Pietro Carnovale
Pietro Carnovale

Nei miei diciotto anni vissuti ad Acquaro avevo viaggiato ben poco, ma nei sei mesi seguenti percorsi lunghe distanze.
Cominciai con il viaggio verso Melbourne dove, appena arrivato, trovai lavoro in una fabbrica. Erano gli inizi di novembre e dopo circa un mese e mezzo di lavoro andai in vacanza per le feste di Natale. A quei tempi tutte le fabbriche chiudevano per quattro settimane e tutti si andava in ferie. Lavorando in fabbrica, poiché non avevo ancora ventuno anni di età, prendevo metà paga; era quella la legge di allora in Australia. Tanti emigranti provenienti da altre regioni, specialmente del Nord d'Italia, viaggiavano assistiti e non pagavano il viaggio. Mio padre, invece, dovette pagare il mio biglietto per venire in nave in Australia. Io volevo restituirgli i soldi, che aveva speso per il viaggio, al più presto, ma con la paga che prendevo era difficile.
Durante le vacanze conobbi tre giovani abruzzesi, Romeo, Amedeo e Celeste. Un giorno, parlando con loro, mi dissero che si trovavano a Melbourne e che quando incominciava la stagione del taglio della canna da zucchero andavano a Cairns, nel Nord del Queensland. Mi dissero anche che, se avessi voluto, sarei potuto andare con loro e che con questo lavoro si percepiva la stessa paga degli adulti. La stagione del taglio della canna incominciava con i primi di aprile e loro partivano negli ultimi giorni di marzo. Mi era piaciuta l'idea di andare nel Queensland e, dopo aver parlato con mio cognato, decisi di andare con loro e provare. Con questi giovani abruzzesi si abitava vicini e ci vedevamo quasi tutte le sere. Così, in uno dei nostri incontri, dissi loro che avevo deciso di seguirli.
La distanza tra Melbourne e Cairns è circa 3500 km e, dopo aver cambiato treno tre volte e avere compiuto tre giorni di viaggio, arrivammo a Cairns. Nel breve periodo di meno di sei mesi feci due lunghissimi viaggi che mai avrei immaginato prima. A Cairns stemmo un po' di giorni insieme. Loro già conoscevano molte persone, quelle con cui tagliarono la canna insieme e quelle che conobbero durante il periodo in cui erano stati a Cairns le volte precedenti. Dopo qualche settimana loro stabilirono la data in cui cominciare il lavoro. A quei tempi la canna si tagliava in gruppi di uomini (squadre) di quattro o più persone, secondo la grandezza dei campi dove cresceva la pianta. Io cercai di trovare un gruppo che mi accettasse, ma non trovai chi mi desse un'opportunità. Ero giovane, senza esperienza, forse secondo loro, tenero e non abbastanza maturo per adempiere alle richieste di un lavoro così duro. Ero partito con buone intenzioni, tanta passione e pieno di speranza, ma ero rimasto solo in un paese dove non sapevo parlare la lingua, senza parenti e senza amici.
Durante le settimane successive venni a conoscenza di un signore di origine siciliana con cui feci amicizia. È grazie a lui che trovai lavoro in una fattoria a circa 50 km da Cairns. Questo signore si mise in contatto con il padrone della fattoria, il signor John Gargan, e questi mi venne a prendere con la sua macchina. Viaggiando in macchina John mi fece delle domande, ma io non capivo quasi niente. Giungemmo alla sua azienda, che era molto grande, dove c'era una casa comoda con alberi di Avocado e Mango tutto intorno. La proprietà era vicino ad un paese chiamato Atherton. Mi presentò la moglie e più tardi, quando tornaron a casa dalla scuola, mi presentò i tre figli, Peter, John e Margaret. Peter aveva 17 anni, John 14 e Margaret 10. Era un'azienda di allevamento di mucche da latte e c'erano 120 mucche e tante giovenche. Le mucche si mungevano la mattina e la sera. Il mungere consisteva nel pulire le mammelle con uno straccio e acqua tiepida e poi nell'applicare la macchinetta che conduceva il latte in una cisterna di acciaio inossidabile dove, nello stesso tempo, veniva filtrato. Dalla cisterna veniva messo in bidoni di circa 25 litri e più tardi, come tutte le mattine, veniva un uomo con un furgone che portava via il latte. C'erano anche due cavalli e un cane che servivano per radunare le bestie, specialmente nel pomeriggio.
A me sembrava di sapere tante parole in inglese e quando cercavo di parlare con i ragazzi mi sentivo un po' più comodo che con i genitori. Tante delle parole che io cercavo di dire, pensando che fossero corrette e che avessero un significato, mi accorsi che erano soltanto parolacce. Io non lo sapevo finché, con mio imbarazzo, non me lo dissero loro. Io avevo tanta voglia di imparare la lingua inglese, ma all'inizio sembrava molto difficile. Visto che con i ragazzi mi trovavo bene perché, quando loro non erano a scuola, eravamo sempre insieme, io, ad ogni occasione, facevo loro tante domande in modo che m'insegnassero parole nuove facendomele ripetere fino a che non le pronunciavo correttamente. In pochi mesi imparai a conversare. Ormai conoscevo molte parole e sapevo come metterle insieme per formare una frase. Stetti con questa famiglia per circa 18 mesi e, parlando continuamente l'inglese, anche se con difficoltà, con il suo aiuto imparai abbastanza. Questo periodo mi permise di realizzare una solida base su cui, più tardi, potei migliorare la lingua fino a riuscire a parlarla fluentemente, leggerla e scriverla comodamente permettendomi poi di studiare altre materie durante la frequenza delle scuole superiori.
Dopo un po' di mesi che vivevo con questa famiglia, ogni tanto facevo qualche visitina al paese, Atherton, che era ad un paio di chilometri dall'abitazione. Là venni a conoscere degli italiani. Uno di loro, che possedeva anche una fattoria, ma non di animali, mi invitò a casa sua e divenimmo molto amici. Tutta la famiglia mi voleva bene. Forse avevano compassione perché ero così giovane e senza nessuno. Questo mio nuovo e unico amico si chiamava Bruno Cuda e veniva da Bella, paese vicino Nicastro (che adesso fa parte di Lamezia Terme). Con Bruno rimanemmo in corrispondenza per tanti anni. Per merito suo venni a conoscere, più tardi, anche tanti suoi amici e parenti, che tante volte mi portava a trovare con lui e la famiglia. Anche se ero un giovanotto un po' timido sembrava mi volessero bene, parlavo ben poco durante i loro ragionamenti, rispondevo soltanto se mi facevano delle domande. Mi dicevano spesso: "Non avire vrigogna, fai finta ca si a casa tua". Posso sinceramente dire che tutti questi italiani, che ebbi modo di conoscere, mi hanno aiutato ad andare avanti e superare un delicato periodo della mia vita, un periodo di grande solitudine.