Durante il periodo in fattoria avevo fatto nuove conoscenze e, per andare a trovare gli amici, avevo comprato una bicicletta.
Una sera, dopo il lavoro, partii per andare a trovare alcuni di loro. Sfortunatamente, mentre pedalavo, mi investii una macchina causando la rottura del mio braccio destro. La macchina andò via senza fermarsi ed io rimasi a terra per qualche istante con enorme dolore e pieno di paura. Presi la mano destra con la sinistra per mantenerla e cercai di correre verso una casa di campagna da cui, sentendo le mie grida, uscì una donna che mi fece entrare. Ella mi diede conforto e incoraggiamento e subito, insieme al marito, mi portò in ospedale, che si trovava a circa 5 km di distanza. I dottori e le infermiere si presero subito cura di me e mi ingessarono il braccio. Rimasi in ospedale per qualche mese. Durante il giorno non ci pensavo tanto, ma la sera, quando vedevo che gli altri pazienti ricevevano visite e da me non c'era nessuno, mi sentivo un po' solo. Per dimostrare un po' d'amicizia e, forse, per darmi un po' di coraggio, a volte, altri visitatori venivano a salutarmi e scambiare qualche parola. La mia maggiore preoccupazione erano però le spese che avrei dovuto pagare all'ospedale. C'era un uomo un po' anziano che era in Australia da tanto tempo e a cui chiesi quanto, secondo lui, mi sarebbe costato. Egli mi assicurò che non mi costava niente perché nello stato del Queensland gli ospedali erano gratuiti. Questa bella notizia mi sollevò da una grande preoccupazione e mi fece sentire molto meglio, almeno mentalmente. Uscito dall'ospedale Peter, il figlio maggiore del mio datore di lavoro, mi accennò che suo padre sapeva chi era stato ad investirmi e che, se lui voleva, poteva darmi buone informazioni per ottenere qualche ricompensa che mi ripagasse del tempo perso non lavorando. Io non conoscevo le leggi e le regole e non sapevo a chi rivolgermi, ma le sue intenzioni capii che non erano a me favorevoli e così persi la fiducia, il rispetto e la volontà di lavorare per questa persona.
Quando il braccio era guarito feci amicizia con un altro giovane della mia età, Sergio Stocco, che era nato a Trieste. Sergio raccoglieva frutta, tabacco e faceva altri lavori occasionali. Mi disse: "Se vuoi venire, c'è tanto lavoro". Così dissi al padrone della fattoria che avevo trovato un altro lavoro e che andavo via. Lavorando insieme a Sergio parlavamo del taglio della canna da zucchero. Egli mi disse che aveva intenzione di provare a tagliare la canna e che, se si fosse deciso, poteva lavorare con la squadra di suo padre, che era in un paesetto chiamato Babinba non tanto lontano da Cairns. Sergio aveva anche uno zio, Bruno Babich, con cui c'era la possibilità che, qualora ci fossimo messi d'accordo, io tagliassi la canna. Andammo a trovarli e stabilimmo che Sergio lavorasse con suo padre e io con suo zio Bruno.
Un po' di giorni prima di incominciare il taglio della canna, io e Sergio andammo a Babinda per fare delle commissioni necessarie a potere cominciare il lavoro nella data stabilita. Bruno era un uomo abbastanza più alto di me, era più maturo e aveva tanta esperienza nel tagliare la canna da zucchero. Prima d'incominciare Bruno mi parlò chiaro: "Vedi Pietro, tu sei ancora principiante e impiegherai un po' di tempo per fare il lavoro che faccio io. Quindi, se tu sei d'accordo, facciamo così. Di paga io prenderò una sterlina in più al giorno fino a che tu non farai lo stesso lavoro che faccio io". A quel tempo si potevano guadagnare circa 10 sterline al giorno. Io fui d'accordo e incominciammo a lavorare. Il giorno prima che incominciassimo era domenica pomeriggio e Bruno mi portò con lui e mi disse che la canna da tagliare si doveva prima bruciare. Si bruciavano le foglie che erano per terra e quelle che erano ancora attaccate alla canna. Bruno sapeva e mi spiegava che bisognava stare attenti, quando si bruciava la canna, specialmente quando c'era vento perché si poteva causare un grave danno bruciando dove non si doveva.
