Preparazione
Prendere il lievito (
lavàtu), conservato da una precedente panificazione, realizzato appositamente o ricevuto dalla vicina di casa, e farlo sciogliere nell'acqua, insieme al sale, in una bacinella. Nella madia ("
majìja") mettere la farina, opportunamente setacciata con un crivello ("
crivu"), e farvi un buco in cui versare il contenuto del recipiente. Impastare tutto con i pugni fino ad ottenere una pasta molle e compatta. Preparare quindi i panetti ("
panìatti"), dando loro una forma tonda, riporli su un tavolo o su un letto, coprirli bene e lasciarli lievitare. In attesa che i panetti gonfino (operazione che richiede un paio di ore), preparare il forno a legna per procedere con la cottura. Al suo interno dare fuoco alle frasche ("
fraschi") e alle mattole ("
papatùna), lasciandole bruciare per un'oretta, fino a che i mattoni non diventano roventi. Ammassare le braci ("
vrasi") con il rastrello ("
rastrìaju") in prossimità della bocca del forno e coprire con una tegola ("
ciaramìda"). Con lo spazzaforno ("
càjipu") ripulire dai resti delle braci il fondo del forno che così è pronto per la cottura. Poggiare i panetti, dopo averli incisi in superficie con un coltello, uno alla volta, sulla "
pala" e infornarli lasciando un pò di spazio tra l'uno e l'altro. Una volta finito, chiudere il forno con il "
timpàgnu" per non disperdere il calore. Attendere circa un'ora e mezza e, sempre con l'ausilio della pala, procedere ad estrarre i pani e a poggiarli sul tavolo. Metterne da parte tre o quattro per consumarli subito, tagliare il resto a metà ("
hjaccàre"), rimetterlo in forno e lasciarvelo dei giorni per farlo tostare in modo da ottenere le frese ("
frisi"). Una volta pronte conservarle nella cassa ("
càscia") e consumarle, di volta in volta, ammollandole nell'acqua.
Note
Una volta si faceva maggiore uso della farina di mais ("
mìgghju"). Essa, infatti, abbondava rispetto alla farina di grano che, di contro, era di difficile reperibilità. Per preparare il pane si mischiavano tre stoppelli ("
stuppìaji") di farina di mais e uno di farina di grano.
A Pasqua, eccezionalmente, si faceva il pane con la sola farina di grano. Durante tale ricorrenza, per i bambini, si preparavano le corolle ("
curùji") con l'uovo. I maschietti da una parte e le femminucce dall'altra si riunivano, portando con se la propria corolla, salsiccia e formaggio, per fare una festa ("
scialàta"). Essi si sedevano a cerchio e consumavano il cibo preventivamente spezzettato e messo al centro.
Sempre a Pasqua, i fidanzati preparavano ognuno un'enorme corolla con sopra quindici, venti uova per scambiarsela. Per infornare una forma così grande, si usava un tavoliere ("
prestùju" o "
tavulìari").