Ricordo che, alla mia epoca (anni '60), per ben più di tre mesi, ogni anno durante l'inverno, quasi tutta la comunità del nostro paese era continuamente impegnata con la raccolta delle ulive.
La maggior parte del paese era circondato di uliveti. C'erano delle zone dove i rami delle piante di ulivi secolari si estendevano sopra la strada. Molte volte, durante la notte, soffiava il vento che causava una grande cascata di ulive. I nostri genitori si preparavano di buon'ora e, provvisti di lanterne e scope, con il buio andavano, portando anche i figli, presso il proprio uliveto per allontanare le ulive dal centro della strada e raccoglierle sull'orlo. Questo si faceva perché la gente che si trovasse a passare per la strada, recandosi in campagna, non le schiacciasse. Più tardi, quando diventava giorno, le ulive ai bordi della strada venivano raccolte e messe nei panieri.
A quei tempi non c'erano le comodità ed i mezzi di adesso. Le ulive si raccoglievano a mano, con le dita, una per una. Si riempiva il paniere ed il contenuto si versava in una cesta (copparèja). Le povere donne poi, poggiandole sulla testa, portavano le ceste piene all'oleificio e accumulavano le ulive in un angolo (u zzimbùni), dove vi rimanevano fino a che non veniva il proprio turno per macinarle e fare l'olio. Spesso le donne dovevano fare più di un viaggio al giorno; specialmente per loro erano tempi assai difficili. La donna di allora aveva tante altre faccende: doveva cucinare per la famiglia, andare al fiume per lavare i panni, badare ai figli, specialmente se erano ancora piccoli e preparare la legna per quando doveva fare il pane in casa. La donna di allora non credo trovasse un minuto di svago. Con tutto ciò, quella donna così tenace non si lamentava.
Per macinare le ulive e produrre l'olio, a quei tempi c'erano undici oleifici ad Acquaro. In Via IV Novembre ce ne stavano due, quello dei Comito (1) e, cento metri dopo sulla sinistra andando verso Salandria, quello di Domenicantonio Colaci (2). A circa cento metri dalla chiesa matrice, andando verso località Manetta, c'era quello di Nicola Crupi (3). In Via Oleifici ce ne stavano tre. Il primo si incontrava scendendo dalla strada Provinciale e, da come ricordo io, non era funzionante (4). Circa duecento metri più avanti c'era quello del dottore Calcaterra (5) ed ancora più avanti, andando verso Semiatori, prima di arrivare ad Annasi ce ne stava un altro che era gestito da più soci (6). Dall'altro lato del fiume, dopo il ponte, nel posto chiamato Serra c'era l'oleificio che era una volta dell'avvocato Calcaterra (7). Ritornando verso il paese, in Via Ortenzia, a Poteja c'era quello di Cesarelli (8). Ed ancora, prima de u Cannale c'era l'oleificio della famiglia Galati (9). A Santu Nicola, contrada vicino Limpidi, c'era l'oleificio di proprietà di Don Pietro David (10) e, non tanto lontano, tornando verso Acquaro c'era quello di Domenico Crupi che, per merito della famiglia Galati, fu anche sindaco (11). Tranne tre di questi oleifici, gli altri erano pienamente funzionanti.
Ricordo anche quando mia madre faceva il pane in casa. Dopo che il forno si era riscaldato, infornava per prima "a pitta", una specie di focaccia. Capitava a volte che il pane venisse fatto quando si macinavano le ulive e mia madre mandava me o una delle mie sorelle a portare due o più pitte al frantoio. Arrivando là, che non era tanto lontano, le pitte erano ancora calde. Queste si innaffiavano con quell'olio fresco, di colore verde, versato direttamente dal tino e vi si metteva sopra un po' di peperone piccante macinato. Era davvero un mangiare squisito.
Tempi duri, tempi di vita semplice, tempi abbastanza primitivi, ma tempi che ci hanno insegnato a vivere.