La campana della chiesetta, nella mattina di festa ancora assonnata, con i dolci rintocchi mi scuote e m'invita ad andarla a trovare. Istintiva, la mente decide senza programma e nella casa che non è mia eppure m'accoglie, lascio tutto silenzioso ed esco inseguendo il richiamo. Non è presto, ma neanche tardi, ma la domenica già calda lascia ancora posto ai sogni e le vie tacciono. Per strada incontro poche facce note che s'avviano come me verso la meta mattutina. S. Liberata, che non ricordavo così piccina, sembra aspettarci col suo abbraccio e nei banchi duri che tante volte ho alzato, rivedo donne dai volti scavati dal tempo e chiome canute che non conoscono colori artificiali. Odo bisbigli e noto sguardi che curiosi s'insinuano tra le file. Qualche cenno, dei sorrisi fugaci, ma la mente volontaria s'estranea e ritorna al passato sui muri scrostati, agli angeli custodi dai colori sbiaditi, ai lunghi vasi di vetro brillante sotto le mani di cummare Maria che dava disposizioni a noi ragazze che l'aiutavamo. Tutto perfetto e simmetrico e seppur stretti, stretti, pieni di fiori regolari ed ordinati che dovevano durare almeno una settimana. La tovaglia candida stirata di fresco dalle mani sapienti... e mi trovo a pensare chi la stirerà ora... il calice prezioso pieno di particole che per noi avevano un che di magico. Rivedo l'Addolorata triste e rivado ai venerdì santi di un tempo ormai remoto, quando bambina non capivo perché lei madre, dovesse stare lontana dal figlio amato che solitario giaceva sotto l'altare... Mi pare d'udire nenie antiche e in sottofondo il profumo del muschio fresco scelto per il bel presepe sopra l'altare di S. Giuseppe che maestoso sembrava portare per mano quel bimbo a rivedere la sua nascita come spettatori lontani e non protagonisti di quella scena vissuta... La voce di Don Peppino mi riporta alla realtà ed assorbo parola per parola, attimo per attimo, tutta la messa. La faccio mia gonfiando il cuore di emozioni che non so descrivere. Inaspettato, poi, il regalo più bello che m'aspettavo di sentire alla processione... l'antico cantico di S. Rocco che non ascoltavo da anni e mi fa piacere che ci siano ancora signore che lo cantano, sperando che non vada perduto insieme a tanto altro. All'uscita dalla chiesa, veloce, senza salutare quasi nessuno, come a non voler rompere l'incanto, m'avvio, invece che a casa, per l'antica via che m'ha vista bambina. Un velo di malinconia m'assale, vedendo la tristezza del presente. Sembra di entrare in un altro mondo. Un mondo di fantasmi che curiosano dagli usci sbarrati ed ormai arrugginiti dal tempo. Silenzio greve che angoscia. Grigi e neri, i muri poco baciati dal sole, qualche filo d'erba che spunta agli angoli, unico segno di vita nuova... anche l'orto sembra abbandonato. Erbacce spuntano scomposte e s'affacciano sulle pietre antiche dove nelle sere d'estate, s'accendevano improvvise come stelline, le lucciole curiose d'ascoltare i nostri discorsi. Una porta, una finestra; un'altra porta, un'altra finestra, case... case chiuse, solitarie ed abbandonate che magari custodiscono dentro, l'antico mobilio, foto, ricordi senza valore che un tempo furono preziosi... la vita. Ferma, nel punto in cui ci si sedeva a chiacchierare, mi pare di udire ancora le corse e le risate di noi bambini che mai stanchi giocavamo a nascondino. Le sgridate delle mamme che spesso diventavano complici indicandoci nascondigli sicuri e per un attimo tornavano bambine insieme a noi... lo stesso cucendoci i vestiti per le bambole o insegnandoci a farlo da sole. Giochi estivi spensierati che si calmavano nei caldi pomeriggi in un rispettoso silenzio per non disturbare i genitori stanchi. Poi si ricominciava fino a tarda sera inventando cose nuove perché da bambini, anche se le cose le rifai mille volte, sono sempre diverse e quindi nuove. Sui muri mi par di sentire ancora il battere delle nostre monete. Raggranellavamo i tappi usati delle bottiglie e con pietre li ammaccavamo per farli diventare leggeri, leggeri. Il gioco consisteva nel batterli al muro e conquistarne il più possibile dai compagni, poi, alla fine, contavamo il nostro tesoro e magari, magnanimi, ne regalavamo. Ora mi pare di veder scorrere le stagioni, ognuna coi suoi profumi particolari. La primavera col profumo di zagara degli aranci in fiore dagli orti vicini, del pane caldo appena sfornato dai forni a legna, dei dolci pasquali e quella smania di voler uscire all'aperto rubando una chiacchierata veloce qua e là perché ancora fa buio presto e fa fresco...L'estate con la sua afa, il cielo terso, il canto incessante di cicale e grilli, profumo di rose e di gigli... Rivedo l'autunno col dolce imbrunire che sembra spegnere ogni vivacità, ma ci vuole operosi. Conserve per l'inverno, lavori in campagna, le botti agli angoli degli usci. La vendemmia rossa e gialla di colori, satura di profumi di mele e finocchio selvatico per lavare le botti e il profumo del mosto cotto che inebria l'aria dappertutto fino a quello più pungente in fermentazione. L'inverno con le giornate fredde e piovose che faceva perfino crescere il muschio nella strada mai battuta dal sole e noi a levarlo di continuo per non scivolare... L'odore acre di legna bruciata nei camini o del carbone sui balconi, della sansa dai frantoi e quello più buono dell'olio nuovo appena estratto... In pochi attimi rivedo scorrere una vita. Muri scrostati, scritte di bambini, vetri rotti, mi riportano ad una consapevolezza amara. Non sono le stagioni che fanno la vita. Siamo noi. Sono le persone che hanno vissuto in questa via come in altre, che l'hanno resa viva, non il tempo. Il tempo matura, ci colma, ma scorre via veloce e non aspetta nessuno. Inevitabilmente, si cambia, ma molte persone che vivevano questa via, se ne sono andate presto, molto presto, lasciando in aria tanti perché senza risposta. Nulla avviene per caso e se oggi sono qui da sola, è perché così doveva essere. Sono certa che le persone care del mio passato qui, siano tutte sedute, ora in questo momento, qui davanti a me, attorno ai nostri fuochi, o negli angoli prescelti come luoghi di relax estivo. Le rivedo una ad una ed accomuno ad ognuna ricordi cari o meno. Non sono morte. Neanche questa via è morta, perché vive ancora nei miei ricordi e spero in quelli di molti altri che vi hanno vissuto o solo per attimi, attraversata. Ci sono cose che purtroppo non si possono cambiare, ma per fortuna, Dio ci ha dato grandi doni. Sentimenti ed emozioni, i nostri sogni, il cuore, che spesso supera la ragione e ci sono doni unici e personali da vivere e capire da soli, magari come questa mia passeggiata imprevista tra i miei ricordi. Pochi e banali attimi che però sono scritti e rimarranno in un nuovo foglio del libro che è la mia vita.