Un racconto della mia gioventù di cui ho già scritto una poesia "U PALUMBARU". Verso la metà degli anni cinquanta io e Giuseppe Comito eravamo giovanotti e a quei tempi si trebbiava il grano. Ogni coltivatore del vicinato ne aveva un monticello da trebbiare. Ci potevano essere dai venti ai venticinque monticelli e la trebbiatura poteva durare un paio di giorni. Il proprietario della trebbia era Peppino Nesci, figlio di Mastro Sinogrande che faceva U Forgiaru. Da giovane sposato Sinogrande si era trasferito ad Acquaro da Giffone dalla provincia di Reggio Calabria. Mastro Sinogrande aveva, come ricordo io, una famiglia numerosa dove il più grande era il figlio Torindo. Torindo è morto giovane a causa di un incidente stradale, lasciando la moglie e un paio di figli. Credo che ci siano ad Acquaro figli e nipoti. L'aia dove si trebbiava era in una contrada a circa 200 metri dal fiume Marapotamo e si chiamava "Palombaro". Vicino l'aia c'era una masseria dove viveva una famiglia e c'erano anche un paio di giovani e belle ragazze. Io e Giuseppe Comito, forse più per le ragazze che per altro, un giorno andammo per passare la serata e poi la notte in quella masseria. Quando si finì di trebbiare per la giornata tutti i lavoratori entrarono nella casa per mangiare. U Massaru Vicianzu, che era il capo della famiglia, invitò anche me e Giuseppe per mangiare dentro ma a me, che ero già stato alla masseria con mio padre un'altra volta, sembrava che il suo vino sentisse di muffa e rimanemmo fuori, sapendo anche che c'era abbastanza da mangiare e da bere. Peppino Nesci ci disse: "Dato che volete rimanere fuori qua c'è formaggio, soppressate, pane e tante bottiglie di vino. Mangiate quanto volete e poi entrate che ci facciamo qualche tarantella". Mangiammo poco pane ma abbastanza formaggio e soppressate e bevemmo forse più del necessario. Eravamo un po' brilli. Quando quelli dentro finirono di mangiare, U Massaru Vicianzu ci chiamò per andare dentro e subito ci diede un bicchiere di vino ciascuno da bere. U Massaru Vicianzu chiese a Giuseppe non appena aveva assaggiato il vino: "Chi diciti i stu vinu? Chi vi pare?" Giuseppe con la voce un po' trasformata e la lingua tra i denti rispose: "Mi pare ca heta nu puacu i muffa". U Massaru Vicianzu rispose: "Cumpare Peppinu, chistu e' l'urtimu buttigliuni e mi dispiace ca stu vinu ormai heta i puacu".