Il sapone di casa - Autore della foto: Anna Maria Chiapparo

Da piccola credevo che le donne calabresi (solo loro conoscevo ancora), fossero un po' tutte delle maghe. Non c'erano segreti per loro. Una risposta a tutto e per tutto un rimedio. Quando poi si mettevano ad armeggiare con pentole e pentoloni era il massimo per noi bambini. Quando si doveva accendere "il fuoco grande" quello per la salsa, per il mosto o per fare il sapone, noi dovevamo stare alla larga per evitare pericolose scottature, ma soprattutto per lasciar lavorare liberamente chi doveva farlo. Forse, proprio per questo, molte volte, quei lavori li facevano quando noi eravamo a scuola o altrove. Per non intralciarle. Capitava quindi, che trovavamo delle cose già belle e fatte che aumentavano in noi l'aria magica aleggiante sulle nostre mamme e nonne che sembravano avere dieci braccia invece che due. Un rituale che si faceva un paio di volte all'anno o almeno una, era quello di preparare il sapone. Sul far dell'estate, quando ormai la raccolta delle olive era già finita e l'olio riposava nei grossi bidoni tenuti apposta, ("landiuni", sostituiti col tempo da grosse taniche di acciaio inox, molto più igienico e spesso provvisti di un rubinetto molto pratico) già da un po, si pensava a vendere l'olio in più che si era prodotto. Si metteva da parte una bella scorta personale anche in previsione di un'eventuale "mala annata" e il resto si vendeva ai compratori di olio. C'era un vero mercato dell'olio che faceva oscillare i prezzi come in borsa a seconda dell'annata, dell'inflazione ecc. In paese mi pare ci fossero un paio di "compratori ufficiali" e uno di Limpidi che acquistavano molti quantitativi di olio da quasi tutto il paese e poi lo rivendevano ai grossisti che lo imbottigliavano per rivenderlo. Non so bene come funzionasse, ma più o meno, credo così e praticamente, i compratori erano una specie di intermediario. Quindi, svuotati i "landiuna" e incassato un bel gruzzoletto (a seconda di quanto olio si era venduto), con cui si contava di pagare qualche debituccio o togliersi qualche sfizio, restavano i residui dell'olio (murghi) che erano una manna dal cielo per fare del buon sapone. Fare il sapone richiedeva una certa esperienza, perchè non era facile lavorare con grandi quantità di materiale e quindi non era nemmeno facile dosare bene la soda (potassìna), ingrediente essenziale per far solidificare il sapone, e l'acqua occorrente. Solo molti tentativi, quindi anni di esperienza e molti segreti rubacchiati qua e là, facevano riuscire un buon sapone e una brava massaia. Il giorno stabilito si preparava una grande caldaia o un mezzo fusto come quello per l'olio, tenuto apposta per il fuoco. Si adagiava sul grande treppiedi e sotto si accendeva un bel fuoco mettendo a riscaldare le "murghe" che a dir la verità non avevano un bell'aspetto. Erano infatti nere e maleodoranti, a volte anche rancide perchè lasciate riposare troppo tempo. A queste si univano spesso anche olio fritto filtrato e tenuto da parte e se capitava anche grasso di maiale inutilizzato. Il grande fuoco scioglieva tutto e rimescolando con un vecchio manico di scopa in continuazione, s'incominciava ad aggiungere pian, piano la soda che aveva il potere di gonfiare il tutto. Era necessario quindi, tenere a portata di mano tanta acqua che buttata sopra a secchiate, regolava il tutto e calmava il bollore della potassa. Il segreto era mescolare sempre e controllare il fuoco per regolare la cottura. Quasi sempre si formava un capannello di comari del vicinato ed ognuna diceva la sua. O era troppo "potassusu" (troppa soda) e quindi c'era bisogno di altra acqua, o era "lisciu" cioè acquoso e abbisognava di altra soda, ma devo dire che in questo caso, l'aiuto e i consigli delle altre amiche era sempre ben accetto per la buona riuscita al primo colpo del risultato sperato. Mescolando, mescolando avveniva la magia! Il brutto colore iniziale, andava scomparendo diventando