Calabria Ora del 12 Novembre 2009
«Acquaro ha urgente bisogno di esser restituito alla vita». È il titolo dell'articolo, firmato da Leo Ciriaco, apparso sulle pagine de "Il messaggero della Calabria" del 17 novembre del 1959, 4 giorni dopo la più grave alluvione ricordata, abbattutasi sull'Alto Mesima, la quale, anche se non provocò morti, si portò via tutta una parte del centro abitato di Acquaro, lasciando il paese isolato per giorni per l'impraticabilità delle principali vie d'accesso ad esso.
Un isolamento che, a quanto pare, continuò anche dopo: «La nostra commozione per ciò che sentiamo dalla viva voce dei protagonisti di una terrificante lotta contro la morte - scrisse Ciriaco coinvolto da quello stato di cose - diventava rincrescimento verso coloro che non avevano provveduto a dare loro una mano concreta... per rimetterli, psicologicamente e materialmente, ad una nuova vita». I primi ad arrivare, dopo 36 ore di totale isolamento, un'autopompa dei Vigili del fuoco e la Polizia. Inimmaginabile, dunque, lo sconforto della popolazione nel vedersi abbandonata dopo il disastro, costretta a provvedere con mezzi di fortuna a sgomberare case e strade da ogni tipo di materiale, tanto da arrivare al limite della sopportazione: «visto che nessuno si era ancora deciso a portare soccorso, gli abitanti del paese, stanchi e consci dell'inutilità dei loro sforzi, si erano decisi a lasciare da parte i mezzi primitivi a loro disposizione ed a protestare con vigore contro il Sindaco e la Polizia, per il mancato arrivo di aiuti». Chiaro, l'articolo dell'epoca, lo è anche nei confronti della paura vissuta dai cittadini: «Quella notte - dichiarò un intervistato - fu impossibile chiudere occhio. Lo scroscio della pioggia torrenziale, che sembrava non finire mai, si mescolava al rombo assordante del materiale e dei massi che rotolavano lungo via IV novembre. In 64 anni della mia vita non ho mai assistito ad un evento così spaventoso». Le stesse parole che, oggi, quasi con gli occhi lucidi, si sentono dire ad ognuno degli anziani che vissero quel triste evento.
Valerio Colaci
