Autore
Nato a Dasà (VV), residente ad Acquaro dal 1969, laureato in Lettere Classiche presso l'Università degli Studi di Messina. Ha prestato per quattro anni servizio come Istitutore presso i Convitti Nazionali di Vibo Valentia e di Reggio Calabria. Negli anni '60 è stato corrispondente del quotidiano “ROMA”, edito a Napoli. Dall'anno scolastico 1965/66 ha insegnato ininterrottamente Materie Letterarie presso la Scuola Media Statale “G. D'Antona” di Acquaro e nel 1997 ha ricoperto per tre anni l'incarico di Dirigente scolastico presso la Scuola Media Statale “I. Larussa” di Serra San Bruno.Da oltre 19 anni svolge attività teatrali insieme ad un gruppo di giovani acquaresi, con cui ha formato la Compagnia Teatrale “Amici del Teatro”. È autore, insieme al fotografo Rocco Citino del volume “Acquaro - Memoria storica attraverso l'Immagine”, pubblicato nel 2008 dalle Officine Grafiche Plurigraf di Serra San Bruno (VV) - pagg. 448. Tale pubblicazione riveste particolare importanza perché trasmette e affida alle future generazioni, anche attraverso 400 immagini inedite, un patrimonio storico, culturale, artistico e sociale degli avi.
Nel 2010 pubblica il libro “San Rocco, Patrono di Acquaro - Culto e tradizioni”, una monografia in cui vengono esposte, in modo completo e approfondito, la storia, il culto e l'espandersi della devozione del Santo più amato e venerato nel paese di Acquaro. È autore anche di testi teatrali, di due operette “L'isola del Re Piumato - La piccola Fiammiferaia”, rappresentate nel salone teatro della Scuola Media di Acquaro e di Serra San Bruno.
È incorso di preparazione un libro “Miscellanea d'Autore”.
Dedica
Ai nostri avieterna gratitudine
per i nobili e sacri ideali
che ci hanno trasmesso:
solidarietà, laboriosità,
amore e rispetto verso il prossimo,
attaccamento alla famiglia e alle tradizioni.
La maggiore agiatezza delle nostre famiglie
e dei nostri figli proviene dai loro sacrifici,
privazioni ed estenuanti fatiche.
Ringraziamenti
Si ringraziano tutti i miei ex alunni, in particolare coloro che frequentarono la Scuola Media Statale “G. D’Antona” negli anni ‘70 e ‘80.Si ringrazia la moglie e i figli del prof. Mike Arruzza, stimato ed affermato pittore dasaese, per la totale disponibilità dimostrata ad inserire nel presente lavoro alcune opere pittoriche.
Un grazie al prof. Cesare Crupi per i suoi consigli.
Si ringraziano inoltre l’insegnante Nicola Lopresti, il Sig. Peppino Luzzi, abilissimo maestro del legno e di pregiati lavori in miniatura; il Dott. Antonio Corrado, la dott/ssa avv. Cosmina Silipo, il Sig. Citino Rocco fotografo; l’amico Peppe Giogà, i sigg. Lino Rottura, Luzza Umberto, Rottura Francesco, Rottura Andrea fu Bruno e tutti coloro (gente di varia estrazione sociale di Acquaro, Limpidi, Piani e Dasà) che hanno dimostrato attenzione e disponibilità durante interviste e ricerche.
Prefazione
La prefazione a qualsiasi pubblicazione è necessaria per evidenziare le caratteristiche del lavoro e i motivi che hanno indotto l’autore a sottoporre i contenuti alla lettura, all’apprendimento e al giudizio dei lettori.Diversi anni fa pensai di raggruppare in modo sistematico il complesso di informazioni sulla parlata calabro - acquarese. Mi sembrò un’iniziativa difficile da intraprendere e portare a compimento. Ritenni opportuno reperire, preferibilmente di prima mano, il vasto materiale etnografico, antropologico-culturale tramite la partecipazione e la collaborazione attiva ed entusiasmante dei miei alunni di Scuola Media, che per lungo tempo attinsero ogni tipo di notizia e di documentazione nelle loro case, in piazza, nelle vie del proprio paese, in campagna, intervistando i loro bisnonni, nonni, genitori, parenti, amici e gente appartenente a diversi ceti sociali e settori produttivi, depositari della saggezza e della memoria storica degli avi. Tale procedimento è stato condotto con serietà di intenti e sistematicità, salvo involontarie omissioni.