un bel caffelatte fino a un bianco panna, quando andava bene. Spesso, comunque il colore non proprio puro, non era sinonimo di cattiva riuscita. Il suo dovere di sbiancare e fare schiuma, il sapone lo avrebbe fatto lo stesso anche se più scuro, ma certo, bianco era tutt'altra cosa. Si capiva che era pronto quando, mettendo il bastone al centro, questo restava bello dritto e non scivolava. Significava che la consistenza era quella giusta e la grana presumeva una buona saponificatura. Il sapone quindi, cuocendo diventava cremoso e senza grumi e si poteva togliere dal fuoco. Si lasciava riposare tutta la notte e già il giorno dopo si poteva constatare il risultato. Battendo con la mano al centro si vedeva subito se era solidificato o meno. A volte, addirittura, se veniva perfetto, si staccava da solo, o con qualche piccolo colpo, dai lati e galleggiava nella "lissìa" cioè la lisciva. Un'acqua nera dal penetrante odore di soda molto utile per sbiancare qualche oggetto annerito, prima di buttarla via. Si cercava di sfruttare tutto il possibile. Se non era ancora solido, si lasciava riposare per altro tempo, prima di tagliarlo, ma se capitava che non "quagliava" voleva significare che qualcosa era andato storto e quindi andava rifatto (stornatu). si ripeteva quindi tutto il lavoro già fatto. Il sapone doveva essere tagliato a pezzi e fatto sciogliere nuovamente aggiungendo più o meno soda a seconda della necessità. Non era raro vedere qualche vicina che si adoperava a correre in aiuto con qualche bottiglietta d'olio fritto conservato, nel caso in cui il sapone era "potassusu" e quindi necessitava di altro olio per stemperare la tanta soda. Quel gesto, veniva ripagato con qualche bel pezzo di sapone... era pur vero che le massaie accorte tenevano sempre qualche riserva per l'evenienza, ma poteva capitare di esserne sprovviste. Se invece era leggero, bastava aggiungere qualche altro grammo di soda e tutto s'aggiustava. Il sapone, naturalmente prendeva la forma del contenitore dove veniva lasciato e quindi poi, andava tagliato in piccoli pezzi maneggevoli. Se era stato messo molto materiale consistente (murghe, olio ecc), quagliava molto e per tagliarlo intervenivano in aiuto anche gli uomini di casa con un lungo seghetto, altrimenti, bastava un coltello. Devo dire che di solito si preferiva farlo in due volte piuttosto che maneggiare molto e così le forme di sapone venivano tagliate in modo piuttosto regolare e pratico. Una volta tagliato a pezzi non restava altro che farlo asciugare finché diventava secco e leggero. Si mettevano i pezzi su un "carijjùattu" (cesta di canna, larga e aperta, senza bordi) dove poteva traspirare liberamente almeno per un mesetto prima di poter essere usato. Asciugando, di solito si formava una crosticina di scaglie di soda luccicante, ma una volta stagionato non faceva più male toccarla. Non era più caustica. Il sapone era pronto per essere usato in lavanderia e in cucina. Eh, sì... con quello lavavamo pure i piatti e all'epoca non ho mai sofferto di allergie alle mani, pur non usando mai i guanti... Oggi, sembrano cose d'altri tempi quei grossi pentoloni sul fuoco, "le murghe" ecc, eppure, basta cercare in rete, "sapone di casa" e si aprirà tutto un mondo. "Il sapone di casa" è ritornato e rivalutato e si fa a gara per arricchirlo e riproporlo sotto tante altre vesti. Profumato con oli essenziali, con fiori secchi, aromi ecc, incartato in belle composizioni e confezioni... ma resta pur sempre il brevetto delle nostre care nonne che mai minimamente avrebbero immaginato il caos di oggi tra detersivi per piatti, per bucato, per i delicati, per la lana, per i colorati i bianchi, additivi, ammorbidenti, sbiancanti ecc... magie del progresso che ci sta presentando, però un alto conto da pagare, tra inquinamento dell'ambiente e malattie varie causate da ingredienti spesso cangerogeni.

Chiapparo Anna Maria 2012

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