La temperatura era calda e perciò si lavorava in maglietta e pantaloncini, vestiti leggeri e comodi per potersi muovere senza tanto fastidio. Per lavorare un po' con il fresco ci alzavamo di buon mattino e andavamo a lavoro quasi all'alba. Verso le 11:00 ritornavamo a casa, ci lavavamo nell'acqua del ruscello, che scorreva vicinissimo, e a mezzogiorno andavamo a mangiare. La moglie del proprietario, Fiorino Tieppo, anche lui italiano, ci preparava da mangiare. Dopo mangiato ci riposavamo fino alle 15:30 circa e, poi, ritornavamo a lavorare fino al tramonto. Frattanto, siccome volevo dimostrare che avevo tutte le intenzioni e la volontà di lavorare, cercavo anche di imparare il metodo più facile sotto la guida di Bruno. Fui un po' fortunato perché Fiorino, il padrone, vedeva che ce la mettevo tutta e mi aiutava dandomi consigli su come fare il lavoro bene e senza tanta fatica. Tagliando ed operando il coltello sulla mano destra si formavano tante e dolorose vesciche che, durante il lavoro, mi facevano male. Il dolore però era sopportabile anche se, alla sera, dopo che la mano si era raffreddata faceva un male terribile tanto che non potevo neanche chiuderla. Grazie alla guida di Bruno Babich, l'aiuto e l'incoraggiamento di Fiorino Tieppo e la mia volontà di lavorare, giunse il momento in cui, senza che io gli chiedessi, Bruno mi disse: "Pietro, sono contento di come lavori e, ora che sei in grado di fare quello che faccio io, la paga la dividiamo in parti uguali". Io, certo, rimasi molto contento.
Finimmo il taglio della canna da zucchero un paio di settimane prima del Natale. Bruno aveva la sua famiglia a Sydney dove faceva ritorno per le festività. Una mattina, una settimana prima del Natale, io e il mio amico Sergio accompagnavamo Bruno all'aeroporto di Cairns. Durante il viaggio in macchina pensavo che sarebbe stato bello se anch'io fossi tornato a Melbourne per Natale. Arrivati all'aeroporto, dopo che Bruno prese l'aereo, dissi a Sergio se andavamo a comprare il biglietto perché anche io avevo deciso di tornare a Melbourne per Natale. Sergio rimase un po' sbalordito perché eravamo tanto amici e non gli avevo detto prima che sarei tornato a Melbourne. Gli spiegai che era stata una decisione presa all'ultimo momento, durante il viaggio in macchina. Comprai il biglietto per partire la mattina di Natale alle 08:00. Giunto il momento, Sergio mi accompagnò all'aeroporto di Cairns. Siccome gli aerei erano piccoli, dovetti fare due cambi prima di potere giungere a destinazione.
Erano le 15:00 quando finalmente arrivai all'aeroporto di Essendon a Melbourne. A circa 15 km dall'aeroporto abitava mia sorella Domenica con il marito Rosario e due figli ancora piccoli. Presi il primo taxi disponibile e mi feci portare all'indirizzo di mia sorella, a Kensington. Allora non si aveva il telefono in casa e non potei avvisarli del mio arrivo. Giunto davanti casa bussai alla porta e mio nipote, che poteva avere sette anni, venne ad aprire e, allarmato, disse che c'era un uomo. Senza aspettare che mia sorella venisse alla porta entrai con la mia valigia in mano e, quando mi vide, ci fu un momento di incredulità. Fu per lei una grande sorpresa ed una grande gioia. Per festeggiare il Natale si trovavano a casa di mia sorella mio zio Pasquale Lanciana, fratello di mia madre, e la sua famiglia. Tutti insieme brindammo il mio arrivo ed il Natale. C'era ancora tanto cibo avanzato dal pranzo e così feci una bella mangiata anch'io. Fu una splendida occasione in cui, raccontando un po' di cose e bevendo della birra fredda, piacevole con la temperatura calda che c'era, passarono le ore così velocemente che si fece subito tardi.
