Durante il periodo in fattoria avevo fatto nuove conoscenze e, per andare a trovare gli amici, avevo comprato una bicicletta.
Una sera, dopo il lavoro, partii per andare a trovare alcuni di loro. Sfortunatamente, mentre pedalavo, mi investii una macchina causando la rottura del mio braccio destro. La macchina andò via senza fermarsi ed io rimasi a terra per qualche istante con enorme dolore e pieno di paura. Presi la mano destra con la sinistra per mantenerla e cercai di correre verso una casa di campagna da cui, sentendo le mie grida, uscì una donna che mi fece entrare. Ella mi diede conforto e incoraggiamento e subito, insieme al marito, mi portò in ospedale, che si trovava a circa 5 km di distanza. I dottori e le infermiere si presero subito cura di me e mi ingessarono il braccio. Rimasi in ospedale per qualche mese. Durante il giorno non ci pensavo tanto, ma la sera, quando vedevo che gli altri pazienti ricevevano visite e da me non c'era nessuno, mi sentivo un po' solo. Per dimostrare un po' d'amicizia e, forse, per darmi un po' di coraggio, a volte, altri visitatori venivano a salutarmi e scambiare qualche parola. La mia maggiore preoccupazione erano però le spese che avrei dovuto pagare all'ospedale. C'era un uomo un po' anziano che era in Australia da tanto tempo e a cui chiesi quanto, secondo lui, mi sarebbe costato. Egli mi assicurò che non mi costava niente perché nello stato del Queensland gli ospedali erano gratuiti. Questa bella notizia mi sollevò da una grande preoccupazione e mi fece sentire molto meglio, almeno mentalmente. Uscito dall'ospedale Peter, il figlio maggiore del mio datore di lavoro, mi accennò che suo padre sapeva chi era stato ad investirmi e che, se lui voleva, poteva darmi buone informazioni per ottenere qualche ricompensa che mi ripagasse del tempo perso non lavorando. Io non conoscevo le leggi e le regole e non sapevo a chi rivolgermi, ma le sue intenzioni capii che non erano a me favorevoli e così persi la fiducia, il rispetto e la volontà di lavorare per questa persona.
Quando il braccio era guarito feci amicizia con un altro giovane della mia età, Sergio Stocco, che era nato a Trieste. Sergio raccoglieva frutta, tabacco e faceva altri lavori occasionali. Mi disse: "Se vuoi venire, c'è tanto lavoro". Così dissi al padrone della fattoria che avevo trovato un altro lavoro e che andavo via. Lavorando insieme a Sergio parlavamo del taglio della canna da zucchero. Egli mi disse che aveva intenzione di provare a tagliare la canna e che, se si fosse deciso, poteva lavorare con la squadra di suo padre, che era in un paesetto chiamato Babinba non tanto lontano da Cairns. Sergio aveva anche uno zio, Bruno Babich, con cui c'era la possibilità che, qualora ci fossimo messi d'accordo, io tagliassi la canna. Andammo a trovarli e stabilimmo che Sergio lavorasse con suo padre e io con suo zio Bruno.
Un po' di giorni prima di incominciare il taglio della canna, io e Sergio andammo a Babinda per fare delle commissioni necessarie a potere cominciare il lavoro nella data stabilita. Bruno era un uomo abbastanza più alto di me, era più maturo e aveva tanta esperienza nel tagliare la canna da zucchero. Prima d'incominciare Bruno mi parlò chiaro: "Vedi Pietro, tu sei ancora principiante e impiegherai un po' di tempo per fare il lavoro che faccio io. Quindi, se tu sei d'accordo, facciamo così. Di paga io prenderò una sterlina in più al giorno fino a che tu non farai lo stesso lavoro che faccio io". A quel tempo si potevano guadagnare circa 10 sterline al giorno. Io fui d'accordo e incominciammo a lavorare. Il giorno prima che incominciassimo era domenica pomeriggio e Bruno mi portò con lui e mi disse che la canna da tagliare si doveva prima bruciare. Si bruciavano le foglie che erano per terra e quelle che erano ancora attaccate alla canna. Bruno sapeva e mi spiegava che bisognava stare attenti, quando si bruciava la canna, specialmente quando c'era vento perché si poteva causare un grave danno bruciando dove non si doveva.
