Vincenzo Falcone con questo suo lavoro, ci propone in maniera ampia, analitica e molto dettagliata il suo appassionato e significativo punto di vista sulla Regione Calabria. È un agevole excursus storico che va dal passato remoto -Unità d’Italia- al passato prossimo -Italia Repubblicana- ai giorni attuali. L’obiettivo dichiarato è quello di assegnare alla Regione, per il futuro, un ruolo di “reintegro” nel generale sistema di sviluppo Italia, rompendo quelle visioni che collocano il Sud come una questione a sé stante. Il pregio assoluto di tutto il lavoro è rappresentato dal punto di vista privilegiato di cui Falcone gode. Formazione e competenze “europeiste” che si riflettono sia sul generale livello analitico nonché su quello propositivo. Questa “prospettiva” ci offre un’analisi svincolata da visioni relegate a vecchie, limitanti e compromesse interpretazioni. Una nuova lettura della “Questione Meridionale” all’interno di un fluido panorama europeista. Questo il merito che potrebbe, se formalizzato nel tempo, fare scuola. Gli spunti analitici e di riflessione colgono la problematicità della Regione Calabria in tutti i suoi aspetti osmotici: sia come macro-problematicità d’area a livello europeo, nazionale e del meridione, nonché tutte quelle micro-problematicità endemiche caratteristiche della regione. Guardare alla Calabria, ed al Sud in generale, in funzione di uno sviluppo nazionale, non solo economico, significa tracciare le linee guida in termini di strategia integrata, che tanto l’Europa invoca. Si assegna al Meridione, e nel caso specifico alla Calabria, un protagonismo d’interventi progressivi per la nascita propulsiva di una “nuova dinamica” di sviluppo. La peculiarità del lavoro si evidenzia per i dettagliati “rapporti” che legittimano le analisi condotte e per l’organico ventaglio di proposte frutto di un pragmatico piglio politico-amministrativo di ampio respiro che Falcone dimostra di possedere. Le proposte si articolano tutte all’interno di un quadro di riferimento endogeno allo sviluppo, in amalgama con una programmazione di politica d’intervento nazionale rispettosa di quei principi guida d’interventi comunitari. Tra le innumerevoli proposte (Logistica integrata, Energia ed ambiente, Settore Pubblico in particolare: Sanità, Giustizia e Legalità, Scuola e Formazione, Turismo e territorio, Risorse naturali e paesaggistiche, Piccole e medie imprese, Agricoltura e benessere, Emigrazione ed inclusione sociale) due sono quelle particolarmente rilevanti che meglio, a parere mio, si legittimano nel degradato contesto. La prima, -macrovisione-, è quella della creazione di un Fondo di solidarietà e coesione tra tutte le regioni che possa garantire una coesione socio economica “minimale” tra le stesse, andando ad incidere sulle gravi differenze nei ritmi di sviluppo. Tale organismo (con modalità e criteri da definire), dovrebbe essere istituito con l’apporto sinergico di Regioni, Stato e Unione Europea ed avrebbe la funzione di orientamento, guida e programmazione degl’interventi per allineare -rendere più omogeneo- lo sviluppo nel rispetto dei principi comunitari. Un siffatto organismo con tale finalità, avrebbe il vantaggio di “togliere” ad ogni regione “l’esclusività politica” d’indirizzo delle linee d’intervento per raccordarle con quelle delle altre regioni all’interno di una logica di crescita generale, studiate e misurate, via via, secondo prefissati criteri di flessibilità. Si potrebbe, a tal proposito, aprire un approfondito e costruttivo confronto, non solo a livello nazionale ma anche a livello comunitario a cui, sicuramente, il nostro autore potrà offrire un sicuro ed assai valido contributo. Il secondo rilevante, raccomandato suggerimento -microvisione-, è il Patto con i sindacati e la Programmazione d’area come strumenti d’indirizzo e coordinamento specifici degl’interventi a cui tutti gli enti pubblici territoriali o a partecipazione pubblica e le parti sociali interessate possono contribuire a determinare e gestire in maniera trasparente e coordinata, per una politica d’intervento sul micro-territorio rafforzando quei principi di gestione della democrazia diretta e partecipata, tanto invocata. Dando sempre un pragmatico senso anche a questa proposta, un aperto e generale confronto promosso dalle rappresentanze sindacali regionali sarebbe quantomeno opportuno. Il pregio singolare dell’opera è che tutte le analisi e