Valido, interessante e articolato è stato inoltre il contributo spontaneo e partecipe della gente locale, di Enti e di Associazioni culturali, ricreative e religiose.
Quante volte, da quando i mass-media hanno preso il sopravvento sul “focolare domestico”, ci è capitato di udire le seguenti espressioni: “Parla bene! Parla in Italiano!”, cioè genitori che riprendevano i propri figli quando si esprimevano in dialetto, perchè l’uso del vernacolo era un tempo indice di rozzezza, in quanto riservato ad umili e analfabete classi sociali, come quelle agricolo-pastorali.
Molteplici furono le cause che portarono ad un lento, ma graduale venir meno all’uso del dialetto. Dal dopoguerra anche “a parrata acquarisi o acquarota” subì, come certamente tutti gli altri dialetti, variazioni, sostituzioni, obliterazioni a causa della diffusione accentuata e accelerata della cultura massmediale, di un mutato tenore di vita, grazie alle rimesse in denaro alle famiglie di emigrati, dell’alfabetizzazione, della diffusione di nuovi strumenti di lavoro e di uso quotidiano, più comodi, maneggevoli ed efficaci, con conseguente abbandono di una terminologia atavica, di parole ed espressioni introdotte da gente proveniente da aree geografiche diverse, in seguito a matrimoni, scambi commerciali, nuove parentele. Molti termini arcaici, che un tempo erano vivi anche nella parlata comune, gradualmente scomparvero o rimasero nell’uso quotidiano dei più anziani.
Da parecchi anni, forse in tutte le Regioni d’Italia, si avverte un tale fermento culturale nel valutare l’importanza del dialetto, da proporne l’insegnamento obbligatorio nelle scuole primarie e secondarie di primo grado.
Molti studiosi si sono dedicati e si dedicano a un intenso e minuzioso lavoro di recupero del dialetto per affidare alla memoria storica il vissuto degli avi.
Questo mio lavoro rimase nel chiuso di un cassetto molti anni per dare spazio ad altri interessi culturali (la pubblicazione di un libro di memoria storico - fotografica sul paese di Acquaro. Una monografia sul culto in Acquaro del patrono San Rocco, la preparazione inedita di un libro di poesie e racconti, hobby per la pittura, fondazione di una compagnia teatrale e la stesura di testi teatrali). Ricordo che nelle scuole dell’obbligo ci si sforzava a indurre gli alunni a tralasciare il dialetto e a insegnare loro a parlare e scrivere solo in lingua italiana. La maggior parte di coloro che frequentavano la scuola pubblica apparteneva a famiglie di operai e contadini di disagiate condizioni economiche e scarsamente acculturate. Gli allievi, nei rapporti con i compagni, preferivano esprimersi nel loro dialetto, rendendo difficoltosi gli approcci con gli insegnanti provenienti da altri ambienti urbani.
Ho cercato di organizzare tutto il lavoro procedendo per tematiche specifiche, cioè motivi conduttori di un determinato argomento (es: il paese, la casa, il lavoro……).
Viene spontaneo domandarsi: “Ma...cos’è il dialetto?”
Etimologicamente il termine significa “colloquio, lingua” e deriva dal latino “dialectos”, greco “διάλεκτος”.1
Esso è un particolare linguaggio in uso in una regione, città, paese o borgo. È talmente articolato da differenziarsi anche tra comunità che abitano a qualche chilometro di distanza.
“L’acquarese” è un idioma con specifiche caratteristiche locali, parlato in un’area geografica molto ristretta ed è una delle tante sottovarianti del dialetto calabrese. Parafrasando il detto “paese che vai, usanza che trovi”, potremmo dire “pajìsi chi vai, parrata chi truavi”.