Questo parte della mia vita fu un periodo difficile, a volte preoccupante e a volte doloroso, di continua solitudine. Ma mi è stata d'insegnamento perché mi ha fatto acquisire esperienza e crescere mentalmente. Mi è servita come solida base sulla quale, spinto dall'ambizione di migliorarmi, ho potuto progredire ed ha influito sulla scelta di come vivere la mia vita.
Nei miei diciotto anni vissuti ad Acquaro avevo viaggiato ben poco, ma nei sei mesi seguenti percorsi lunghe distanze.
Cominciai con il viaggio verso Melbourne dove, appena arrivato, trovai lavoro in una fabbrica. Erano gli inizi di novembre e dopo circa un mese e mezzo di lavoro andai in vacanza per le feste di Natale. A quei tempi tutte le fabbriche chiudevano per quattro settimane e tutti si andava in ferie. Lavorando in fabbrica, poiché non avevo ancora ventuno anni di età, prendevo metà paga; era quella la legge di allora in Australia. Tanti emigranti provenienti da altre regioni, specialmente del Nord d'Italia, viaggiavano assistiti e non pagavano il viaggio. Mio padre, invece, dovette pagare il mio biglietto per venire in nave in Australia. Io volevo restituirgli i soldi, che aveva speso per il viaggio, al più presto, ma con la paga che prendevo era difficile.
Durante le vacanze conobbi tre giovani abruzzesi, Romeo, Amedeo e Celeste. Un giorno, parlando con loro, mi dissero che si trovavano a Melbourne e che quando incominciava la stagione del taglio della canna da zucchero andavano a Cairns, nel Nord del Queensland. Mi dissero anche che, se avessi voluto, sarei potuto andare con loro e che con questo lavoro si percepiva la stessa paga degli adulti. La stagione del taglio della canna incominciava con i primi di aprile e loro partivano negli ultimi giorni di marzo. Mi era piaciuta l'idea di andare nel Queensland e, dopo aver parlato con mio cognato, decisi di andare con loro e provare. Con questi giovani abruzzesi si abitava vicini e ci vedevamo quasi tutte le sere. Così, in uno dei nostri incontri, dissi loro che avevo deciso di seguirli.
La distanza tra Melbourne e Cairns è circa 3500 km e, dopo aver cambiato treno tre volte e avere compiuto tre giorni di viaggio, arrivammo a Cairns. Nel breve periodo di meno di sei mesi feci due lunghissimi viaggi che mai avrei immaginato prima. A Cairns stemmo un po' di giorni insieme. Loro già conoscevano molte persone, quelle con cui tagliarono la canna insieme e quelle che conobbero durante il periodo in cui erano stati a Cairns le volte precedenti. Dopo qualche settimana loro stabilirono la data in cui cominciare il lavoro. A quei tempi la canna si tagliava in gruppi di uomini (squadre) di quattro o più persone, secondo la grandezza dei campi dove cresceva la pianta. Io cercai di trovare un gruppo che mi accettasse, ma non trovai chi mi desse un'opportunità. Ero giovane, senza esperienza, forse secondo loro, tenero e non abbastanza maturo per adempiere alle richieste di un lavoro così duro. Ero partito con buone intenzioni, tanta passione e pieno di speranza, ma ero rimasto solo in un paese dove non sapevo parlare la lingua, senza parenti e senza amici.