le proposte fatte a qualsiasi livello, sono da Falcone delineate sotto l’egida di una formativa coscienza civica, convergendo sempre verso la salvaguardia del bene comune, che mirano anche “ad attivare strumenti di ‘pedagogia sociale’ in grado di promuovere la conoscenza, l’etica, il rispetto delle regole…”. Concettualizzazioni come: coscienza politica di prossimità; codice etico; principii di solidarietà; reciprocità; sussidiarietà, trasparenza, partecipazione, sono antitetici ad una concezione della politica posta come strumento di gestione del potere da parte di gruppi che si organizzano solo a tal fine e che si preoccupano solo d’avere una legittimazione formale. Mi sia concesso dire che in tutto il lavoro, traspare un appassionato ed accorato sentimento di “amorevole sdegno” per lo scempio sinora perpetrato ai danni della regione e di “amorevole impegno” per le generazioni future -in primis nel titolo-, che saranno chiamate “a promuovere la conoscenza, l’etica, il rispetto delle regole e di comprendere l’importanza imprescindibile dei valori comuni”. Sulla scia di consolidati orientamenti, il lavoro di Vincenzo Falcone ci dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che in quei territori che pongono drammatiche emergenze socio-economiche si presentano maggiori opportunità che se coerentemente indirizzate e guidate in adeguate strategie di medio e lungo termine, sono un volano per lo sviluppo. L’augurio è che il testo possa alimentare dibattito e confronto al fine di addivenire ad una definita e consapevole presa in carico delle problematiche della Regione Calabria sotto i riflettori attenti dell’UE e non solo (ONU-Banca Mondiale-OCSE-BEI) che, date le “poderose pregnanze”, non sono più procrastinabili. Questo testo potrebbe essere un sicuro vademecum di orientamento per coloro (Enti pubblici e privati/ Rappresentanze sindacali dei lavoratori e datoriali/Partiti politici/ Banche e loro organismi/Società civile e religiosa/Mondo della cultura in generale e dell’Università e della ricerca in particolare/ non da ultimo “semplici” cittadini) che responsabilmente, intendono l’operare al servizio della generale crescita morale, civile e materiale come una indispensabile precondizione. Questo l’auspicio che l’accompagna! Chi ha orecchie, intenda!
Giovanni Luzzi
ROCCO GIUSEPPE TASSONE
DOMENICO DE LORENZO E FIGLI, SCULTORI IN ARTE SACRA
Appendice: Dissertazione di Francesco Dimondo
Università Ponti con la Società 2021 euro 20,00
Rocco Giuseppe Tassone, noto storico e esperto di arte sacra ha dato alle stampe un interessante volume su Domenico De Lorenzo e figli, scultori in arte sacra. La storia dell'arte sacra attraverso le statue di Domenico De Lorenzo e dei figli vissuti tra metà del 1700 e metà del 1800. Opere di alto valore artistico e storico che ancora oggi ornano le chiese delle province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Rocco Giuseppe Tassone, con questa sua opera, pone all'attenzione di studiosi e del mondo dell'arte un lavoro proiettato nel futuro e nella memoria. Ed ancora una volta l'Autore dimostra il suo talento imponendosi come il più importante studioso vivente di iconografia religiosa, punto di riferimento per studiosi e amatori dell'arte sacra. Sono state raccolte tutte le foto delle opere dei 3 autori con riferimento a quelle certe e a quelle attribuite. Purtroppo i vari restauri avvenuti negli anni, molto spesso da incompetenti, hanno cancellato firma e data, per cui la ricostruzione della paternità non è stata facile. Il volume porta in calce una dissertazione dell'avv Francesco Dimondo sulla statua della Madonna del Rosario di San Nicola de Legistes, lavoro accurato e frutto di ricerca passionale dell’autore. Elegante la veste tipografica creata dal Tassone con l'immagine in copertina del Cristo Risorto che si trova nella chiesa di Dasà. Un volume che merita l'attenzione di studiosi e non può mancare nelle librerie personali dei calabresi.
ROCCO GIUSEPPE TASSONE
AUTORI E TESTI CRONOLOGIA DELLA LETTERATURA CALABRESE UMANISTICA E SAGGISTICA LA PIANA DI GIOIA TAURO DA STESICORO AD OGGI
Ed lulu.com euro 12,00
Per le edizioni dell’Università Ponti con la Società per il tempo libero e la socializzazione in edizione lulu.com è uscito il volume AUTORI E TESTI CRONOLOGIA DELLA LETTERATURA CALABRESE UMANISTICA E SAGGISTICA LA PIANA DI GIOIA TAURO DA STESICORO AD OGGI dello storico Rocco Giuseppe Tassone.