Quando ci riferiamo a piccole e specifiche aree geografiche sarebbe più appropriato usare il termine “vernacolo”, cioè il linguaggio caratteristico di una parlata popolare, trasmessa per tradizione orale. É noto che sui dialetti calabresi influì prevalentemente la lingua greca e latina; i monaci basiliani furono in Calabria veicolo di diffusione della lingua greca (al tempo dell’Unità d’Italia in Calabria oltre 15.000 abitanti usavano ancora la lingua greca), i Cistercensi dell’ordine benedettino, di quella latina. Acquaro, Arena, Dasà, Dinami, Soreto, Soriano e altri paesi dell’entroterra vibonese, videro sorgere sui loro territori, per opera degli Agostiniani, numerosi conventi che esercitarono una forte influenza culturale, per non parlare di quella araba, spagnola e franco-angioina. Popolazioni residenti nella valle del Mesima nel 1300 parlavano il dialetto dorico, che più tardi venne sostituito dal dialetto ionico-attico, il cosiddetto “κοινή-διάλεκτος”(1) (dialetto comune). Nel corso del nostro discorso dialettale è possibile riconoscere che la lingua greca, con la sua persistente terminologia, ma soprattutto quella latina costituirono la base della parlata acquarese.
La poetessa siciliana, Rita Elia(2), originaria di Termine Imerese (PA) descrive così la varietà del dialetto: “ʹU dialettu, sistematu dagli Arabi, cusutu qu’a succuràha di Greci, qu’a gugghja di custurieri francesi, qu’a gugghja grossa di Spagnuali, è ʹna tuvagghja cusuta cu scampuli di tanti culuri e puru i tedeschi ndi dassaru mujìchi dâ loro passata”. (Es: dall’arabo: cafisu – cafiz; gibbia – gabija; calia – haliah; tumanu – tumn; zzuccu – suq; dal greco: naca – fanò – catuaju; dal francese: boffetta – buffet, custurieri – couturier, picuni – picot, cotulijare – chatauiller; dallo spagnolo: maccaturi – macador, spagnare – espanyar, talijare – atalajar; dal tedesco: ganga, tampu, nixi – nichts, sparagnare – sparen). È da aggiungere che voci della lingua latina sono sopravvissute soprattutto nel lessico agricolo e pastorale del nostro paese.
La parlata dialettale serve a identificare l’appartenenza a una determinata Regione, contrada o località e di ciascuna di esse fanno parte usi, costumi, tradizioni….praticamente tutto il vissuto della popolazione di appartenenza.
Ogni “parrata” spesso si distingue per la parte finale delle parole (in a, e, u), per il suono (fonema) e per l’accentazione. Es: Dasà (i peda) — Acquaro (i pede).
Un discorso, anzi un’attenzione e una citazione a parte merita la parlata degli abitanti di Limpidi, frazione di Acquaro, da cui dista circa 3 chilometri.
Poiché non esistono documenti o testimonianze attendibili sull’origine della parlata limpidese, dalle ricerche effettuate, con la dovuta cautela che il caso comporta, si potrebbe azzardare l’idea che l’origine di tale dialetto, che esula nell’accentazione da tutti i dialetti dei paesi circostanti, risalga al tempo dell’invasione dei Saraceni, intorno all’anno Mille. Un gruppo di popolazione greca, che si era stabilito e integrato con popolazioni provenienti da Costantinopoli, si spinse in Calabria. Un tipo di parlata ritmata si fa risalire agli Ittiti che nell’Anatolia vennero a contatto con antichi abitanti come i Pala e gli Atti. La dottoressa Rita Francia, ricercatrice presso l’Università La Sapienza di Roma, nello studio poetico delle “Historié ittite” ci parla delle particolarità linguistiche nel linguaggio dei rituali ittiti, un linguaggio cantilenato, con spiccate connotazioni ritmiche. È probabile (siamo sempre nel campo delle ipotesi) che un piccolo gruppo delle suddette popolazioni greche si sia spinto in questa parte interna del territorio delle Preserre, costituendo il primo gruppo della popolazione limpidese. Il linguaggio dell’attuale comunità limpidese, cioè il modo di esprimersi, è regolato da una particolare intonazione e accentazione. Nella formulazione della frase l’allungamento tonale avviene sulla radice di una parola nella penultima o terzultima sillaba, che, colpita dall’accento, assume un’intonazione allungata ed è pronunciata con maggiore intensità: negli esempi sottoelencati i puntini sospensivi stanno ad indicare l’intonazione allungata di --ji, --jà, -- nì.