La temperatura era calda e perciò si lavorava in maglietta e pantaloncini, vestiti leggeri e comodi per potersi muovere senza tanto fastidio. Per lavorare un po' con il fresco ci alzavamo di buon mattino e andavamo a lavoro quasi all'alba. Verso le 11:00 ritornavamo a casa, ci lavavamo nell'acqua del ruscello, che scorreva vicinissimo, e a mezzogiorno andavamo a mangiare. La moglie del proprietario, Fiorino Tieppo, anche lui italiano, ci preparava da mangiare. Dopo mangiato ci riposavamo fino alle 15:30 circa e, poi, ritornavamo a lavorare fino al tramonto. Frattanto, siccome volevo dimostrare che avevo tutte le intenzioni e la volontà di lavorare, cercavo anche di imparare il metodo più facile sotto la guida di Bruno. Fui un po' fortunato perché Fiorino, il padrone, vedeva che ce la mettevo tutta e mi aiutava dandomi consigli su come fare il lavoro bene e senza tanta fatica. Tagliando ed operando il coltello sulla mano destra si formavano tante e dolorose vesciche che, durante il lavoro, mi facevano male. Il dolore però era sopportabile anche se, alla sera, dopo che la mano si era raffreddata faceva un male terribile tanto che non potevo neanche chiuderla. Grazie alla guida di Bruno Babich, l'aiuto e l'incoraggiamento di Fiorino Tieppo e la mia volontà di lavorare, giunse il momento in cui, senza che io gli chiedessi, Bruno mi disse: "Pietro, sono contento di come lavori e, ora che sei in grado di fare quello che faccio io, la paga la dividiamo in parti uguali". Io, certo, rimasi molto contento.
Finimmo il taglio della canna da zucchero un paio di settimane prima del Natale. Bruno aveva la sua famiglia a Sydney dove faceva ritorno per le festività. Una mattina, una settimana prima del Natale, io e il mio amico Sergio accompagnavamo Bruno all'aeroporto di Cairns. Durante il viaggio in macchina pensavo che sarebbe stato bello se anch'io fossi tornato a Melbourne per Natale. Arrivati all'aeroporto, dopo che Bruno prese l'aereo, dissi a Sergio se andavamo a comprare il biglietto perché anche io avevo deciso di tornare a Melbourne per Natale. Sergio rimase un po' sbalordito perché eravamo tanto amici e non gli avevo detto prima che sarei tornato a Melbourne. Gli spiegai che era stata una decisione presa all'ultimo momento, durante il viaggio in macchina. Comprai il biglietto per partire la mattina di Natale alle 08:00. Giunto il momento, Sergio mi accompagnò all'aeroporto di Cairns. Siccome gli aerei erano piccoli, dovetti fare due cambi prima di potere giungere a destinazione.
Erano le 15:00 quando finalmente arrivai all'aeroporto di Essendon a Melbourne. A circa 15 km dall'aeroporto abitava mia sorella Domenica con il marito Rosario e due figli ancora piccoli. Presi il primo taxi disponibile e mi feci portare all'indirizzo di mia sorella, a Kensington. Allora non si aveva il telefono in casa e non potei avvisarli del mio arrivo. Giunto davanti casa bussai alla porta e mio nipote, che poteva avere sette anni, venne ad aprire e, allarmato, disse che c'era un uomo. Senza aspettare che mia sorella venisse alla porta entrai con la mia valigia in mano e, quando mi vide, ci fu un momento di incredulità. Fu per lei una grande sorpresa ed una grande gioia. Per festeggiare il Natale si trovavano a casa di mia sorella mio zio Pasquale Lanciana, fratello di mia madre, e la sua famiglia. Tutti insieme brindammo il mio arrivo ed il Natale. C'era ancora tanto cibo avanzato dal pranzo e così feci una bella mangiata anch'io. Fu una splendida occasione in cui, raccontando un po' di cose e bevendo della birra fredda, piacevole con la temperatura calda che c'era, passarono le ore così velocemente che si fece subito tardi.
Questo parte della mia vita fu un periodo difficile, a volte preoccupante e a volte doloroso, di continua solitudine. Ma mi è stata d'insegnamento perché mi ha fatto acquisire esperienza e crescere mentalmente. Mi è servita come solida base sulla quale, spinto dall'ambizione di migliorarmi, ho potuto progredire ed ha influito sulla scelta di come vivere la mia vita.