Una storia che tratta, in questo primo volume (sono previsti diversi volumi che andranno ad affrontare tutto il territorio calabrese) la zona dei 33 comuni della Piana di Gioia Tauro. Il testo è, come dice il titolo, una cronistoria che parte da Stesicoro ed arriva ai giorni nostri, citando autori e testi che hanno segnato la vita culturale del territorio. Sono presenti 500 scrittori come di seguito: PALMI 64, POLISTENA 42, TAURIANOVA 41, OPPIDI M. E FRAZIONI 34, CITTANOVA 31, GIOIA TAURO 31, ROSARNO 26, MELICUCCA’ 25, DELIANOVA 19, S.EUFEMIA D’A. 19, LAUREANA DI B. E FRAZIONI 17, GALATRO 14, SEMINARA 14, MAROPATI E FRAZIONI 12, GIFFONE 11, RIZZICONI E FRAZIONI 11, SINOPOLI 10, ANOIA 9, CINQUEFRONDI 8, VARAPODIO 7, S. CRISTINA D’A. 7, CANDIDONI 6, S. FERDINANDO 6, S. PROCOPIO 5, MOLOCHIO 5, COSOLETO 4, S. GIORGIO M. 3, FEROLETO D.C. E FRAZIONI 3, SERRATA 3, MELICUCCO 2, S.PIETRO DI C. 2, SITIZZANO 2, TERRANOVA S.M. 2, CANOLO 2, SCIDO 1, CASTELLACE 1, LUBRICHI 1.
Un volume che non può mancare nelle librerie degli studiosi calabresi e di chi ama la letteratura della nostra regione, come dovrebbe essere presente in tutte le biblioteche comunali della Calabria.
Si ricorda che l’Autore è di origine Candidonese, ha dato alle stampe ben 63 volumi ed ha avuto riconoscimenti dalle istituzioni e associazioni italiane ed estere.
Il libro di Pietro Criaco, Via dall’Aspromonte, Collana Velvet Rubettino Editore, 2019 ed il film tratto: Aspromonte - La terra degli ultimi, di Mimmo Calopresti, 2019, sono stati concepiti con amore e poi partoriti dal cuore! Primi anni ’50, Africo, la Calabria, il Sud: la terra degli ultimi! Lotta per la vita, contro la morte, per l’amore e la speranza di un “possibile” futuro migliore, pieno di tutti quegl’ideali che accompagnavano il periodo post-bellico, qui rafforzati da condizioni di sottosviluppo atavico ed ancestrale. Sopravvivere alla vita vivendo, con la coscienza di costruire le condizioni di base per un futuro degno di potere e dover vivere e potere e dover poi governare! Questo il sottofondo costante. I personaggi s’intrecciano in uno speculare caleidoscopio tra i colori della miseria e della povertà materiale dove la fierezza e la dignità degli uomini e delle donne è posta in primo piano e non viene mai meno, anzi è un motivo in più per continuare a vivere e lottare. Mai abbandonati a se stessi ma sempre consapevoli di essere un corpo unico reattivo al bene ed al male. Coscienza di classe sociale appresa per necessità di sopravvivenza. Ideale interiorizzato dalle dure condizioni quotidiane dell’esistenza! Africo, a ridosso dell’Aspromonte, ancora nascosto agli occhi di Dio e del mondo, combatte la sua dura battaglia di sopravvivenza; tutti costretti a vivere e provare, forse per la prima volta, a costruire consapevolmente ed insieme un futuro migliore. Uomini, donne e bambini nell’agone della vita, impegnati, ognuno per la propria parte, con orgoglio e gioia quotidiana, sempre consci del destino collettivo a cui sono legati. Sempre in agguato la morte e le devastazioni, conseguenze del potere della politica, dei briganti e della natura. A queste trappole mortali viene offerto, d’impeto, una reazione corale fatta di sentimento, di lavoro, di devozione, di lungimiranza, di privazioni, di sangue e d’amore per il riscatto della propria esistenza. Pure le suadenti melodie musicali del film di Nicola Piovani sottolineano il dondolio dolce e amaro sospeso tra gioia e dolore. Tutta questa coralità lirica è svolta nel rispetto e nella continuità della tradizione ma guardando al futuro con occhi di adolescenti consapevoli dei propri sogni subordinati ad una realtà che li nega e quindi li rafforza. Centrale l’aspetto formativo-educativo accordato alla Scuola, elemento, allora, di grande conquista alla quale, di fatto, era assegnata la vera rivoluzione. Insegnare a leggere, scrivere e far di conto ma cominciare anche a sollecitare una visione critica valutativa che più tardi sarebbe esplosa in tutto il mondo. Non solo quindi un’omologazione ad un modello culturale agricolo-pastorale fatto di stazzi, donzellette e cavalline storne. La strada da percorrere bisognava prima però costruirsela! Spianare, abbattere alberi e