Es.: “A chi ura vi ricogghjì………stuvu?” (A che ora avete rincasato?)
“Duva jà………ti?” (Dove andate?)
“Veni………stuvu?” (Siete venuto?)
Attualmente la parlata limpidese, a causa di questa caratteristica fonetica, dovremo definirla “autoctona”.
I nostri avi hanno trasmesso di generazione in generazione le loro esperienze, i propri sentimenti, il modo di condurre la propria esistenza, un mondo culturale umano, sociale, economico vastissimo, nonostante l’altissima percentuale di analfabeti, tutto ciò oralmente, per cui moltissimo materiale culturale è andato perduto. Gli anziani, a cui va la nostra eterna riconoscenza, sono stati attraverso i secoli i depositari della saggezza e della memoria storica. Le loro cattedre di insegnamento erano il focolare domestico, la soglia della propria casa (‘u passìattu), o quella del vicino, il quartiere (‘a ruga), la piazza, le vie, l’aia delle campagne durante le soste nei campi per consumare un parco cibo (‘u morzieju).
Riguardo alle testimonianze scritte il materiale da consultare nell’archivio comunale e parrocchiale si è rivelato molto limitato; perfino oggetti, manufatti antichi, alcuni ancora in uso, sono irreperibili, per cui non è stato possibile spingerci nella ricerca in tempi molto remoti.
È penoso riferire che nel paese di Acquaro, per incuria, non si è cercato di preservare, per consegnarli alla contemporaneità, quei pochi resti e materiali, testimoni storici del tempo passato.
Questo libro, realizzato attraverso un profondo, oculato e intenso lavoro di ricerca e di analisi, ha il compito di riscoprire attraverso il linguaggio la vita di un tempo ad Acquaro e, considerata anche nei suoi aspetti più semplici, la quotidianità della popolazione acquarese.
Vuole essere un contributo per la conservazione di un mondo culturale da preservare. Trascurare il proprio dialetto è come negare coloro che ci hanno preceduto. Lo scrittore Corrado Alvaro in un suo scritto sulla Rivista “Il Ponte” - 1950, affermava che “di una civiltà che rischia di scomparire, bisogna trarre il maggior numero di memorie”.
Secondo le statistiche, che vengono emanate dall’UNESCO, ogni anno scompaiono diverse centinaia di idiomi.
Spero che la presente pubblicazione possa contribuire a conservare il dialetto nella sua autenticità dei termini, poiché non vuol essere una semplice raccolta di parole, di fatti, di curiosità del nostro passato, ma un vasto insieme di conoscenze, conformi alla realtà quotidiana dei nostri avi (usi, costumi, detti, tradizioni, lavoro, giochi, filastrocche, feste, ricorrenze nomi, soprannomi, località, pastorizia, agricoltura, artigianato arti, mestieri, professioni, credenze, leggende, superstizioni……).
Sui dialetti esistono centinaia di pubblicazioni, basti pensare al “Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria” di Gerhard Rohlfs, grande filologo, linguista, glottologo tedesco, il quale visitò per lungo tempo, in lungo e in largo, ampie e piccole contrade, città, paesi della nostra terra, la Calabria, dove trovò una varietà di dialetti da fargli esclamare: “In Calabria non vi è e non vi è mai stata un’unità linguistica”. Il Rohlfs, che venne anche ad Acquaro e intervistò il nostro compianto ex sindaco, prof. Giuseppe Ierfone, e a Dasà il pittore Vincenzo Corrado, non poteva tuttavia penetrare in modo particolareggiato in tutti i lessici municipali, ciò che singolarmente fecero gli studiosi locali, i quali poterono concentrarsi sulla parlata di singole comunità ed attingere a preziose informazioni di prima mano, poiché, vivendo negli stessi luoghi, avevano la possibilità di conoscere in modo approfondito la vita della popolazione.
Omettere la memoria del proprio passato significa perdere anche la propria identità.
È doveroso e giusto che quanto salvaguardato venga posto all’attenzione e a disposizione di tutti, soprattutto di coloro che hanno a cuore la cultura passata, il ricordo dei propri antenati e la riconoscenza per ciò che hanno operato.
