Noi accquaruati siamo permeati dalla maestria e dall’arte, il nostro vissuto ne era molto a contatto. C’è da dire che una non indifferente socialità era una primaria condizione per esporsi; osservare, ascoltare, interagire con intelligenza ed arguzia erano per noi caratteristiche assai generalizzate, la ‘maestria e l’arte del vivere’ induceva poi al resto. Per tutti, dalle persone più umili a quelle più agiate, c’era sempre un filo conduttore: la ricerca continua del vivere e stare meglio, migliorarsi insomma! Ricordo contadini che nel lavoro, oltre a tanta fatica, mettevano anche molto ingegno e molta fantasia; artigiani che, come Mastri Cantori di Cultura e d’Arte, avevano un ruolo ed una riconoscenza considerevole. La ‘Maestria’ era una quotidianità di vita che ci accompagnava sempre, con cui ognuno, in un modo o nell’altro, si misurava. L’attitudine era quella di ottenere il massimo impiegando con creatività, ingegno e nel modo più razionale possibile le risorse disponibili; proprio in questo senso, noi accquaruati portiamo nella nostra catena identitaria principi attivi di economia creativa, l’arte di ottimizzare le risorse ‘inventando’ soluzioni funzionali e funzionanti. L’espressione “Sii nu’ Mastru” era molto significativa! Si era ‘Mastru’ nello stabilire se mettere una trave anziché ‘dui ciavuruna’. Si era ‘Mastru’ nel rimettere a nuovo il vestito liso rivoltandolo in una notte. Si era ‘Mastru’ nel decidere di decorare ‘a marmo rosato’ una grezza scala in pietra (rosa egizio o rosa del Portogallo?). Si era ‘Mastru’ nei diversi sistemi di coltivazione della vite e dell’ulivo (a Futticumpagnu ed a Zuccu Rasianti). Si era ‘Mastru’ nel saper recuperare la suola e le tomaie delle vecchie scarpe. Si era ‘Mastru’ nel saper sterrare le radiche di ‘bruvera’ destinate a far le pipe inglesi. Si era ‘Mastru’ nel far di conto e nell’eloquenza. Si era ‘Mastru’ nell’addestrare i cani per la caccia. Si era ‘Mastru’ nel saper recitare le tragedie greche. Si era ‘Mastru’ nel tirare u' ruajhiu. Si era 'Mastru' nell'armare u' chiaccu. Si era ‘Majhistra’ nell’arte di allevare ù siricu. Si era ‘Mastru’ nel fare u' vinu griacu. Il Mastro era fondamentale per la trasmissione dei saperi e per l’apprendimento. Dai mestieri più umili, alle arti cosiddette nobili, non esisteva attività non legata alla Maestria. Gli avvocati per esempio nelle arringhe, ricorrevano spesso a Maestrie interpretative (cittu cittu, ca' vu' dicu a' vui ... truappu spissu!). I medici, nel ricucire i lembi di una ferita, erano Mastri (puntu a cruci o a’ tiranti?). Quest’attitudine si misurava con notevoli abilità manuali ed intellettive, frutto di appassionati ed appassionanti esercizi applicativi.
Peppinu Luzzi era nu' Mastru! Lui lavorava il legno con arte e passione! Acquaro annoverava falegnami eccelsi e lui era uno di questi. Si distingueva per la sua innata curiosità e la sua estrema cura e precisione nel lavoro. La ‘sua cultura’ era la diretta espressione delle Antiche Botteghe d’Arte di rinascimentale memoria che, oltre ad essere luoghi di artistiche produzioni, erano anche luoghi d’incontro e di formazione. La sua Bottega, fatta di legni ed attrezzi vari, era come un’Esposizione delle Meraviglie! Lime, raspe, scalpelli, sgorbie, trapani, pialle e pialletti, mazze e mazzuali, seghe e seghetti, calibri e compassi, righe e righelli erano ordinatamente esposte per essere ammirate e sempre pronte all’uso. Tutt’intorno, sempre ordinatamente adagiate, appoggiate, appese, stipate, tavole e tavolette, legni e legnetti di varie misure, lunghezze, spessore, colore, venature, come fossero in impaziente attesa di essere utilizzate. Al centro il tavolo da lavoro, ‘u bancu, sempre animato da tanti utensili e, in un angolo, ecco il Suo Strumento prediletto, il rudimentale tornio a fune (a' romaniajhiu), orgogliosa eredità che gelosamente custodiva ed accudiva. Lo ricordo sempre illuminato da una fioca lampadina. Che Magico Regno! L’arcaico attrezzo, manovrato da un pedale che era collegato ad una fune, intonava nei suoi giri e rigiri, cigolii musicali che permettevano ai coltelli (sgorbie) di accarezzare ritmicamente il legno modellandolo. Magnetica attrazione! Anche