diradare terreno; cavare, allestire e posare pietre! Grande metafora della vita. La strada si fa facendola! E’ il cammino quotidiano che traccia la via. Opus, opera! “Colpo dopo colpo, verso dopo verso” (A. Machado)! Tutt’insieme, ognuno con la propria fatica: uomini, donne e ragazzi al suono dell’organetto di Gioacchino, felici di costruire il proprio destino! Guarda caso la strada è stata anche la protagonista di un altro film, quello di Luigi Comencini, 1987, Un ragazzo di Calabria (magistrale l’interpretazione di Gian Maria Volonté nei panni di Felice ‘u sciancatu), dove, anche lì, un ragazzo appunto, alla fine degli anni ’50, affidava il suo riscatto correndo a perdifiato nelle campagne di Siderno, poco distante da Africo. Coincidenze? La costruzione di quella strada avrebbe dovuto rappresentare il futuro: sanità, istruzione, lavoro, insomma benessere. Congiungere quel borgo aspromontano alla marina voleva significare anche sradicare antichi pregiudizi contro i “bifolchi caprai della montagna”. Io penso che per noi calabresi la strada rappresenti una radicata e persistente antinomia. “E’ il nostro destino andare sempre da qualche parte” (pag. 201). La mirabile presenza critica del Poeta, volta ad una estetica espressiva intuitiva, dissonante e volutamente trasandata, rappresenta qui l’alter ego della pratica e fattiva coscienza collettiva. “Dove vi può portare la vostra strada? In marina? E poi?” (pag. 83). Poi…poi…poi! Il passato assomiglia molto al presente. A 70 (settanta!) anni di distanza, non più macerie materiali ma sempre nuove povertà e miserie ancora dettate da mancanza di sviluppo con la riproposta di nuovi e moderni vassallaggi. Al di là dei destini individuali, noi, “vecchi” ragazzi del borgo d’Africo che abbiamo combattuto quelle battaglie, siamo riusciti a dare un effettivo significato di corale coscienza collettiva nel provare a governare quei sogni di cambiamento? Sarebbe bello, un giorno, che noi riuscissimo a vedere quelle pietre numerate e catalogate, come si fa con i libri nelle biblioteche, ed ammirarle con rispetto e gratitudine poiché sono il prodotto tangibile di un sogno collettivo che bisognerebbe tutelare, proteggere e tramandare; potrebbero essere l’emblema di un nuovo percorso. Chissà! Lo spaccapietre Andrea sarebbe molto felice!
Giovanni Luzzi
Una delle domande che più frequentemente ci poniamo è cosa si nasconda dietro i versi di un poeta, al di là e al di sopra delle parole stesse.
In questi ultimi anni della mia riflessione relativamente alla poesia e ai loro creatori mi sono lasciata affascinare soprattutto dal rapporto che esiste tra la parola–colore e il sentimento più intimo.
Che i colori siano 'oggetti' che parlano di noi ed esprimono una vasta gamma di sentimenti ed emozioni è cosa risaputa; la connessione fra colore e vita psichica è intuizione antica: già le tipologie ippocratiche identificavano con i colori i quattro humores che alimentano l'organismo umano; lo stesso C. G. Jung nell'opera L'uomo e i suoi simboli ipotizza una correlazione fra i suoi "tipi psicologici" e i colori, suggerendo un'affinità del "tipo pensiero" con il colore blu, del "tipo sentimento" con il rosso, del "tipo sensazione" con il verde, e del "tipo intuizione" con il giallo. Lo stesso G. W. Goehte nella sua Teoria dei colori del 1810 afferma che le cromie "agiscono sull'anima suscitando sensazioni, risvegliando emozioni e pensieri che ci distendono o ci agitano, che provocano gioia o tristezza".
In epoca moderna, gli effetti e l'influenza delle tonalità sulla nostra psiche sono stati scientificamente teorizzati da più di cinquant'anni da Max Luscher, nato a Basilea nel 1923. Lo psicologo – attratto dagli studi di Hermann Rorschach – già durante gli anni in cui era studente universitario elabora il suo Test dei colori, portando avanti per cinque anni varie sperimentazioni per trovare le precise tonalità adatte a testare con esattezza le strutture psicofisiologiche da lui individuate; tanto che, in sede di laurea, nel 1949, i professori di psichiatria, psicologia e filosofia valutano "summa cum laude" la sua tesi e nell'encomio dichiarano che la sua diagnostica dei colori sarebbe entrata nella Storia della Psicologia.