Durante le settimane successive venni a conoscenza di un signore di origine siciliana con cui feci amicizia. È grazie a lui che trovai lavoro in una fattoria a circa 50 km da Cairns. Questo signore si mise in contatto con il padrone della fattoria, il signor John Gargan, e questi mi venne a prendere con la sua macchina. Viaggiando in macchina John mi fece delle domande, ma io non capivo quasi niente. Giungemmo alla sua azienda, che era molto grande, dove c'era una casa comoda con alberi di Avocado e Mango tutto intorno. La proprietà era vicino ad un paese chiamato Atherton. Mi presentò la moglie e più tardi, quando tornaron a casa dalla scuola, mi presentò i tre figli, Peter, John e Margaret. Peter aveva 17 anni, John 14 e Margaret 10. Era un'azienda di allevamento di mucche da latte e c'erano 120 mucche e tante giovenche. Le mucche si mungevano la mattina e la sera. Il mungere consisteva nel pulire le mammelle con uno straccio e acqua tiepida e poi nell'applicare la macchinetta che conduceva il latte in una cisterna di acciaio inossidabile dove, nello stesso tempo, veniva filtrato. Dalla cisterna veniva messo in bidoni di circa 25 litri e più tardi, come tutte le mattine, veniva un uomo con un furgone che portava via il latte. C'erano anche due cavalli e un cane che servivano per radunare le bestie, specialmente nel pomeriggio.
A me sembrava di sapere tante parole in inglese e quando cercavo di parlare con i ragazzi mi sentivo un po' più comodo che con i genitori. Tante delle parole che io cercavo di dire, pensando che fossero corrette e che avessero un significato, mi accorsi che erano soltanto parolacce. Io non lo sapevo finché, con mio imbarazzo, non me lo dissero loro. Io avevo tanta voglia di imparare la lingua inglese, ma all'inizio sembrava molto difficile. Visto che con i ragazzi mi trovavo bene perché, quando loro non erano a scuola, eravamo sempre insieme, io, ad ogni occasione, facevo loro tante domande in modo che m'insegnassero parole nuove facendomele ripetere fino a che non le pronunciavo correttamente. In pochi mesi imparai a conversare. Ormai conoscevo molte parole e sapevo come metterle insieme per formare una frase. Stetti con questa famiglia per circa 18 mesi e, parlando continuamente l'inglese, anche se con difficoltà, con il suo aiuto imparai abbastanza. Questo periodo mi permise di realizzare una solida base su cui, più tardi, potei migliorare la lingua fino a riuscire a parlarla fluentemente, leggerla e scriverla comodamente permettendomi poi di studiare altre materie durante la frequenza delle scuole superiori.
Dopo un po' di mesi che vivevo con questa famiglia, ogni tanto facevo qualche visitina al paese, Atherton, che era ad un paio di chilometri dall'abitazione. Là venni a conoscere degli italiani. Uno di loro, che possedeva anche una fattoria, ma non di animali, mi invitò a casa sua e divenimmo molto amici. Tutta la famiglia mi voleva bene. Forse avevano compassione perché ero così giovane e senza nessuno. Questo mio nuovo e unico amico si chiamava Bruno Cuda e veniva da Bella, paese vicino Nicastro (che adesso fa parte di Lamezia Terme). Con Bruno rimanemmo in corrispondenza per tanti anni. Per merito suo venni a conoscere, più tardi, anche tanti suoi amici e parenti, che tante volte mi portava a trovare con lui e la famiglia. Anche se ero un giovanotto un po' timido sembrava mi volessero bene, parlavo ben poco durante i loro ragionamenti, rispondevo soltanto se mi facevano delle domande. Mi dicevano spesso: "Non avire vrigogna, fai finta ca si a casa tua". Posso sinceramente dire che tutti questi italiani, che ebbi modo di conoscere, mi hanno aiutato ad andare avanti e superare un delicato periodo della mia vita, un periodo di grande solitudine.
Era una mattina nella metà di ottobre. La vendemmia si era già fatta, io ho dato una mano a mio padre con la vendemmia ed il mosto era già che fermentava nelle botti. Era di buon'ora ed era ancora buio. Ho baciato mia madre che stava piangendo e accompagnato da mio padre ci avviammo verso la piazza dove Vincenzo Viola ci aspettava con la macchina davanti la bottega di Cosmo Lopresti. Salendo in macchina lasciavo la mia casa, la mia famiglia e attraversavo il fiume Amello per l'ultima volta e mi allontanavo dal mio amato Acquaro mai pensando che fossi stato da lui lontano per oltre mezzo secolo.