gli odori, fatti di legni e vernici, ti prendevano il cuore! … e Lui, come un piccolo Re, a governar su tutto con misurato orgoglio! Ricordo accorate discussione sull’uso dei “cartamodelli” al fine di ricavare speciali forme ed effetti; fogli di cartoncino consumati dal tempo, con sopra riprodotti disegni floreali e geometrie varie. Quando da adulto ho scoperto il Liberty Floreale applicato agl’intagli sui mobili, ho scoperto che in realtà erano tutte forme d’arte con le quali i falegnami accquaruati, Mastru Peppinu compreso, si erano lungamente misurati per fare le loro meravigliose creazioni. Mi resta ancora vivo il ricordo di alcuni termini: ‘gommalacca’; ‘spiritu’; ‘cuttuni’ per me a suo tempo indecifrabili, termini su cui convergevano parecchie discussioni. È stato lui che, con calma e pazienza, me ne spiegò il significato e l’uso. Scaglie vitree, ambrate, color mattone, a volte chiare, a volte scure, gelosamente riposte all’interno di un barattolo di vetro ricoperto di tela (annu pemmu respiranu!), diventavano, per magia, l’essenza per rifinire le sue opere d’arte; come un vero artista creatore diceva: -Cu’ chisti, ‘nci dunamu un’anima! Aggiungendo, con vena polemica: -A cchi diavulu serve chist’uagghiu i linu cuattu, este un’emerita porcheria! Non tantissimi anni fa, mi ha fatto conoscere, una per una, le sue mirabili creazioni; istintivamente ho pensato a lui come al ‘nostro’ Mastro Geppetto alle prese con tanti Pinocchietti vivaci e dispettosi. Ripensandoci … ‘era’ il Nostro Mastro Geppetto, sempre pronto con il suo fare bonario, ad essere quel Padre che, con affetto e dedizione, curava le sue Creature. Sarebbe bello organizzare un’esposizione di tutte le sue meraviglie. L’ideale sarebbe creare uno spazio permanente capace di far rivivere quel suo mondo, che poi era il nostro mondo, a riprova del suo grande talento e della sua maestria ed arte, dove riconoscersi e riflettere.
Giovanni Luzzi
Questo scritto è stato inviato come piccolo contributo alla manifestazione 'Acquaro in Arte' svoltasi ad Acquaro dal 10 al 12 agosto 2018.
Un amico, Franco, mi ha chiesto di scrivere in questo spazio, ma, sinceramente, io di personaggi acquaresi, spiritosi o brillanti, non è che ne conosca tanti, anzi, non ne conosco proprio...e allora mi viene in mente di parlare di persone che magari non ci pensi più o non ci hai mai pensato perché hanno vissuto in silenzio conducendo una vita umile e nascosta fra quattro mura anche se rispettati proprio per quella loro semplicità evidente, ma sincera...mi viene in mente... Ilario che mi pare ingiuriassero "U MUTU", non vorrei sbagliarmi e in tal caso chiedo scusa anticipatamente... Un uomo d'Acquaro che ricordo nella mia mente di bambina, come una persona umile e buona che si faceva i fatti suoi e poi un bel giorno non se ne è saputo più nulla. Ricordo che quella scomparsa destò molto scalpore in paese e non so se, se ne abbiano più avuto notizie. Ricordo "POCI" che girava il paese per "jettare u bandu" soprattutto per avvisare che sarebbe mancata l'acqua o per altre cose che interessavano tutta la popolazione. Ancora non c'era l'usanza di girare con gli altoparlanti sulle macchine...e allora, quel vecchietto (così lo ricordo) che adempiva a quel compito col suo "savoir faire" indiscusso, fu nominato a tutti gli effetti "bandiaturi ufficiale" di Acquaro... Potrei parlare di "cummare Maria" che si occupava di tenere in ordine la "chiesuleja". Una persona che ricordo veramente con affetto, forse perché sono cresciuta da quelle parti e aveva tanta dolcezza con noi bambini che correvamo subito quando aveva bisogno di qualche disbrigo... "Donna Mariangela". Chissà quanti di noi ha preparato alla prima comunione e cresima... "Nuzza", che è stata per tanti anni la nostra bidella della ragioneria e ci ha visti crescere un po' tutti... Persone normali, semplici, genuine come tanti acquaresi che sono stati e ci saranno sempre... Non c'è bisogno di far rumore per essere ricordati. Non c'è bisogno di scalpore, di gloria, di celebrità...tutto questo, passa e si dimentica... l'umiltà, invece, ha fatto tanti santi in tutto il mondo e spesso, in paesini sperduti, senza pretese...proprio come il nostro.