Esistono inoltre numerosi studi sulla ricerca dei termini cromatici nella poesia: l'artista Claudio Parmiggiani, ad esempio, tenta di individuare i poeti che più hanno usato i colori e quelli che non li hanno utilizzati affatto, relativamente al periodo storico, affermando che ogni poeta ha scritto in maniera diversa grazie alla sua inclinazione personale ma anche al periodo storico a cui è appartenuto: ad esempio, nella letteratura, ma anche in pittura e nelle altre arti, il Barocco si esplica con un gioco raffinato di luci, ombre e accesi cromatismi mentre durante il periodo dell'Illuminismo i termini cromatici in poesia sono usati pochissimo e si dovrà attendere la poetica dei Simbolisti per trovare una cromia letteraria che – a detta del Parmiggiani – diventa quasi "un'ode a se stessa".
Tuttavia, gli studiosi sono profondamente divisi e non sembra poter dare per scontato che i significati cromatici abbiano un valore oggettivo e assoluto. Claudio Widman, nel suo interessante saggio Il simbolismo dei colori, ricorda che per una corrente definita "culturalista", i colori non hanno un senso, hanno solo delle utilizzazioni per cui il loro significato ha valore relativo e dipende da variabili contingenti come semplici convenzioni, luoghi comuni e superstizioni locali (giallo è gelosia, verde speranza, viola è lutto, etc.); oppure codici culturali come ad esempio nell'estetica della moda che "pretende" un certo tipo di accostamento di colore (il giallo va bene con il blu ma non con il nero); al contrario, per la corrente di pensiero definita "simbolica" l'esperienza del colore non è solo fisico–percettiva, ma è una complessa esperienza psichica in quanto il colore rispecchia le vicende evolutive dell'uomo.
I colori non possono dunque essere risolti con una teoria solo meccanicistica ma devono trovare spiegazione anche nella poetica, nell'estetica, nella psicologia e nel simbolismo.
Esiste comunque la convinzione comune – come afferma Federik Portal nel suo studio Sui colori simbolici, che resta l'unico trattato specifico sul simbolismo tradizionale delle cromie – che il significato dei colori è lo stesso, o per lo meno analogo, in tutti i popoli e in tutte le epoche.
Sappiamo benissimo che i test – anche i più accreditati – sono soggetti ad un margine di errore e che le interpretazioni sono spesso legate non tanto al 'paziente' quanto all'abilità dell'esperto che li propone. Gli stessi test utilizzati in campo psichiatrico – si vedano ad esempio le famosissime macchie di Hermann Rorschach – necessitano di uno studio profondo e di una metodologia scientifica che presuppone tutta una serie di accorgimenti che vanno dall'ambiente in cui si opera fino ai segnali verbali e gestuali.
In parole povere, il test vale quanto vale l'esperto che lo propone.
Inoltre, le teorie fondamentali sul rapporto tra colore e personalità sono state letteralmente "setacciate" da correnti di pensiero diverse, anche New Age, come la cromoterapia, i fiori di Bach e quant'altro; per cui, se da una parte si possono trovare delle convergenze tra le varie interpretazioni, dall'altra si rischia la dispersione e la frantumazione delle stesse.
La lettura del rapporto tra cromia e vita in un Autore non può dunque essere fatta con l'atteggiamento assolutista di chi crede di aver compreso gli aspetti più profondi dell'animo ma con la consapevolezza che non sarà mai possibile entrare nella parte più intima e complessa di chi scrive: teniamo inoltre conto che se è vero – come afferma Fernando Pessoa – che "il poeta è un fingitore", spesso le parole sono/rappresentano cio che vogliamo che esse siano/rappresentino.
Non è mia intenzione dunque elaborare una tesi intorno alla personalità complessa di Franco Costabile, né tantomeno improvvisarmi psicoanalista o psichiatra di un Autore la cui storia personale è oramai nota a tutti: la mia interpretazione prenderà in considerazione soprattutto la teoria che si basa sul concetto che gli effetti del colore sono anche psichici ed emotivi: non si può scientificamente negare che l'esperienza del colore sia fisico–percettiva, ma è indubbio che i colori parlano del mondo di ognuno di noi e sono simboli delle trasformazioni umane.
Per poter tentare una interpretazione dell'uso del colore nella poesia è necessario mettere a confronto vari elementi
• i luoghi
• il contesto storico
• la biografia del poeta
Attraverso l'analisi dell'uso dei colori – per colori si intendono non solo le denominazioni ma anche le 'atmosfere' che riconducono alla denominazione stessa – cercheremo quindi di individuare quanto è da consegnarsi all'esperienza di vita di Franco Costabile, quanto ai luoghi e quanto invece alla semplice descrizione di ciò che 'vede' con l'occhio realistico della percezione visiva.