A Villa San Giovanni scendiamo dalla macchina salutavo Vincenzo Viola e con mio padre abbiamo bordato il traghetto e arrivammo a Messina. Quando è arrivato il mio turno mi sono avvicinato al banco per mostrare i documenti e verso le dieci e mezza dopo aver salutato mio padre sono salito sulla nave. La persona di servizio mi ha mostrato la cabina e posata la valigetta sul lettino salgo per salutare ancora una volta mio padre che aspettava sotto finche' la nave non partisse. Era una bella nave abbastanza moderna, la Sydney che faceva servizio tra l'Italia e l'Australia. Verso le undici di mattina la nave lentamente si distaccava dal porto lasciando dietro Messina, la Sicilia e l'Italia entrando nelle acque azzurre del glorioso Mediterraneo.
Ad ognuno dei passeggeri era stato assegnato un posto a tavola per mangiare. Alla tavola dove sedevo io c'era una famiglia con marito, moglie e due ragazze ancora piccole sotto i dieci anni. Con gli adulti abbiamo cercato di fare conoscenza con qualche segno ed un sorriso. Loro non erano italiani ma sembrava gente di buon carattere, ben vestita e amichevole. Credo erano di origine greca ed erano già stati in Australia ma sono andati in vacanza per visitare i parenti e adesso si trovavano di ritorno. Quando ci è stato servito il pranzo per la prima volta, sulla tavola c'erano posate che a casa mia non avevamo mai usato, perciò io non ero sicuro come incominciare a mangiare e non volevo fare brutta figura. Ho aspettato che incominciavano loro a mangiare e secondo come facevano loro cercavo di imitare e pian piano ho incominciato a mangiare anche io.
Siamo arrivati a Port Said in Egitto dove la nave per motivi che io non sapevo aveva fatto ancora ad una certa distanza dal porto. Per andare nella città abbiamo dovuto camminare sopra una zattera che si muoveva si camminava sopra e si doveva stare molto attenti altrimenti si andava a finire nell'acqua. L'Egitto mi faceva ricordare di Cleopatra, delle grandi e tanto famose piramidi e dei Faraoni. Lasciato Port Said la nave si è infilata nel Canale di Suez e andava avanti lentamente e con cautela. Usciti dal Canale siamo entrati nel Mar Rosso ma l'acqua lo stesso era blu.
Il prossimo porto è stato Colombo a Ceylon a quei tempi adesso Sri Lanka. Là, per la prima volta, ho visto gente di colore nero che dalla loro barca si avvicinavano alla nave per vendere degli oggetti come orologi, collane, bracciali e altri oggetti ai passeggeri che eravamo ancora sulla nave. La nave si avvicinava lentamente al porto. Assieme a me viaggiava e andava a Sydney Francesco Carnovale. Francesco aveva sposato una donna greca, Dorotea appena dopo la guerra e l'ha portata a vivere ad Acquaro. Era già stato in Australia ed era stato in vacanza per vedere la moglie e il figlio Fortunato. Francesco mi ha detto di andare per una camminata per la città a Colombo e mentre camminavamo un uomo ci offre un fascio di banane che diceva lui erano a buon prezzo. Francesco accetta di comprarle ma li deve portare lui fino alla nave. Per me era la prima volta che vedevo banane e Francesco me ne da una per mangiare. Io la mangio ma non mi è tanto piaciuta, forse era ancora un po' verde e non aveva il sapore giusto. Nei prossimi giorni tra me e Francesco le abbiamo mangiate e ne abbiamo dato anche a degli amici.
Ad ogni porto che la nave si fermava io avevo una lettera da mandare a casa. Siamo arrivati al primo porto d'Australia, Fremantle e siamo andati per comprare dei francobolli, Francesco già parlava un po' d'inglese ma io gli ho chiesto come dovevo dire in inglese che volevo provare a comprarli io questi francobolli. Eravamo già in Australia ma dicevano che impiegava ancora cinque o sei giorni per arrivare a Melbourne. Tra Fremantle e Melbourne il mare era più mareggiato dal resto del viaggio.
