Era un pomeriggio grigio, non piovoso ma scuro e senza sole come le giornate ferme del sud. Tra le case di Acquaro, un po' vecchie e diroccate dal tempo e dagli eventi, sprizzavamo allegria e vita noi ragazzini. Nei vicoli e dalle strade principali, scappavamo al controllo dei nostri genitori o di chi ci curava, ci facevamo segno con le mani, con gli occhi, e i nostri fantasiosi stratagemmi per incontrarci e vivere le nostre avventure. Ogni giorno avevamo un programma che non era mai stato scritto né elaborato ma che andava sempre a buon fine. I nostri incontri erano talmente perfetti che non c'era bisogno di combinarli. Quel pomeriggio siamo partiti, come spesso accadeva, verso a "FIUMAREJA" e come un rito ormai collaudato passavamo per gli uliveti e prendevamo il sentiero che si avventurava nel castagneto che ormai spoglio ci inebriava con i suoi odori d'inverno e i movimenti delle sue naturali componenti a noi tanto familiari. Speravamo nella nostra caccia, quella di frodo, ma anche quella di fortuna che ci veniva dal ritrovamento della selvaggina se così possiamo dire che i veri cacciatori abbattevano e non riuscivano a trovare, sia per le rupi scoscese, sia per le sterpaglie alte e selvagge o anche perché era ferita ed era riuscita a scappare per andare a morire in un altro posto. E poi c'era l'emozione delle tane di volpi, ricci e "NATULIAJI" che proprio in inverno prendevamo nelle loro "FOLE'" con l'aiuto di un fazzoletto. Ci si avventurava sempre di più nel bosco, si saliva sui castagni lunghi e più teneri da piegare, ci facevamo cadere giù tenendo la cima con le due mani a penzoloni nel vuoto con l'incoscienza della nostra età, ci sembrava di volare, anche se a volte cadevamo rovinosamente a terra e si rideva come matti. Quel giorno salimmo fino a "CILLANDRA", un posto abbastanza impervio e anche triste in quanto c'era stato un incidente in moto che aveva causato la morte di un giovane e incuranti delle raccomandazioni dei nostri genitori su quel posto che era considerato pericoloso, siamo ridiscesi verso una radura più giù dove provenivano degli spari e avvicinatici vedevamo del fumo uscire da dietro un cespuglio. Ci nascondemmo timorosi di essere scoperti e rimproverati dal cacciatore perché tacciati di disturbarlo. Ed ecco un susseguirsi di colpi, cade il primo SPINZIA, il secondo, il terzo, quarto ed ecco uscire fuori il cacciatore dal suo nascondiglio per andare a raccoglierli. Noi zitti e immobili dietro il nostro nascondiglio l'abbiamo subito riconosciuto, era MASTRU GIOSÈ, abitava vicino alla fontana di MASTRU CARMELU dove aveva una piccola falegnameria e sistemava anche botti e CARRATEJA, batteva sui cerchi delle botti in silenzio con gli occhiali posati sul naso, un po' curvo e con le bretelle che gli tenevano i pantaloni un po' troppo grandi per la sua figura. Rassicurati dalla sua familiarità abbiamo osato avvicinarci un po' timorosi di essere rimproverati, ma egli fu ben contento di vederci e ci accolse benevolmente nonostante ci raccomandò con i gesti essenziali di chi ha esperienza ad accucciarci vicino a lui per non disturbare la caccia. Dopo di che con l'occhio vigile ci parlava dei trucchi di quest'arte che gli permetteva di portare a casa il materiale per i suoi succulenti arrosti e brodini o sughi. E si, proprio così, la sua passione non era lo sport in se stesso, ma lui ci spiegò che era tutto dettato dalla sua ghiottoneria. Come MASTRU lavorava quello che bastava, ma come cacciatore non si perdeva un'occasione per partire. Noi sottovoce con fare d'intesa ci dicevamo che "MASTRU GIOSÈ era pruapria nu liccardu i SPINZIA E PIRRIA E MARVIZZI E MERRA". Gli tenemmo corda fino a che era buio e lui non intendeva andare via e lasciare il campo a noi con la speranza di setacciare il posto alla ricerca di SPINZIA, tanto che ormai buio ci dovemmo rassegnare e andarcene. La COSTERA ormai era scura e faceva anche un po' paura, ma la compagnia ci teneva uniti sui viottoli del bosco che ci erano molto familiari, ma non mancavano tra di noi quelli più temerari che si attardavano con il vecchio gioco di lanciarsi nel vuoto dai castagni giovani e teneri. E c'era anche chi si andava avanti e poi si nascondeva per farci saltare dallo spavento. Finalmente arrivavamo vicino al paese quasi stanchi ma mai abbastanza, sporchi e sudati, con i vestiti e le gambe lacere dai rovi, cercavamo di rassettarci alla meglio prima di presentarci a casa dopo tante ore di assenza. I commenti ed il resto li lasciavamo all'indomani, quando ognuno si ripresentava mesto e raccontava la punizione dei suoi genitori per essere tornato così lacero. Ma era solo questione di qualche attimo che ricominciava ancora tutto d'accapo e………… era subito avventura.