Nell'opera Via degli ulivi non esiste un colore nettamente predominante e nella omonima poesia si possono leggere contemporaneamente l'acqua nera e la piana celeste; l'azzurro degli occhi e il paese bianco: ciò lascia prevedere che la cromia poetica cerca un equilibrio e che ad un colore cupo fa spesso da contrappeso un colore vivace. Predomina il verde degli ulivi, molto spesso nominati, e una maggiore rappresentazione del bianco che compare più volte nella descrizione dell'alba, del paese, della via Lattea e dei bianchi itinerari. Anche il giallo (le foglie, la luce del sole, il grano, i capelli di birra), e la modesta presenza del rosso – indice di passionalità e vitalità ma anche di aggressività, (vino e tumulto di sangue in Chitarra), – lasciano pensare che Costabile abbia usato il colore in forma percettiva: descrive attraverso la visione degli occhi ciò che sente interiormente. Del resto, il suo primo libro – La via degli ulivi, appunto – narra dei suoi luoghi e della sua terra soprattutto per mezzo delle sensazioni olfattive, tattili e visive. Il colore è dunque fortemente legato al territorio e non a caso, quando si parla di pittori o poeti dell'Italia meridionale, si parla di "Artisti della luce": è indubbio che il sole, il mare e l'aria del Sud non possono comunicare le stesse sensazioni delle brughiere o delle nebbie padane.
Nell'opera successiva del 1961, La rosa nel bicchiere, il registro cromatico si fa più definito e si assiste ad una predominanza del bianco e ancor più del nero mentre il colore verde è limitato all'espressione acqua di menta e il blu appena accennato in Mosche (primo blu della vita). Il rosso non è più riferito al vino (viene nominato una sola volta) ma si sposta sul Sud che diventa sinonimo di Brigante sanguigno e sullo sparo che provoca sangue: è questo, come sappiamo, il momento del Costabile poeta civile.
Il colore bianco si amplifica: uccelli, alba aurora, latte di capra. Ma è attraverso le immagini del colore nero che si muove tutta la raccolta: pelle scura (più volte menzionata), rigagnoli neri, fonogrammi neri, Sud che equivale a una tavola nera, il buio (assenza di lampadina), anni di sole per capire tanta oscurità, scialli neri.
Nelle tre lunghe poesie che compongono Sette piaghe d'Italia, gli altri colori scompaiono quasi del tutto per lasciare posto al bianco e al nero: imboccatura nera dei vicoli, appennino oscuro, i catoi, spegnete le luci, nevicate a lutto, di notte ciminiere e altiforni, noi morti; ed ancora il bianco che si sostituisce al giallo del sole: sole bianco bianco, sole più bianco.
Bianco e nero, dunque, ripetuti e rintracciati anche nelle composizioni inedite titolate Poesie del vizio assurdo che portano date antecedenti le pubblicazioni. Già a partire dal 1947 la luna è pallida, le colombe sono bianche ma – soprattutto – il bianco minuto / che la morte quasi per gioco / stringe nel pugno delle mani: versi emblematici, non pubblicati, forse occultati al suo stesso pensiero ma presenti nell'intimità del suo essere. E ancora: fumo bianco nella poesia Mio cortile nel quale parla espressamente della morte di Cesare Pavese.
Mio cortile che non sai
di quale pena può morire un uomo
in un'angusta camera di affitto
con ritratti estranei dentro gli occhi
e l'attesa dell'alba per fuggire.
E ancora, in Vigilia di morte si legge:
Nera e bianca è la chioma
bianca e nera io avanzo.
E, mentre il cuore è d'oro, le braccia sono bianche, e la primavera alza la sua fronte scura.
In Frammento del 1946 il bianco, anche se mai nominato, trionfa nell'immagine del cielo di vetro, nella luna come accesa a lume d'olio, nelle nubi di cenere.
Bianco e nero, dunque, i colori che Costabile predilige.
E in questa predilezione, forse è veramente possibile "leggere" al di sopra e al di là delle parole, in una interpretazione che spesso riconduce al vissuto personale dell'autore, alle sue scelte di vita e "di morte".
Dobbiamo però tenere conto che il colore, come ogni simbolo, è spesso ambivalente e può sempre essere inteso nel suo duplice significato: positivo e negativo, divino e infernale. Compito dell'interprete è quello di comprendere in quale ambito semantico è espresso il colore e quale valenza ravvisare nella tinta nominata.