Durante i venti e più giorni di navigazione avevo fatto un bel po' d'amicizia, c'erano tanti ragazzi della mia stessa età che viaggiavano e andavano a raggiungere il padre a Melbourne, a Sydney oppure ad altri posti. Avendo vissuto in Acquaro a quei tempi non ero stato più lontano da Vibo Valentia. Ero stato una volta a Roma e un paio di volte a Messina ma solo per qualche giorno, perciò fuori di Acquaro non conoscevo altri posti senonché i paesi vicini. Vivendo in Acquaro a quei tempi si andava a scuola e si imparava l'italiano. Durante l'orario di scuola si parlava italiano ma usciti dall'aula si parlava assolutamente il dialetto. Se ci scappava qualche parola in italiano gli altri ragazzi non finivano mai di sfottere e dicevano a chi parlava italiano che toscaneggiava. Come tanti altri giovanotti di quel tempo ero abbastanza timido, ignorante e inesperiente.
Finalmente, dopo 25 giorni a tarda sera ci stavamo avvicinando nella baia di Melbourne (Port Phillip Bay). La nave si è fermata nella baia, fuori del porto fino al mattino. Quando la nave è arrivata al porto di Melbourne centinaia di persone erano che aspettavano sul porto per incontrare i parenti o amici. Tanti aspettavano con ansia la moglie che avevano sposato per procura. Io cercavo di vedere se c'era mio cognato che doveva venire ad incontrarmi. Dopo aver guardato un po' l'ho veduto assieme a mio zio e mi hanno fatto segno di sbrigarmi quando arrivava il mio turno che loro aspettavano sotto. Erano momenti eccitanti ma incerti ma vedendo mio cognato e mio zio mi sentivo assai più comodo. Quando sono sceso mi hanno portato alla casa dove abitava mio cognato. Era il sobborgo di West Melbourne, meno di mezzo km di distanza dal centro di Melbourne. Non so spiegare come mi sentivo, ero vicino la città dove c'era tanta gente in giro ma io non conoscevo nessuno. Mio cognato si è preso un paio di giorni per stare con me e spiegarmi delle cose necessarie ma poi è dovuto tornare al lavoro. Io da solo facevo qualche camminata vicino casa e tante volte, specialmente all'orario di pranzo, c'era un mucchio di gente in giro ma in mezzo a tutta quella gente io mi sentivo solo, isolato. All'ora c'era una usanza che a me piaceva che il weekend tanti paesani e parenti si scambiavano delle visite e passavano delle ore durante il pomeriggio dove gli uomini giocavano a carte, a volte padrone e sotto e le donne chiacchieravano a non finire.
Questo è il mio piccolo riassunto del mio viaggio e l'arrivo a Melbourne. Spero di continuare le mie esperienze.
Mezzo secolo è un lungo periodo di tempo specialmente se si parla dell'assenza dal posto dove si è nati. Sì, è mezzo secolo che io manco dall'Italia, che io manco da Acquaro, dal paese dove io sono nato.
Malgrado tutto questo io ricordo tutto quello che io ho lasciato, nel modo che l'ho lasciato, nel modo che l'ho lasciato a quel tempo. Lo so, in tutti quest'anni le cose sono molto cambiate, la gente, le circostanze, l'ambiente, i tempi e il progresso. In tanti modi speriamo che le cose sono cambiate tutte per il bene, per il bene della comunità, per il bene del paese.
I tempi e le circostanze sono cambiate dappertutto ma a noi che siamo più anziani forse il progresso ci ha lasciati un po' dietro. Forse alcuni di noi siamo stati capaci ad ambientarci con il progresso dei tempi moderni e nello stesso tempo mantenere in noi i ricordi, i valori e ricordare le sofferenze del passato. Tanti di noi, alla nostra età ne abbiamo avuto almeno l'opportunità di conoscere ed sperimentare i rigidi tempi del passato ed accettare e rispettare o sopportare le flessibilità dei tempi moderni. I tempi sono cambiati e normalmente in tutto il mondo ma per gli acquaresi di Melbourne il passato è una cosa molto importante. Il passato è sempre vivo, sempre presente nella nostra disposizione, nel nostro pensiero e nel nostro cuore.
