"O primu d'aprila, mettalu 'ncaddu e no dira". Era questo un vecchio proverbio acquarese comune, fino agli anni 40-50. "Il primo di aprile, mettilo al caldo e non lo dire" era riferito all'uovo del baco da seta. La storia vuole che la coltura del baco fosse antichissima e nata per caso...
La storia
La scoperta della seta si deve, secondo un'antica leggenda all'imperatrice cinese Xi Ling-Shi. L'imperatrice stava passeggiando, quando notò dei bachi. Ne sfiorò uno con un dito e dal bruco miracolosamente spuntò un filo di seta. Man mano che il filo fuoriusciva dal baco, l'imperatrice lo avvolgeva attorno al dito, ricavandone una sensazione di calore. Ella scelse quei fili e tessé un fazzolettino. Alla fine, vide un piccolo bozzolo, e comprese improvvisamente il legame fra il baco ed il filo di seta. Insegnò quanto aveva scoperto al popolo e la notizia si diffuse. La produzione della seta dalla Cina si diffuse lentamente anche verso l'occidente, arrivando in Italia, in Calabria e nelle regione meridionali intorno al X secolo forse per merito degli arabi o dei greci di Bisanzio.Tante furono le leggende che si sono succedute intorno alla nascita della seta in Calabria.Unico documento certo della sua diffusione è un rogito notarile citato, quale testimonianza certa, dallo storico e studioso francese Andrè Guillon, risalente al 1050 nel quale si legge, che fra i beni della Curia metropolitana reggina, figura un campo di migliaia di gelsi. (..........)
Il declino
La decadenza dell'arte della seta in Calabria fu determinata soprattutto dal monopolio vessatorio che il governo aveva cominciato ad esercitare su di essa che impedì ogni progresso, e mentre al Nord Italia la seta veniva sempre più valorizzata, al Sud invece rimase allo stato primitivo e con metodi antiquati di lavorazione, per cui le sete calabresi perdettero ogni pregio. A ciò si aggiunsero altri fattori, quali il sempre più difficile allevamento del baco a causa della carenza di manodopera, di varie epidemie e di sconvolgenti terremoti, così che la bellissima arte della seta divenne un ricordo lontano.(....)
Tratto da http://www.mpdrc.it/public/upload/17062009211019_storia_seta.pdf
Anche nel territorio di Acquaro e dintorni, pare ci fossero un tempo, tanti alberi di gelso, soprattutto bianco, più adatto alla bachicoltura e molto probabilmente introdotti in Calabria dai Bizantini. La povertà del tempo, che spesso sfamava le famiglie col solo lavoro delle campagne, portava le nostre antenate ad arrotondare un po' con questa coltura non molto pesante. Era infatti un lavoro che potevano fare un po' tutti con un po' di buona volontà. Alcuni acquistavano le minuscola uova che tenevano al caldo o meglio ancora, nascoste nel petto (da qui il proverbio) per farle schiudere, altri acquistavano le larve già formate che bastava mettere in un "cannizzo" che era una specie di graticcio di canne a piani. Qui mangiavano foglie di gelso per tre volte al giorno per 5 giorni e poi s'addormentavano ingrossando a vista d'occhio. Questo periodo durava circa venti giorni e ad ogni risveglio, il bruco cambiava pelle. Quando smetteva di mangiare era tempo di metterlo a riposo. Si preparavano quindi dei fasci di "bruvera" (erica) o ginestra dove il baco si rinchiudeva nel suo bozzolo (cucuju). Il baco (in dialetto calabrese ,"siricu", probabilmente derivante da Siria), costruiva il bozzolo con la sua bava che altro non è che la seta grezza. Quando il bozzolo risultava duro al tatto, era pronto da lavorare. Chi era attrezzata al mestiere procedeva alla "scunocchiatura" che consisteva nell'immergere i bozzoli in acqua calda per uccidere il baco e poi procedere alla fase successiva di "manganiare" cioè battere con un bastone (manganello), per allargare il filo ed acconciarlo in matasse da tessere al telaio per uso personale. Chi non voleva o non poteva farlo, aspettava l'arrivo dei "cucujiari"che erano gli acquirenti di bozzoli che avrebbero provveduto a rivenderli alle tante filande che operavano in Calabria, e che avrebbero anche provveduto a colorarle a piacimento.