Il libro di Pietro Criaco, Via dall’Aspromonte, Collana Velvet Rubettino Editore, 2019 ed il film tratto: Aspromonte - La terra degli ultimi, di Mimmo Calopresti, 2019, sono stati concepiti con amore e poi partoriti dal cuore! Primi anni ’50, Africo, la Calabria, il Sud: la terra degli ultimi! Lotta per la vita, contro la morte, per l’amore e la speranza di un “possibile” futuro migliore, pieno di tutti quegl’ideali che accompagnavano il periodo post-bellico, qui rafforzati da condizioni di sottosviluppo atavico ed ancestrale. Sopravvivere alla vita vivendo, con la coscienza di costruire le condizioni di base per un futuro degno di potere e dover vivere e potere e dover poi governare! Questo il sottofondo costante. I personaggi s’intrecciano in uno speculare caleidoscopio tra i colori della miseria e della povertà materiale dove la fierezza e la dignità degli uomini e delle donne è posta in primo piano e non viene mai meno, anzi è un motivo in più per continuare a vivere e lottare. Mai abbandonati a se stessi ma sempre consapevoli di essere un corpo unico reattivo al bene ed al male. Coscienza di classe sociale appresa per necessità di sopravvivenza. Ideale interiorizzato dalle dure condizioni quotidiane dell’esistenza! Africo, a ridosso dell’Aspromonte, ancora nascosto agli occhi di Dio e del mondo, combatte la sua dura battaglia di sopravvivenza; tutti costretti a vivere e provare, forse per la prima volta, a costruire consapevolmente ed insieme un futuro migliore. Uomini, donne e bambini nell’agone della vita, impegnati, ognuno per la propria parte, con orgoglio e gioia quotidiana, sempre consci del destino collettivo a cui sono legati. Sempre in agguato la morte e le devastazioni, conseguenze del potere della politica, dei briganti e della natura. A queste trappole mortali viene offerto, d’impeto, una reazione corale fatta di sentimento, di lavoro, di devozione, di lungimiranza, di privazioni, di sangue e d’amore per il riscatto della propria esistenza. Pure le suadenti melodie musicali del film di Nicola Piovani sottolineano il dondolio dolce e amaro sospeso tra gioia e dolore. Tutta questa coralità lirica è svolta nel rispetto e nella continuità della tradizione ma guardando al futuro con occhi di adolescenti consapevoli dei propri sogni subordinati ad una realtà che li nega e quindi li rafforza. Centrale l’aspetto formativo-educativo accordato alla Scuola, elemento, allora, di grande conquista alla quale, di fatto, era assegnata la vera rivoluzione. Insegnare a leggere, scrivere e far di conto ma cominciare anche a sollecitare una visione critica valutativa che più tardi sarebbe esplosa in tutto il mondo. Non solo quindi un’omologazione ad un modello culturale agricolo-pastorale fatto di stazzi, donzellette e cavalline storne. La strada da percorrere bisognava prima però costruirsela! Spianare, abbattere alberi e diradare terreno; cavare, allestire e posare pietre! Grande metafora della vita. La strada si fa facendola! E’ il cammino quotidiano che traccia la via. Opus, opera! “Colpo dopo colpo, verso dopo verso” (A. Machado)! Tutt’insieme, ognuno con la propria fatica: uomini, donne e ragazzi al suono dell’organetto di Gioacchino, felici di costruire il proprio destino! Guarda caso la strada è stata anche la protagonista di un altro film, quello di Luigi Comencini, 1987, Un ragazzo di Calabria (magistrale l’interpretazione di Gian Maria Volonté nei panni di Felice ‘u sciancatu), dove, anche lì, un ragazzo appunto, alla fine degli anni ’50, affidava il suo riscatto correndo a perdifiato nelle campagne di Siderno, poco distante da Africo. Coincidenze? La costruzione di quella strada avrebbe dovuto rappresentare il futuro: sanità, istruzione, lavoro, insomma benessere. Congiungere quel borgo aspromontano alla marina voleva significare anche sradicare antichi pregiudizi contro i “bifolchi caprai della montagna”. Io penso che per noi calabresi la strada rappresenti una radicata e persistente antinomia. “E’ il nostro destino andare sempre da qualche parte” (pag. 201). La mirabile presenza critica del Poeta, volta ad una estetica espressiva intuitiva, dissonante e volutamente trasandata, rappresenta qui l’alter ego della pratica e fattiva coscienza collettiva. “Dove vi può portare la vostra strada? In marina? E poi?” (pag. 83). Poi…poi…poi! Il passato assomiglia molto al presente. A 70 (settanta!) anni di distanza, non più macerie materiali ma sempre nuove povertà e miserie ancora dettate da mancanza di sviluppo con la riproposta di nuovi e moderni vassallaggi. Al di là dei destini individuali, noi, “vecchi” ragazzi del borgo d’Africo che abbiamo combattuto quelle battaglie, siamo riusciti a dare un effettivo significato di corale coscienza collettiva nel provare a governare quei sogni di cambiamento? Sarebbe bello, un giorno, che noi riuscissimo a vedere quelle pietre numerate e catalogate, come si fa con i libri nelle biblioteche, ed ammirarle con rispetto e gratitudine poiché sono il prodotto tangibile di un sogno collettivo che bisognerebbe tutelare, proteggere e tramandare; potrebbero essere l’emblema di un nuovo percorso. Chissà! Lo spaccapietre Andrea sarebbe molto felice!
Giovanni Luzzi