Gli acquaresi che viviamo a Melbourne e che siamo nati in Acquaro parliamo il dialetto forse più che al paese. Anche che ai tempi d'oggi c'è la possibilità di scegliere una vasta varietà di ricette e cibi, ancora tanti di noi mangiamo con gran gusto la pasta e fagioli con il peperoncino piccante. Tanti facciamo ancora il vino, facciamo la salsicce e naturalmente le famose e tanto gustose CURUJICCHI. Siamo nati acquaresi e non è facile cambiare interamente.
Io ho un'età, ho avuto a che fare con tanti paesani, brava gente, lavoratori dediti alla loro famiglia, rispettosi delle leggi locali. Essi, oltre ad avere tutte queste doti, hanno (abbiamo) mantenute le nostre tradizioni.
Da qualche tempo mi era venuto in mente l'idea di avvicinare i paesani emigrati che siamo in tanti che viviamo nei dintorni di Melbourne. Tanti paesani erano emigrati già sposati e tanti avevano lasciato al paese la moglie e dei figli. Più tardi li hanno fatto venire in Australia e le famiglie si erano riunite. Questi paesani lavoravano duro e se ne avevano l'occasione facevano anche dello straordinario per guadagnare un po' di più per mantenere e portare avanti la famiglia. La loro vita era casa e lavoro, non avevano nessuno svago. Naturalmente col passare del tempo tanti di questi paesani si son fatti anziani e andavano in pensione. Anche se potevano vivere comodamente non tanto sapevano come passare le giornate perché non si conosceva tanto la vita del di fuori della loro abitazione.
La mia idea era di creare un posto dove passare un po' di tempo insieme, dove potevamo parlare la nostra lingua, il nostro dialetto comodamente. Un posto dove si poteva bere un bicchiere di qualche cosa, ragionare del passato, parlare dei nostri parenti, dei nostri amici che abbiamo lasciato indietro e che non vedevamo da tanti anni, parlare del nostro sempre amato Acquaro, scherzare e raccontare qualche barzelletta. In questo modo si poteva rinnovare l'amicizia e averne l'opportunità d'incontrare dei paesani che non conoscevamo. Questa mia idea l'ho confidata a Giuseppe Comito, mio amico che con lui ci vedevamo spesso. Giuseppe ha detto che l'idea era buona ma con i paesani non era facile fare capire che tutto questo che si voleva fare era per il bene di tutti noi, tanti non avevano fiducia. Io ho detto che era il tempo opportuno per provare e vedere come andava.
Era una serata d'estate, l'11 febbraio del 1992. Nella chiesa di San Giuseppe a West Brunswick si recitava il Rosario per l'anima del nostro paesano Pietro Mazza che era deceduto l'8 febbraio. In attesa c'era un gran numero di paesani. Alla fine del Rosario e dopo date le condoglianze alla famiglia all'uscita della chiesa si incontrava con tanti paesani e ci scambiavamo i saluti. Tra la maggior parte di paesani ci vedevamo soltanto a queste funzioni funebri dove spesse volte ci salutavamo in fretta. Io mi sono avvicinato a parecchi gruppetti e mentre ci scambiavamo i saluti in presenza di Giuseppe Comito menzionavo la mia intenzione. Tanti mostravamo di essere favorevoli, altri storcevano il muso. Un paio di loro hanno detto: "Io cull'acquaruati no vuajju nenta a chiffare. Cu l'acquaruati clabbu no ssi nda fa". In fine ogn'un di noi andava a casa per la serata.
Il giorno dopo, dopo la sepoltura della salma al cimitero di Fawkner, ci siamo incontrati ancora con quelli paesani che avevano dimostrato interesse ed erano d'accordo. Quel giorno abbiamo arrangiato una riunione dove Gabriele Larosa ha provveduto per il posto della riunione. Gabriele assieme la moglie Giuseppina gestivano una fabbrica di prodotti di cuoio nella zona di Thomastown. La riunione è stata stabilita per la sera del 20 febbraio.