Non si ha tuttavia la pretesa di ritenere che questa pubblicazione sia completa ed esauriente, piuttosto un’occasione per riflettere su aspetti culturali dei nostri avi, che rischiano di essere dimenticati.
Per meglio comprendere “la parlata” si è provveduto a proporre brevi ed essenziali elementi grammaticali per la lettura e la pronuncia. I lemmi e le espressioni sono inseriti opportunamente nella presentazione di ogni tematica o collocati singolarmente, in ogni caso corredati della relativa esplicazione. Alcuni di essi, che troviamo nel nostro dialetto, sono spesso frutto della fantasia dei nostri avi, per cui non hanno un corrispettivo in italiano e quindi un significato vero e proprio.
Non è stata inserita una bibliografia in quanto il materiale informativo deriva da ricerche di prima mano, da interviste e dalla collaborazione della gente del luogo.
Parte integrante del libro sono anche le illustrazioni. Si fa presente che, durante la lettura, colui che volesse fare un’indagine lessicografica troverà a volte ricorrenti lemmi, concetti, espressioni, modi di dire; ciò non perché l’autore si è distratto, ma perché spesso riferiti all’argomento specifico trattato.
NB: Nella trattazione di alcune tematiche l’elenco di lemmi non è sempre riportato nell’ordine alfabetico.
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(1) Svetonio, Vita dei Cesari, Tiberio, libro 3°, 56
(2) Autrice di tre raccolte di poesie.
Indice
PREFAZIONE | 11 |
NOZIONI GRAMMATICALI PER LA LETTURA DEL DIALETTO |
18 |
CAPITOLO I |
47 |
Cenni storici su Acquaro - Toponimi delle località rurali - Luoghi più comuni e più frequentati - “'A Battaglia” - Angolo della poesia - “U pinu i Malamotta”. | |
CAPITOLO II |
69 |
La vita in Acquaro attraverso tematiche: “'A casa” - Detti proverbiali - Imprecazioni - Comportamenti serali - “Cunti î sira 'nta ruga” - “I lavuri 'nta casa” - Angolo della poesia - “'A famigghja e 'u lavuru” - “Pater noster” dell’arciprete Martino - “’U tiempu e 'u lavuru” - Detti - L’alluvione del '59 - I catamisi - Giorni, mesi e stagioni - I colori | |
CAPITOLO III |
195 |
Religiosità i juorni î festa ’mportanti 'nta l’annu - Filastrocche | |
CAPITOLO IV |
233 |
‘U lavuru - Flora e fauna | |
CAPITOLO V |
321 |
Mestieri e professioni | |
CAPITOLO VI |
365 |
Famigghja e parentatu - Cognomi famiglie - Angolo della poesia | |
CAPITOLO VII |
383 |
Modi di dire: Dicía anticu | |
CAPITOLO VIII |
395 |
'A parentera - Minacce - Individuazione di una persona | |
CAPITOLO IX |
405 |
Espressioni religiose - Esprimere un giuramento - Superstizioni e credenze - Usanze | |
CAPITOLO X |
439 |
Pesi, misure, monete - Stoffe, tessuti, trame | |
CAPITOLO XI |
451 |
Epiteti | |
CAPITOLO XII |
481 |
Si dicìa (Si diceva) - Onomatopee - Interiezioni | |
CAPITOLO XIII |
587 |
I proverbi - Detti - Scioglilingua - Indovinelli - Imprecazioni - Presagi | |
CAPITOLO XIV |
621 |
Abbigliamento, malattie, rapporti umani - Tradizioni culinarie | |
CAPITOLO XV |
667 |
Racconti al focolare | |
CAPITOLO XVI |
675 |
Curiosità | |
CAPITOLO XVII |
697 |
I juachi (i giochi) - Vie di comunicazione - Trasporti | |
CAPITOLO XVIII |
731 |
La filastrocca | |
VOCABOLARIO |
745 |
Caratteristiche
Formato: 16x23 cmPagine: 1012
Copertina: morbida a colori plastificata lucida
Interno: edizione avorio
Prezzo: 18,00 €
Anno: 2018
ISBN: 978-88-31981-09-5
Editore: Libritalia