Viadotto sul Filese

Il viadotto sul torrente Filese (Ponte di Limpidi) collega il territorio di Acquaro con quello di Dinami.
L'inizio della esecuzione dei lavori risale all'anno 1923, il completamento al 1927. L'impresa appaltatrice è stata "Bruni di Soriano Calabro". Nel 1927, presenti le autorità dei comuni di Acquaro e Dinami, le massime gerarchie del governo fascista della provincia di Catanzaro e quelle di Monteleone di Calabria (Vibo Valentia), il Sottosegretario al Ministero dei Lavori Pubblici, il calabrese Michele Bianchi, nativo di Belmonte Calabro (CS), lo ha inaugurato.
Si tratta di un'opera di straordinaria bellezza, snella ed elegante, un'opera di alta ingegneria, di architettura moderna, di stile ardito, armonico e maestoso che per l'epoca in cui è stata realizzata è considerata ancora oggi un capolavoro. Purtroppo oggi l'incuria e l'abbandono regnano sovrani. Recentemente sono stati fatti interventi insensati, da parte di alcuni operatori pubblici incompetenti, che hanno corso il rischio di vedere messa in crisi la sua stabilità.
Nell'agosto del 1943 si è salvata dalla distruzione ad opera delle truppe tedesche. Queste, in ritirata dalla Sicilia ormai occupata dagli anglo-americani, intendevano tagliare ogni via di transito, verso il nord Italia, lungo questa strada interna, alle truppe motorizzate di occupazione. Per fortuna quell'evento non si è poi verificato e oggi la struttura in tutta la sua eleganza, come una bella donna ingioiellata, continua ad assolvere egregiamente il compito che si erano prefisso gli ingegneri. Il transito veicolare è continuo e non ha nulla da invidiare a quello che si snoda sulle strutture di più recente costruzione. Ha una lunghezza di 70 metri da una spalla all'altra e la carreggiata, larga 6 metri, è adagiata sui tre archi a tutto sesto, tutti in pietre tagliate e scalpellate, che poggiano su dei piloni anch'essi in pietra scalpellata da maestri scalpellini. L'altezza dei due piloni centrali, misurata dal piedistallo, è superiore a 20 metri.
La vecchia strada provinciale, a monte del viadotto, che collegava i due comuni, da Acquaro verso Dinami, partiva dalla spalla in territorio di Acquaro. Percorreva a mezza costa la montagna di "Sansino" per circa 150 metri, su terreno che oggi è proprietà degli eredi di Natale Gennaro, fino ad arrivare al punto più basso, 3 o 4 metri dal pelo dell'acqua del torrente. La larghezza della pista non superava i 3 metri. Le spallette in muratura di pietrame sulle due rive del torrente sorreggevano la passerella in legname che era costruita esclusivamente per sopportare il transito, oltre che dei pedoni e delle bestie da soma, di carri trainati da animali. In territorio di Dinami la strada continuava, sempre a mezza costa, nel bosco proprietà Santamaria fino a congiungersi con l'attuale strada verso la frazione Melicuccà.
Fino al novembre del 1959 esistevano ancora il tracciato in territorio di Acquaro, le due spallette in muratura e tutto il tracciato in territorio di Dinami, che i Limpidesi utilizzavano, particolarmente durante la calura estiva, per le passeggiate nei luoghi incantevoli del bosco come "Fimmanejia" con la sua fontana, "Cirobino" dai numerosi laghetti (gurnali) con spiaggette per il bagno, "Cianci", "Gajiettaro" un vallone tutto cascatelle in un'area incontaminata e poi "Candela". L'undici novembre di detto anno si verificò una terribile alluvione durata un'intera notte. Una enorme massa d'acqua s'abbatté su tutte le opere murarie costruite a monte e a valle a difesa del viadotto travolgendole. I muri di contenimento, briglie ed ogni altra opera in difesa delle scarpate stradali non resistettero alla furia delle acque. Queste opere non sono state più ricostruite. Anche le località nel bosco furono completamente sconvolte da quel terribile muro d'acqua.
Per la costruzione del viadotto fu impiegato un imponente numero di persone: donne, manovali, garzoni, carpentieri, muratori, scalpellini, ferraioli oltre ad una immensa quantità di materiale legnoso. La manovalanza era stata reclutata nei comuni di Acquaro, Dinami e Arena. La manodopera specializzata proveniva in minima parte dai comuni suddetti mentre ferraioli, scalpellini o altro venivano dai comuni di Monteleone di Calabria (Vibo Valentia), Soriano Calabro e Serra S. Bruno.
A salvaguardia della scarpata stradale sinistra, a valle del viadotto, era stata realizzata, a terrazzini, una fitta piantagione di acacie per il contenimento del terreno fatta con tale maestria da continuare ad esistere fino a pochi anni addietro (*). La scarpata destra era protetta da un rigoglioso bosco di lecci. La vegetazione è esistita fino a quando le Guardie Forestali hanno effettuato una stretta vigilanza, poi è seguita una distruzione sistematica ed un disboscamento selvaggio e tutto è andato alla malora nello stato in cui si trova attualmente. Si può senz'altro affermare che la bella struttura è a rischio anche perché, oltre a quanto scritto, c'è un altro fattore che concorre e cioè lo svuotamento a valle, "zona Cavorà", in pieno spregio ad ogni norma di legge, dell'alveo fluviale ad opera di ignoti per l'estrazione di inerti, che aggrava l'erosione delle sponde e accentua il rischio idraulico. Questa situazione però sembra che non interessi a nessuno.

(*) Il lavoro si avvicina a quello di questa immagine. Una volta cresciuta, la piantagione è stata sistemata come nelle immagini 1, 2 e 3.