrare nelle nostre vite, non per affanno, ma per fortificarci. Finiva quella lunga giornata con la deposizione di quel corpo martoriato, dalla croce. Tutti in silenzio vi rendevamo omaggio. Quel corpo avvolto in un sudario, anche se fredda e anonima statua, suscitava profonda commozione in tutti, grandi e piccini. Il sabato era ancora giornata di meditazione che si concludeva con la processione pomeridiana dell'Addolorata e del Cristo morto, in seguito accompagnato anche da San Giovanni. Cristo passa per le nostre vie, entra nei nostri silenzi, nei nostri tumulti, nelle nostre miserie, nei nostri pensieri, nei cuori... non ci rimprovera. Ci abbraccia e ci ama ancora con dolcezza infinita anche se, lo sguardo di quella Madre è pieno di dolore. Giace il chicco di grano nel freddo del sepolcro che lo serra mentre fuori la vita continua. Spunta improvviso un piccolissimo germoglio. Tenero, sottile, ma non fragile. Vivo, forte, tanto da spezzare il braccio e le tenebre della morte. Rotolando la pietra lascia entrare il raggio di sole che completerà il disegno di Dio per noi: il suo amore. La notte pasquale squarcia le tenebre della terra. La luce di Dio salva e fortifica, i tuoni rompono l'aria e travolgono il creato più che alle tre di quel pomeriggio... E' la vita! Non vita nuova, ma vita rinata da quelle tenebre brandendo una bandiera di vittoria sul nostro passato. L'agnello immolato ritorna purificato e più forte. Lo scampanio avverte che è l'ora. L'ora di riprendere la propria vita e ricominciare a vivere, ad essere. Tripudio di colori per le vie, campane a festa, sorrisi ed auguri, abbracci di pace, fuochi e musica per festeggiare. Pasqua! Ecco allora spuntare Maria sul sagrato della chiesetta. Viso dolce e sereno, ma ancora "ammantata" di nero. La portano con calma dietro un angolo della piazza ad aspettare. Aspetta il figlio adottivo Giovanni che presto arriva con passo sicuro. Tentenna Maria, ma ricorda che nulla è impossibile a Dio. Corre Maria. Corre e si apre il cielo. L'azzurro colora il suo manto e il sole riscalda il suo cuore. I nostri si fermano, ma è un istante in cui volteggiano desideri, sogni e richieste di grazie. Corre Maria ad abbracciare quel figlio perduto. Gesù, corre ad abbracciare quella madre dal cuore spezzato. Ed è festa! E' suono di campane allegre, spari di fuochi artificiali, musica che si spande e cuori che si allargano sfociando in pianti emozionati. Non è teatro, non è recita: è la nostra vita. Dio non corre ad abbracciare una madre addolorata, ma corre da noi che lo abbiamo crocifisso. Maria non corre da quel figlio risorto, corre da noi per dirci che è solo in Lui la speranza. Giovanni attende, sta di lato perché sa che è il nostro momento questo, non il suo. Lui l'ha già vissuto. Ora tocca a noi. E ricomincia la vita coi suoi affanni, coi suoi pensieri, coi suoi perché... ma è la nostra vita e va vissuta. Cadremo, ci rialzeremo. Sbaglieremo, ci correggeremo. Moriremo, resusciteremo e il ciclo riprenderà perché abbiamo una grande certezza: L'amore di Dio.