Gazzetta del Sud del 28 Settembre 2016

Si è incatenato davanti agli uffici della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Martino Ceravolo non accetta che l'inchiesta sull'omicidio di suo figlio possa essere archiviata prima di assicurare alla giustizia chi ha premuro il grilletto contro un ragazzo che nulla aveva a che spartire con la 'ndrangheta e le sue logiche.
Ieri, papà Martino, padre del 19enne Filippo, freddato il 25 ottobre 2012, ha deciso di incatenarsi davanti del vecchio palazzo di giustizia.
La protesta ha sortito qualche effetto, in quanto papà Ceravolo è stato ricevuto dal procuratore Nicola Gratteri, dall'aggiunto Giovanni Borbardieri e dal sostituto della Dda Camillo Falvo, i quali hanno assicurato a papà Martino che le indagini, nonostante l'archiviazione del caso, stanno continuando e che il procedimento non cadrà nel dimenticatoio.
«Dopo questo incontro - ha evidenziato papà Martino - sono molto fiducioso che l'omicidio di mio figlio non verrà dimenticato e che gli organi competenti si impegneranno affinchè gli assassini paghino con il carcere a vita quello che hanno fatto a un giovane che aveva tutta la vita davanti a sè. Non è stato facile per noi dover accetta re questa archiviazione. Ecco perché - ha spiegato - ho voluto inscenare questa protesta pacifica, soprattutto per far capire che la nostra famiglia ha sete di giustizia. Quello che è successo a Filippo potrebbe succedere a chiunque. Non possiamo accettare che questi criminali possano girare ancora liberi e indisturbati».
Nel corso della manifestazione pacifica in canti hanno solidarizzato con Martino. Dagli alunni delle scuole e alla gente comune si sono avvicinati a scambiare qualche parola con papà Ceravolo il quale non si è sottratto a ricordare il suo giovane figlio che purtroppo ormai non c'è più.
Il caso di Filippo Ceravolo, riconosciuto vittima di mafia nel 2014, era stato archiviato dal Gip dalla Dda distrettuale di Catanzaro su richiesta del pubblico ministero Camillo Falvo, lo scorso mese di novembre. «In questo caso - aveva spiegato l'avvocato della famiglia Ceravolo, Maria Rosaria Turcaloro - c'erano quattro giovani delle Preserre indagati, già noti alle forze dell'ordine, ma non sono bastati a far tenere aperto il procedimento. Il lavoro degli inquirenti è stato enorme, ma il Gip ha ritenuto opportuno accantonare l'indagine perché le prove fomite forse non sono bastate per andare a processo».
Anche il pm Falvo, all'in domani della richiesta d'archiviazione, aveva già dichiarato: «Non è un caso che dimenticheremo. Continueremo a seguirlo con la massima attenzione e al primo elemento utile provvederemo immediatamente alla riapertura».
Filippo Ceravolo fu ucciso con due colpi di fucile, mentre, a bordo di un'autovettura, si accingeva a fare ritorno a Soriano Calabro, dopo aver fatto visita alla fidanzata nella cittadina di Pizzoni, in una tragica notte di ottobre 2012. Alla guida dell'autovettura si trovava Domenico Tassone, parente del boss Bruno Emanuele, protagonista della faida di 'ndrangheta che da anni insanguina il vibonese.
Nei pressi del Calvario di Pizzoni, Filippo fu attinto da alcuni colpi non certamente indirizzati a lui, sparati da ignoti. Vani sono stati i tentativi di salvare la vita al ragazzo il quale è deceduto intorno alle 5 del mattino successivo all'ospedale di Vibo Valentia.
Solo nel 2012, anno in cui fu ucciso Filippo, si registrarono tre omicidi nell'ambito di una guerra di mafia sulla quale è stata fatta per buona parte luce.
Il Ministero della Giustizia ha riconosciuto a Filippo lo status di vittima di mafia. Ciò, ovviamente, non può bastare alla famiglia che continua a reclamare giustizia per Filippo.
Francesca Onda