Mi trovavo spesso a volte quanto possibile di andare a trovarlo nella sua casetta così intima, piccola accogliente e forse troppo angusta per i giri che doveva fare con la sua carrozzina da invalido. Mia madre mi raccomandava di portare le scarpe da sistemare e, molte volte le scarpe diventavano più di una, solo dopo tanti anni ho capito! Era un uomo gentile, educato e di grande cultura, solo un crudele destino lo aveva voluto su quella sedia, ma lui non se la prendeva troppo come rassegnato dalla sua sorte, solo che la tristezza non è una cosa che la si può nascondere facilmente e i suoi occhi vivaci, il suo specchio dell'anima se ciò è vero mi svelavano tutte le sue angosce notturne e di momenti in solitudine. Mi recavo volentieri a trovarlo, ma la mia infanzia e poi i miei impegni dopo da grande mi tenevano lontano dai miei giri, quei giri che mi consentivano di coltivare i miei orticelli culturali e anche di svago, mi univano alla mia gente. Era una grande festa per lui sempre pronto ad accogliermi con il suo sorriso schietto e la sua immancabile "settimana enigmistica" in mano, con i suoi affezionati amici che giocavano a carte, quando riuscivo a portargli anche dei piccoli doni o frutti della nostra splendida terra che a lui non era concesso raccogliere dalle piante. Mi regalava a volte il frutto del suo lavoro come ricompensa delle mie semplici visite, e forse lo faceva volentieri anche con tutti o quasi i suoi clienti. La sensazione che avevo recandomi a trovarlo era sempre la stessa, una stretta al cuore per la sua condizione e un profondo dolore anche se per me era alla fine solo un estraneo, inteso come non parente. Viveva in una casetta dove tutto era a portata di sedia a rotelle, anche sul davanzale che dava verso il nostro bel fiume Amello c'era di tutto, prezzemolo, basilico e una vite bellissima con alberi di arancio sotto nell'orto, lui si girava e si rigirava con quel trabiccolo e con una precisione incredibile andava a beccare sempre la cosa giusta, che fosse il piatto, la forchetta o un vaso a terra oppure qualsiasi altra cosa. Era sempre sbarbato e in ordine e i libri e i giornali erano ordinati nelle sue due stanzette di cui il soggiorno dava sulla via. Ecco, era proprio quella la posizione prioritaria della sua vita durante il giorno, quella finestra che per lui era una specie di tv sul mondo. Vorrei saperlo felice almeno dove è andato Mastru Pascala U Scarparu, un appellativo forse anche troppo rude se detto nel nostro dialetto per un Uomo anche troppo sensibile e che ha portato tutto il peso della sua vita senza pesare mai sugli altri. Questo è secondo me la grandezza di un Acquarese, essere rimasto nella memoria nonostante i nostri tempi c'impongono migliaia d'informazioni e ci fanno spesso dimenticare le cose più importanti.
Questa vecchietta molto particolare forse non la ricorda più nessuno ormai, viveva in una casetta nella parte vecchia del paese composta da una sola stanza dove si riunivano la cucina, il salotto, il bagno e la stanza da letto. La chiamavano LUIGIA, era molto eccentrica e tutti dicevano che parlava con i morti e ci andava anche assieme. Noi ragazzi avevamo paura ad avvicinarla e la schernivamo quando passava tutta vestita di nero traballante sulle sue gambe malferme. Aveva uno sguardo e dei gesti che incutevano timore ma non era affatto quello che si diceva, anzi amava molto i bambini. Mia madre, all'ora di pranzo o la sera, mi mandava con qualche piatto di minestra o di pasta per lei ed io timoroso mi avvicinavo alla porta di quella casetta che nella mia immaginazione sembrava una grotta e aspettavo che fosse lei a fare la prima mossa pronto a scappare. Ma mi accorsi molto presto, frequentando la sua casa, che non era affatto quello che la descrivevano. La prima volta che entrai a casa sua notai lo stato di miseria e di abbandono, di disordine che vi regnava, ma notai i suoi occhi fieri e buoni. Chissà perché i bambini si fidano di ciò che fa paura e riescono a rabbonire con la loro fiducia chiunque. Ero lì impalato la prima volta, in piedi quasi pietrificato quando lei aprì una grossa e vecchia cassapanca di quelle dove una volta si teneva il pane duro e tirò fuori una manciata di cremini. Per chi non ricordasse i cremini erano dei cioccolatini alla nocciola fatti con surrogati di cioccolata, i cioccolatini gustosi dei poveri che piacevano tanto a noi ragazzini. Da quel momento si instaurò una fiducia immediata che come conseguenza fu l'inizio di una futura lunga serie di visite con piatti che andavano e cioccolatini che riempivano le mie tasche. Ancora adesso non so spiegarmi dove prendesse tutti quei cioccolatini, ma fui molto dispiaciuto quando la trovarono, dopo qualche tempo, deceduta sul suo letto, serena, come se qualcuno l'avesse accompagnata nel suo ultimo viaggio, quel qualcuno di cui si diceva, i morti, fossero i suoi più grandi amici e sempre con lei. Se n'era andata comunque a modo suo, con il suo carattere fiero, la sua dignità e senza disturbare nessuno.