A questa riunione del 20 febbraio eravamo presenti Pietro Carnovale, Giuseppe Comito, Pietro Iozzo, Gabriele e Raffaele Larosa e Domenico Crupi. A questa riunione abbiamo parlato maggiormente di come metterci in contatto con i paesani. Abbiamo anche deciso di includere Limpidi perché era parte di Acquaro. Siccome aveva sposato una donna di Limpidi e lui aveva una vasta conoscenza con i limpidesi ho suggerito che con l'accordo di tutti invitavo a mio cugino Giuseppe Lanciana che lui ci poteva aiutare a fare sapere ai limpidesi del nostro progetto. Giuseppe è stato d'accordo a fare parte del comitato anche se per un breve periodo. Ci abbiamo dato da fare e abbiamo usato tanti modi di raggiungere e fare consapevoli la maggior parte dei paesani. Abbiamo messo anche un'annuncio nel giornale italiano, Il Globo.
Dopo fatte altre riunioni e vedendo la buona reazione dei paesani abbiamo stabilito una data in una sala abbastanza grandetta per un'assemblea dove abbiamo invitato i paesani di attendere. Matteo Cosentini si era impegnato di trovare la sala a Reservoir, alla parrocchia di San Giuseppe. L'assemblea è stata organizzata per il 17 maggio 1992 dove circa 180 paesani, uomini e donne hanno atteso, erano molto favorevoli e pieni di entusiasmo. 65 famiglie ci siamo tesserati quel pomeriggio stesso. Gli organizzatori abbiamo provvisto un rinfresco per dopo la riunione.
Come la voce si spargeva e i paesani vedevano che le cose andavano avanti, molti di loro volevano far parte di questo gruppo. Anche il numero degli organizzatori è cresciuto. Un socio tesserato consisteva di una famiglia dove tutti i membri della famiglia ne godevano gli stessi diritti, solo che la persona la cui il nome appariva sulla tessera aveva il diritto di votare al tempo delle elezioni.
Adesso che le cose andavano molto bene il comitato ha deciso di fare una Cena Danzante per la ricorrenza della festa di San Rocco. La cena è stata organizzata per sera di sabato 15 agosto 1992 in una grande e lussuosa sala situata a Sydney Road, Brunswick. Quella è stata per me una delle più soddisfacenti serate della mia vita. Era una serata che avevamo 604 persone tutti adulti e che assieme c'era una grande gioia, l'atmosfera di quella serata era elettrica. Quella sera era la prima volta che un gran numero di paesani acquaresi gioivano insieme in un ambiente di allegria, ricco di ogni bene, ricco di risate, scherzi, amicizia e compatta fraternità.
Sono ormai passati tanti anni dalla creazione dell'Acquaro - Limpidi Social Club e secondo me non si potrebbe misurare il valore di quella esperienza. La prima cosa è che ne abbiamo fatto un servizio per la nostra comunità che vive nei dintorni di Melbourne e che ne ha voluto partecipare. Con la creazione di questo club non solo che c'è stato un grande avvicinamento tra paesani ma durante il corso del funzionamento del club siamo venuti in conoscenza di tante altre persone provenienti da altre regioni d'Italia. A merito del club che da tempo fa parte alla Regione Calabria abbiamo acquistato riconoscimento, Acquaro spero ha anche acquistato riconoscimento e spero anche che attraverso l'organizzazione ha acquistato anche un po' di rispetto.
Sfortunatamente gli emigranti che siamo nati in Acquaro con il passare del tempo ci stiamo facendo anziani. I nostri figli non la pensano come noi, loro hanno differente idee, differenti impegni e come i tempi son cambiati in Italia e in Calabria son cambiati anche in Australia. Il club Acquaro - Limpidi funziona ancora ma alle serate di festa gli acquaresi spesse volte siamo in minoranza.