A raccontarmela questa storia è stata diverso tempo fa una persona, allora ultra novantacinquenne, ormai scomparsa, che per il bagaglio delle conoscenze acquisite nel corso della vita, in Acquaro era ritenuta ‘memoria storica’.
 
 
 
 

Vicolo di Donn'Antuoni
Vicolo di Donn'Antuoni

C’è stato un tempo in cui in Acquaro è vissuto un uomo conosciuto col nome di ‘Ntuoni o ‘Ntonino.
Era un contadino, un onesto lavoratore della terra, che abitava nel quartiere oggi individuato come “donn’Antuoni”, con molta probabilità nella via oggi chiamata Via Antonino.
Oltre al modesto alloggio possedeva un piccolo fondo e un asinello con cui era costretto a “coabitare”: erano questi tutti i suoi averi.
Ntuoni o ‘Ntonino non aveva famiglia e solo, sistematicamente tutte le mattine, di buonora, usciva da casa.
Lo faceva portandosi sempre dietro il somarello del quale, in alcuni giorni, si serviva per effettuare il trasporto di cose per conto di terze persone, negli altri per farsi portare nella località in cui era situato il “bene” dove trascorreva le giornate lavorandolo accuratamente.
Dalla vendita dei suoi frutti, a volte magri, ricavava il denaro che, sommato a quello proveniente dal lavoro del quadrupede, gli consentiva di potere sbarcare il lunario.
Viveva nel suo mondo contento del suo stato il mite ‘Ntuoni o ‘Ntonino, senza altre aspirazioni se non quelle di lavorare e vivere in armonia con se stesso e con il prossimo.
Sennonché un brutto giorno, esattamente a causa del fondo, qualcuno volle turbare la sua tranquillità: come recita l’antico proverbio “stà buonu unu fina chi vole l’atru”.
Così formato, quel pezzo di terra, dal punto di vista planimetrico era “incuneato” in un vasto possedimento baronale con il quale confinava da tre lati mentre con il quarto confinava con una strada pubblica.
Sfortunatamente per ‘Ntuoni o ‘Ntonino, il possedimento, essendo morto il vecchio proprietario, era passato per successione al figlio, persona di caratura morale ben diversa da quella del padre, il quale, appena entrato in possesso, come inizio, dimostrò di non volere più continuare a mantenere con nessuno dei confinanti, in particolare con lui, gli stessi rapporti di buon vicinato di prima, dando inizio alle ostilità.
Infatti, dapprima, gli mandò a dire, tramite due servi, che “voleva” comprare quella che per lui era semplicemente una “striscia di terra” e che come controvalore era disposto a pagare una quantità di denaro molto remunerativa, successivamente, forse interpretando come una sfida il rifiuto di ‘Ntuoni o ‘Ntonino di prendere in considerazione la sua proposta di acquisto, determinato com’era ad averla vinta, passò alle maniere forti ordinando ai suoi servi di provocarlo con ogni forma di molestia per indurlo a recedere dal precedente proponimento.
Seguirono infatti, nel fondo di ‘Ntuoni o ‘Ntonino, una serie di danneggiamenti alle colture erbacee ed arboree, frequenti interruzioni del flusso nel canale dell’acqua d’irrigazione e persino in alcuni punti la rimozione e l’alterazione dei confini, con l’accusa di essere stato addirittura lui l’autore di queste ultime malefatte.
Per altri, tutto questo, sarebbe stato sufficiente per indurli ad accettare la proposta di vendita, non così per il mite, ma non pavido ‘Ntuoni o ‘Ntonino, il quale, “strinse i denti” e si predispose psicologicamente all'eventualità di affrontare il verificarsi di cose ben più spiacevoli.
Però non aveva previsto che potesse succedere un fatto che lo avrebbe messo con le spalle al muro: quel potente vista la tenacia con la quale egli si opponeva al suo volere aveva deciso di intentargli un procedimento giudiziario.
I suoi “uomini di legge”, avevano “fabbricato” l’accusa: ‘Ntuoni o ‘Ntonino era colpevole del reato di detenzione abusiva di gran parte del terreno di cui si era appropriato a poco a poco fraudolentemente durante gli anni e pertanto doveva sentirsi condannato alla sua restituzione.
Era un’accusa priva di fondamento, una calunnia che doveva essere confutata.
Si vide perso il povero ‘Ntuoni o ‘Ntonino, egli non era che un misero “zappatore” che viveva alla giornata e non aveva i denari necessari per pagare chi lo potesse difendere di fronte al giudice e dimostrare che il fondo, posseduto da tempo immemorabile dai suoi avi, non aveva subito nessuna modificazione nella superficie.
E poi quandanche fosse riuscito a trovare i denari per difendersi ci sarebbe stato qualcuno non asservito ai potenti propenso a dargli credito anziché avvalorare i motivi artatamente creati dall’altro convinto che qualsiasi giudice gli avrebbe dato ragione?
Era tormentato da questi dubbi, ma non avvilito ‘Ntuoni o ‘Ntonino, e tuttavia deciso a difendersi fino all'ultimo prima di cedere accettò di affrontare il giudizio.
Come prima cosa, caparbiamente, si adoperò per trovare un avvocato disposto a difenderlo e ci riuscì, perché uno giovane si dichiarò disposto a “perorare la causa” convinto della sua incolpevolezza e poi, per procurarsi il denaro occorrente per le spese legali, con la morte nel cuore, non avendo altre possibilità, decise di compiere un sacrificio estremo: vendere il suo paziente compagno, l’asinello.
E, come si verificò per il mugnaio Arnold di Sans-Souci del famoso racconto e della sua lotta per ottenere giustizia contro i soprusi di un nobile, anche per ‘Ntuoni o ‘Ntonino ci fu un giudice onesto il quale, fermamente convinto che l’accusa nasceva solamente da un capriccio, lo scagionò facendogli vincere la causa.
La vicenda destò scalpore, fece notizia, e ‘Ntuoni o ‘Ntonino diventò tanto popolare da arrivare a ricevere pubbliche manifestazioni di stima, di ossequio.
Davide aveva sconfitto Golia e dovunque si trovasse veniva trattato con deferenza, mai un uomo di sì umili condizioni era riuscito vincente in una contesa che in partenza lo vedeva soccombente: questo piccolo contadino era un gigante, stava scrivendo una superba pagina di storia.
Specialmente nel proprio paese, Acquaro, lo stupore per l’essere stato pronto a privarsi di un bene, per lui di vitale importanza, allo scopo di difendere la propria dignità di uomo libero e integro, fu tale da indurre la comunità del suo e anche di altri rioni a organizzare una raccolta della quantità di denari necessari per l’acquisto di un asinello che lo aiutasse a continuare a svolgere il lavoro di prima.
Ma non solo, perché il fatto di avere sconfitto la prepotenza, benché impossibile, con la sola arma della forza d'animo, gli valse il conferimento di un appellativo onorifico uguale a quello che veniva assegnato durante il regno delle due Sicilie ai personaggi che si erano distinti per particolari benemerenze.
Infatti rivolgendosi a lui tutti anteponevano l’appellativo onorifico di “Don”, quindi non più semplicemente ‘Ntuoni ma Donn’Antuoni.

Ubaldo Doré