L'antica lavorazione della ginestra - Autore della foto: Anna Maria Chiapparo

Ho pochissimi ricordi materiali di mia nonna materna. Diciamo che ne ho più orali, perché ho passato molto tempo con lei e da lei ho assorbito come una spugna tutto ciò che mi raccontava del suo passato, della sua vita non facile. Immagazzinavo tutto nell'archivio della mente e non pensavo un tempo che sarei andata a rovistare in quell'archivio polveroso per trascrivere i miei ricordi... Erano tempi duri quelli e le donne lavoravano incessantemente sia dentro che fuori. Negli uliveti, nelle vigne, negli orti, in casa... C'era sempre da fare e quando non c'era lo si trovava il bel daffare... Cercando delle cose, l'altro giorno, ho ritrovato due gomitoli di ginestra. Non saprei dire quanti anni abbiano, ma sicuramente tanti... sicuramente più di sessanta. In origine, mi ricordo che erano due matasse, ma per evitare che s'aggrovigliassero, tanti anni fa decisi di farne dei gomitoli con il desiderio di rilavorarli come faceva mia madre una trentina di anni fa, creando dei tappeti ai ferri. E' un filato grossolano che assomiglia allo spago, ma non è resistente e non so se sia per l'età, o una sua caratteristica, ma si spezza facilmente. Mia madre, infatti, per creare dei tappeti resistenti, univa il filato a collant rotti o a striscioline di stoffa. Creava con pazienza, tagliando e cucendo, strisce da qualche vestito vecchio e poi ci univa la ginestra. Ne veniva fuori un manufatto pesantissimo e indistruttibile che durava per molti anni. In Calabria, tanti anni fa, era molto in uso la lavorazione della ginestra. La si faceva in quasi tutti i paesi, vista la necessità di creare un filato economico, e la grande abbondanza di ginestra che colorava e profumava le nostre colline. E' proprio questo il periodo di maggior fioritura e se ci penso mi pare ancora di sentire il profumo che aleggiava sulla "mia" Malamotta... Qui in Sicilia c'è abbondanza di ginestra con le spine... La nostra mi piaceva di più e mi sembrava pure più profumata. Ricordo che ne raccoglievamo i fiorellini per il Corpus Domini. Le strade dove passava la processione col Santissimo erano segnati da un viottolo fiorito di giallo... cari ricordi. Ritornando alla lavorazione della ginestra, devo dire che ho trovato molte notizie e video bellissimi, in rete, ma lo stesso voglio cercare di descrivere le cose, che mi ricordo raccontava mia nonna. Era per lo più un lavoro prettamente femminile e di solito si faceva in compagnia di sorelle, madri e figlie o amiche strette. Si andava di buon mattino, prima della calura estiva a raccogliere la ginestra che fioriva per lo più sulla collina di Malamotta per la sua posizione assolata. Si raccoglieva dopo sfiorita e giunti a casa si legava con i rametti stessi, essendo flessibili, ma robusti, in piccoli mazzetti che venivano poi fatti bollire in una grossa caldaia ("coddàra") dove era stata messa della cenere. La cenere in quegli anni veniva usata per tutto perchè creduta disinfettante e sbiancante. L'odore che si sprigionava non era proprio invitante, anzi era proprio nauseabondo, ma si sa, al tempo si faceva tutto in strada e nessuno ci faceva caso, visto che erano usanze. Bollita, veniva portata al fiume, e sciacquata dalla cenere veniva lasciata ammollo per almeno otto giorni, circondata da pietre perchè la corrente non la portasse via. Naturalmente si cercavano dei posti vicino ai propri terreni perchè non la rubassero. Purtroppo c'era pure quest'evenienza. Trovare tanti bei mazzetti di ginestra già raccolta e cotta, faceva gola a molti che così avevano già metà lavoro svolto. Ognuno aveva quindi il proprio posticino segreto, una "gurna" (pozza d'acqua) ben accessibile dove si poteva controllare anche tutti i giorni. Passati gli otto giorni la ginestra era ormai morbida e malleabile e soprattutto era sbiancata tantissimo, ma siccome risultava vischiosa, doveva essere passata nella sabbia del fiume ed ancora sciacquata, dopodichè si provvedeva a sfibrarla. La sfibratura avveniva sui grossi massi della fiumara. Si prendevano i mazzetti e si colpivano con un grosso bastone chiamato "mànganu". Letteralmente la pianta veniva bastonata e probabilmente da qui nasce pure il detto "ti manganiju" per dire "ti do botte". Con quest'operazione, la fibra veniva separata dalla corteccia che si buttava o si usava per accendere il fuoco, una volta asciutta. La fibra in sè appariva come un groviglio stopposo senza forma e pieno di resti grossolani. Doveva quindi essere cardata come si faceva con la lana. Finito il lavoro al fiume, questo era quasi un passatempo dei lunghi ed afosi pomeriggi estivi. Si poteva fare a tempo perso chiacchierando con le vicine. L'attrezzo usato per cardare erano di solito due tavolette con su piantati diversi chiodi. Finita di cardare, come la lana, doveva essere filata per ottenere il filo da lavorare e quindi veniva adoperato il fuso. Mi ricordo che vicino a mia nonna abitava un'anziana signora che filava ancora. Tutti i pomeriggi d'estate, quando passavo davanti casa sua la vedevo col suo fuso lucido in mano. I movimenti erano veloci e precisi e dal grosso batuffolo si districava pian, piano il sottile filo. Era lana, ma sempre affascinante da vedere. Fosse stato oggi, mi sarei fermata ad osservare meglio, a chiedere, magari a provare quella magia aguzzata dall'ingegno dei nostri avi che da tutto hanno saputo trarre profitto. Le belle matasse ormai pronte, di solito venivano lasciate al naturale, ma so che in molti paesi della Calabria, venivano anche colorate con l'estratto degli stessi fiori della ginestra che conferivano un bel giallo solare o coi gambi che davano un bel marrone scuro. L'ultimo stadio era la lavorazione al telaio per farne lenzuola, strofinacci, tovaglie da tavola, sacchi per mettere il pane e la farina, o ai ferri per creare soprattutto calze per l'inverno. Ne ricordo ancora un paio di mio nonno che si ostinava a volerle usare ed io non capivo il perchè. Era un filato ruvido e pungente per le tracce di fibra che sembravano piccoli aghi, ma erano anche un bene prezioso da sfruttare nei lunghi e rigidi inverni. Cose antiche, ormai remote che ci riportano indietro nel tempo, eppure, in una società che cerca sempre nuove vie di sviluppo e novità, c'è ancora tempo per il passato e posto per la bella e profumata pianta della ginestra. Magari una nuova potenzialità di sviluppo per la nostra bella e martoriata terra che continua sempre a stupirci coi suoi doni naturali e meravigliosi:
http://www.spazioforum.net/forum/topic/29981-calabria-ginestra-entra-nelle-imprese/
http://www.elicriso.it/it/pubblicare_articoli/tessuti_alternativi/

Chiapparo Anna Maria 2012 (Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale senza citare la fonte o l'autrice del testo)