Comunemente il bianco e il nero simboleggiano le due forze opposte della luce e delle tenebre, della conoscenza e dell'ignoranza. È noto però che entrambi i colori – in netta opposizione – possiedono al loro stesso interno un'altra opposizione, rappresentano cioè simbolicamente l'opposto di loro stessi. Se ci limitiamo all'interpretazione cristiana il nero è simbolo di dolore e di morte, il segno cromatico di Lucifero, in contrasto con la luce che è rappresentata dal bianco; l'oscurità, che è l'assenza di luce, avviene perché questo colore assorbe tutti i colori e provoca il seppellimento della luce. Ma se ci affidiamo alle interpretazioni antropologiche scopriamo che il nero, oltre all'accezione negativa, ne possiede un'altra positiva, in quanto simbolo del principio e della fecondità. In ogni mito sulla formazione dell'universo, infatti, il nero rappresenta l'indistinto primordiale, è il colore della sintesi universale. La vita dell'universo ebbe origine dal nero, da quel caos che contiene una potenzialità generatrice e feconda, è il colore delle origini, degli inizi, degli occultamenti nella loro fase germinale, precedente l'esplosione luminosa della nascita. A ulteriore conferma di questo sembiante simbolico del nero, Jung ha ben sottolineato come l'oscurità sia il dominio del germe, e come essa sia il luogo delle germinazioni: simbolo delle virtualità e delle potenzialità, il nero è un colore così complesso da racchiudere anche l'intelligenza della costruzione
Il bianco rappresenta purezza, innocenza, virtù e fedeltà ed è sicuramente il colore più nominato nelle Sacre Scrittura ma in Cina e in India – poiché è associato alla vita ultraterrena – simboleggia la morte.
Molti poeti il cui male del vivere è talmente grande da non poter più essere sostenuto utilizzano tonalità cupe oppure trasparenti; alcuni esempi significativi non sono certamente esaustivi del problema ma possono aiutarci a ipotizzare che esiste uno stretto rapporto fra il bianco e il nero e la personalità di quegli scrittori che – come scrive l'americana Anne Sexton (in La doppia immagine), dopo essersi scavati l'anima col martello pneumatico, approdano alla scelta della non–vita.
Nella poesia Lady Lazarus di Sylvia Plath, ad esempio, la faccia è un Perfetto lino ebraico, i vermi come perle appiccicose; lei è Nuda per cominciare come una pagina biancaNella poesia Zitella, L'inverno è scrupolosamente austero nel suo ordine di bianco e nero; il padre è Nera scarpa; Nel tuo cuore grasso e nero c'è un paletto.
Spesso il bianco e il nero non sono palesemente espressi ma si nascondono dietro altri colori: pensiamo ai Baratri azzurri (in Periferia) e al Turchino nero (in Capodanno) al ghiaccio che inazzurra i sentieri, di Antonia Pozzi: qui il blu, ricorrente in tutte le sue sfumature, è ben lontano dal rappresentare il colore dell'adattamento, della sobrietà e dell'allegria, in quanto è annullato – diremmo "ucciso" – dall'aggettivo che si pone a contrasto diventando la manifestazione cromatica del dolore e della sofferenza. Ciò che viene espresso in maniera silenziosa esplode in quel Un lento pallore devasta i colori del cielo, nella poesia Inverno, per giungere a ciò che si dirà più espressamente in Canto delle mie nudità dove il bianco del bagno e il nero (occulto) della morte si fanno simbolo di quella nudità che evoca e invoca la fine dell'esistenza.
Oggi, m'inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m'inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno mi prenderà.
E un giorno nuda, sola, stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.
Spesso la rinuncia alla vita può celarsi dentro il colore rosso – come ad esempio in Cesare Pavese o in Esenin che arrivò a scrivere la sua poesia di addio col suo stesso sangue.
L'ossessione per un colore può però simbolicamente avere molteplici significati. Pensiamo ad esempio alla poetessa Emily Dickinson: fu fortemente attratta dalla morte ma fu ben lontana dal suicidio anche se ricorse spesso al colore bianco, sia nell'abbigliamento che nelle sue poesie.
Un controsenso? Potremmo ipotizzare che per lei il bianco indica la sua aspirazione alla purezza, così come si deduce dalla sua vita. Oppure il suo negarsi alla vita sociale rappresenta una sorta di 'suicidio intellettuale'? Non lo sapremo mai.
Pensiamo ad Alda Merini, vittima – mi sia consentito il termine – di una "strana ed eccentrica follia"; la poetessa, pur affermando Sono una piccola ape furibonda/mi piace cambiare di colore, utilizza tutta la gamma dei bianchi e dei neri con predilezione verso il rosso:. Il fiume è rosso di desiderio; La mia poesia è alacre come il fuoco; La terra del poeta è tutta insanguinata dalla solitudine; La cosa più superba è la notte; Labbra disunite e bianche; L'uomo scorre sulle mie bianche viscere, etc.
Esistono però poeti le cui poesie sono un vero e proprio trionfo di colore e che hanno esplorato ogni sfumatura dell'alba, dei tramonti, della notte, dei paesaggi tutti: penso a Peter Russell, poeta inglese recentemente scomparso che ho avuto l'onore di conoscere molto bene. Egli, soprattutto nella raccolta Poesie dal Valdarno e in La catena d'oro, esplora, attraverso una superba ricchezza simbolica, ogni attimo della vita, ogni sostanza del Mito, ogni elemento della natura, e lo fa utilizzando una gamma di colori sempre mutevoli e variegati: piume d'oro, fiori, l'erba, violaceo canto delle nostre bocche, vaso di rose nella finestra, fra poco fioriranno le primule odorose.
