Eccolo qui ottobre. Dolcemente silenzioso, è arrivato anche quest'anno. Non s'ode garrito di rondine, né canto di cuculo che fino all'altro giorno volteggiava intorno all'antenna e cantava la sua canzone al vento.
Anche le nubi sembrano stanche e vanno dolcemente vaganti per un azzurro turchino che sa di mare.
L'orizzonte segna la sua linea infinita, laggiù dove riesco ad intravedere le onde che s'accavallano spumose sulla spiaggia.
Poco lontano ciminiere fumanti che ammorbano l'aria e cancellano la poesia intorno. Paesaggio sbiadito, dai colori sgargianti, ma informi.
La mente scavalca le onde, volteggia oltre le ciminiere annerite, trapassa l'orizzonte e s'immerge nei ricordi di una diversa dolcezza cullata dal tempo. Sparisce l'azzurro del mare ed invade, ed abbaglia di sinfonie in rosso, rame, marrone, giallo...
Ho negli occhi l'erta che porta a Serra San Bruno.
Subito dopo Arena, s'apriva, in questo periodo, uno scenario stupendo di tavolozze di colori impazziti. Come se un artista pazzo si fosse divertito a mischiare tutti i colori caldi tra loro e a spruzzarli tra i rami degli alberi dei boschi.
A terra, tappeti infiniti degli stessi colori, facevano quasi male alla vista nel riverbero del sole.
In paese tutto sembrava uguale, stantio.
Sembrava...
Malamotta coi suoi cespugli di ginestre ed eriche sfiorite. Qualche pesco ormai spoglio e i fichi dalle foglie accartocciate, pronte a cadere giù da un momento all'altro.
Il verde degli ulivi svettava sovrano. Qua e là un riflesso d'argento.
Solo verso Salandria s'intravedeva qualche sprazzo di colore giallo-ramato. I castagni carichi erano pronti al riposo e lasciavano stancamente le vecchie foglie alla madre terra che aspettava il suo nutrimento annuale.
L'aria addolcita, sapeva di miele selvatico.
L'uva meravigliosamente zuccherina, aspettava paziente sui filari le ultime vendemmie. I filari, ordinati come soldatini, tristemente s'accasciavano in attesa dei nuovi virgulti, ma quasi consapevoli di aver fatto tanto. I generosi raccolti, frutto di sudore antico, non deludevano quasi mai.
Dai palmenti nascosti nei bassi bui e nei moderni garage, si sprigionava un piacevole fermento, fatto di allegria, di risate, di racconti.
Il cigolio delle moderne sgrappatrici, sicuramente più pratiche e veloci, non avevano la stessa magia dell'uva pestata coi piedi di una volta, ma la vendemmia ha sempre in se qualcosa di misteriosamente magico.
Il ticchettio regolare del torchio che regala il prezioso nettare, si sentiva per giorni e giorni nelle vie, ma non dava fastidio. L'aria satura di profumi sembrava addolcire tutto e tutti. Per questo, mi piace pensare che la vendemmia sia qualcosa di magico...
I miei ricordi sanno di mele e finocchi selvatici, di mosto cotto e dell'acre odore delle vinacce spremute che ubriacava stando al chiuso, ma soprattutto, ho ricordi di amicizia, di rispetto tra noi, di aiuto vicendevole.
C'era una certa forma di stima non svelata, ma sicuramente sentita.
Ottobre non mette tristezza. Magari da un senso nostalgico alle cose. Un pizzico di malinconia in più, ma è un mese riflessivo.
Ti porta a ritrovarti, a riscoprirti, a rafforzarti per riuscire in seguito a porti meglio agli altri. In un certo senso è un ponte tra il vecchio e il nuovo.
Ogni sera verso il tramonto, da anni, ascolto silenziosa le sue sinfonie e ne faccio tesoro.
Come la terra aspetta le foglie che danno nutrimento, io m'incanto ad ascoltarlo, a sentirlo vibrare nel suo vento curioso e mai invadente. Mi nutre con la sua dolcezza e sento in quei momenti solo miei, che nulla accade mai per caso. Anche i ricordi aiutano a riflettere e a crescere.
Tutto ha un fine preciso e sta a noi coglierne i significati reconditi. Sta a noi capire e decidere se crescere e diventare fertili come la madre terra o restare sterili zolle bruciate dal sole estivo.