E quando, oramai cieco, scrive il suo ultimo libro–testamento, non a caso intitolato Living Death (Vivere la morte), pur nella sofferenza, non rinuncia a quei colori che lo hanno accompagnato da sempre. Eppure, anche Russell è un personaggio fuori dalla righe, che ha condotto la propria esistenza in maniera anomala, fuori da ogni schema tradizionale: sicuramente un poeta che si potrebbe senza ombra di dubbio considerare un border line. Ma in lui, nonostante la solitudine e il dolore, è forte l'amore per la vita e l'unica sua sofferenza è quella di aver consumato il tempo a lui concesso e di non aver avuto la possibilità di esplorare ancora il mondo della poesia, unica scelta della sua stravagante esistenza.
Potremmo continuare con esempi all'infinito, scomodando i Poeti maledetti e i poeti russi, i poeti antichi e quelli contemporanei, senza riuscire però a trovare una risposta certa al dilemma: esiste una correlazione stretta tra i colori passionali e cupi e la tendenza a personalità distorte?
È indubbia l'esistenza di un rapporto tra cromia e vita e molti poeti che hanno liberamente scelto "l'estrema fuga" oppure hanno evitato la morte attraverso la follia evocano analoghe atmosfere dove i colori sono indicatori di sofferenza e incapacità di tollerare il male del vivere; ma, anche volendo accettere l'ipotesi che i colori possiedano significati oggettivi e assoluti e non solo soggettivi e relativi, non possiamo non tener conto del fatto che ogni persona possiede un suo modo di percepire la realtà e di interpretarla e sarebbe perlomeno scorretto – se non errato – ritenere che tutti i poeti che prediligono il rosso sono aggressivi, quelli che evocano il bianco sono folli o potenziali suicidi; la prevalenza e la preferenza di un colore possono darci indicazioni sulla personalità ma non diventare dogmi psicologici.
Al di là delle varie interpretazioni, considerando la nostra cultura occidentale, i luoghi e le possibili interpretazioni simboliche delle cromie, possiamo ritenere che la prevalenza dei due colori/non colori in Franco Costabile può indicare una personalità ricca di contraddizioni, di dubbi, di insicurezze causate da traumi infantili, di corse verso la luce e conseguenti ritorni all'oscurità dei propri sentimenti.
In questa lotta continua, la fuga dalla vita terrena sembra essere l'unica "soluzione".
Ma, se il nero rappresenta il nulla, il vuoto che precede la creazione e lo stato psichico che precede la coscienza, il bianco è fuga, liberazione e libertà. Ed ancora: se il nero indica depressione, espressione di dolore, sofferenza angosciosa, misteriosa ed inconscia, devitalizzazione e malinconia, il bianco è anche simbolo della coscienza, del Sé, dell'individuo realizzato nella sua totalità, nella sua immagine di perfezione.
Entrambi i colori sono simboli di solitudine e vuoto, spesso provocato da anaffettività, e ciò si addice alle esperienze di vita di Costabile: ma, mentre il nero induce alla completa rassegnazione, il bianco comunica che lo svuotamento della vitalità è comunque aperto alla speranza, a molteplici nuove possibilità, ad un nuovo inizio.
C'è allora da chiedersi: se in Costabile le due forze opposte – bianco e nero – si fronteggiano tanto da restare in equilibrio, per quale motivo ha deciso di porre fine alla propria esistenza?
Troppo facile asserire che nelle cromie poetiche di Costabile esistono dei "segnali" precisi dei vuoti dell'anima, del dolore determinato dai continui abbandoni, della depressione e del male del vivere: questi elementi sono condizioni comuni a tutti i poeti, esseri – a mio avviso – 'scaraventati nell'universo' loro malgrado e sempre alla ricerca di un equilibrio tra lo stare nel mondo e l'ascoltare il richiamo dl "fuori dal mondo".
Difficile è comprendere 'il perché' della sua estrema decisione.
Non potremo mai rispondere a questa domanda facendo ricorso al rapporto fra colore e vita interiore e la nostra interpretazione non può che essere priva di ogni fondamento scientifico ma solo dettata da una sorta di "intuizione poetica".
Il bianco rappresenta anche purezza, innocenza, virtù e fedeltà.
Forse la fine di Costabile è la scelta estrema di chi aspira a così alti sentimenti?
Consapevolezza dell'impossibilità di raggiungerli nel mondo materiale?